CHIMERA

Tratto dal testo della sovrintendenza del Museo Archeologico di Firenze

 

 La storia

La Chimera fu scoperta nel 1553 (secondo il Vasari nel 1554), durante la costruzione di fortificazioni medicee alla periferia della città. Il ritrovamento avvenne il 15 novembre 1553 e dopo il rinvenimento fu subito trasportata a Palazzo Vecchio. Questa scoperta sensazionale ebbe larga eco tra artisti e letterati dell'epoca, come ad esempio il Cellini, il Vasari, Tiziano ecc. ela notizia si diffuse assai rapidamente, tanto che nella seconda metà del'500 la Chimera divenne l'interesse precipuo e la mèta di numerosi viaggiatori stranieri che ne parlarono in appunti di viaggio corredati spesso da disegni dell'opera.

Da alcuni disegni più antichi e da notizie sul ritrovamento nell'Archivio di Arezzo risulta che solo la coda, rintracciata dal Vasari, mancava e che non fu ricomposta. Così viene anche a cadere la leggenda che vedeva nel Cellini l'esecutore del restauro integrativo delle zampe che dovevano quindi essere complete seppur danneggiate. Dopo il rinvenimento si cominciò la ricerca di testimonianze iconografiche che garantissero che si trattasse proprio della Chimera di Bellerofonte, indirizzando l'indagine soprattutto sui reperti numismatici. Dal Vasari (Ragionamenti sopra le invenzioni da lui dipinte in Firenze nel palazzo di loro Altezze Serenissime, Firenze 1558, ed Arezzo 1762, pp. 107-8) si ricava e si ha testimonianza del metodo seguito per giungere ad affermare che il "leone" scoperto ad Arezzo era proprio la Chimera. Ad un interlocutore che domanda se si tratta proprio della Chimera di Bellerofonte, come dicono i letterati, il Vasari così risponde:

 

"Signor sì, perche ce n'è il riscontro delle medaglie che ha il Duca mio signore, che vennono da Roma con la testa di capra appiccicata in sul collo di questo leone, il quale come vede V.E., ha anche il ventre di serpente, e abbiamo ritrovato la coda che era rotta fra que' fragmenti di bronzo con tante figurine di metallo che V.E. ha veduto tutte, e le ferite che ella ha addosso, lo dimostrano, e ancora il dolore, che si conosce nella prontezza della testa di questo animale...".

 

Quindi, per risolvere i problemi interpretativi che si erano venuti a creare con il ritrovamento della statua, l'indagine non si limitò alle testimonianze letterarie e mitologiche, ma progredì nella ricerca di documentazioni iconografiche antiche, particolarmente per quello che concerneva la documentazione numismatica. E non si può escludere che la ricerca di medaglie avesse come fine ultimo quello di scoprire un modello per restaurare la statua che mancava della coda. Infatti, furono trovate delle monete d'argento di Sicione recanti l'immagine della Chimera. Queste monete, ora nel Medagliere del Museo Archeologico di Firenze, facevano presumibilmente parte delle Collezioni Granducali. Esse mostrano la Chimera con la giusta posizione della coda, formata dal serpente. La coda con la testa di serpente doveva avventarsi minacciosa contro l'avversario e non mordere un corno della testa della capra: si tratta infatti di un restauro sbagliato eseguito, in epoca neoclassica, da Francesco Carradori nel 1785.

  

I Medici e la Chimera

La Chimera, come abbiamo detto sopra, fu subito portata a Palazzo Vecchio nella sala di Leone X: si trattava di un'operazione non solo artistica (in quanto si adattava al progetto decorativo stabilito dal Vasari) ma anche "strategica"; in questo senso la Chimera, l'opera più importante dell"'etruscheria" toscana, stava anche a simboleggiare le fiere che Cosimo aveva combattuto e domato per costruire il suo regno.

 

Il mito

Chìmaira, in greco, letteralmente significa capra. Ed infatti questo mostro della mitologia greca con il corpo e la testa di leone, talvolta alato, con la coda a forma di serpente, portava nel mezzo della schiena una testa di capra. Omero (II. VI, 181-182) ed Esiodo (Theog., 321-322) narrano che era figlia di Tifone. La Chimera fu uccisa dall'eroe Bellerofonte, ritenuto da alcuni addirittura figlio di Posidone; Bellerofonte riuscì a catturare e domare il cavallo alato Pègaso, con il quale riuscì ad uccidere la Chimera. La statua bronzea del Museo Archeologico di Firenze rappresenta la Chimera ferita in atto di avventarsi sul suo aggressore, mentre la testa di capra si reclina, morente, per le ferite ricevute.

La coda con la testa di serpente, come abbiamo detto, è un restauro non giusto: doveva avventarsi minacciosa contro l'avversario e non mordere un corno della testa della capra. Probabilmente, la Chimera faceva parte di un gruppo con Bellerofonte sul Pegaso che colpiva dall'alto, come fa supporre la ferita sanguinante sul collo della capra. Però non si può escludere completamente 1 'ipotesi che si trattasse di un dono votivo a se stante.

 

La datazione

Molto si è discusso sull'appartenenza della Chimera all'arte etrusca, tesi ormai accettata senza riserve dagli studiosi. La "maniera etrusca" già notata dal Vasari si riflette in quel misto di naturalismo (nella muscolatura e nelle vene rilevate, rese con calligrafico realismo, del corpo teso del leone) e di stilizzazione (nella testa con fauci spalancate in atto di feroce aggressione e nel pelame della criniera e del dorso, reso con ciocche dette convenzionalmente "a fiamma"); di conservatorismo (negli elementi convenzionali arcaizzanti della testa e della criniera) e di intensa espressività (nell'aggressività feroce del muso del leone e nel patetico abbandono della testa della capra). Altro elemento a favore della etruschità di questa opera d'arte è la iscrizione sulla branca anteriore destra, tracciata sul modello ed eseguita insieme alla fusione. Vi si legge tinscvil, cioè dono votivo al dio Tinia (assimilabile al Giove dei Romani).

Si tratta di un'iscrizione dedicatoria con caratteristiche grafiche appartenenti all'area etrusco-settentrionale, cosa che avvalorerebbe l'ipotesi di una offi- cina nord-etrusca, localizzata ad Arezzo o in zona contigua. Per quanto riguarda la datazione, quella finora consueta della fine del V secolo a.C. è universalmente abbassata ai primi decenni del IV sec. a.C.

 

La collocazione al Museo Archeologico

Come abbiamo detto sopra, la Chimera rimase a lungo, come un simbolo, a Palazzo Vecchio e solo molto tempo dopo, nel 1718, venne trasportata nella Galleria degli Uffizi, proprio come oggetto da esporre in museo. Non a caso fu trasportata agli Uffizi: in questo periodo, la famiglia Medici non era più quella potente di una volta e cominciava anche, lentamente, uno studio più serio sull"'etruscheria", che andava ben oltre la semplice curiosità. Dopo il 1879 ci furono forti pressioni perche tutto il materiale antico fosse collocato nel Palazzo della Crocetta, l'odierna sede del Museo Archeologico. Lo scopo fu raggiunto solo in parte, ma tra le opere trasferite ci furono l'Idolino, la Chimera ed altri bronzi classici (1890).

 

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