Le Fonti
Riportiamo brevemente un profilo degli studiosi antichi che ci hanno tramandato la storia del popolo etrusco. Ricordiamo che la cultura etrusca ebbe un forte “scontro” con quella romana. A tale proposito si tenga presente che alcuni storici si sono schierati apertamente a favore della cultura romana (cioè quella vincitrice), altri contro. Per tale ragione, le notizie storiche sugli Etruschi che ci sono pervenute nel corso dei secoli sono state in alcuni casi trionfalistice e leggendarie, in altri scarne e deludenti.
Dionisio di
Alicarnasso
Retore e storico greco vissuto fra il 60 a. C. e la fine del I sec. a. C., soggiornò per molti anni a Roma, dove tenne una scuola. Oltre ad opere di retorica, scrisse un'importante opera storica: Antichità romane, composta in 20 libri, dei quali possediamo i primi 10, mentre il libro XI ci è giunto lacunoso. Il lavoro arrivava fino all'inizio della prima guerra punica, partendo dalle fasi più antiche della preistoria e della storia romana.
Diodoro
Siculo
Vissuto tra il I sec. a. C. ed il I d.C., lo
storico Diodoro Siculo, il cui nome significa "dono di Dio", nacque ad
Agira e visse a Roma in età Cesarea ed Augustea. Considerato dai greci
"padre della storia" insieme ad Erodoto, Diodoro volle e seppe
esprimere la sua cultura di lingua greca tanto da essere spesso chiamato
"storico greco". Viaggiò molto per i tre continenti conosciuti per
approfondire i suoi studi. Tornato a Roma, utilizzò le sue nuove conoscenze per
scrivere una colossale storia universale, dal titolo "Biblioteca" in
quaranta volumi, dei quali restano soltanto quindici volumi. La sua opera,
tradotta in diverse lingue, tratta dalla tecnica egizia della mummificazione
alla scienza urbanistica mesopotamica, dal periodo precedente la guerra di Troia
alle conquiste di Giulio Cesare in Gallia. Alla sua fonte hanno attinto Marco
Polo, che lo cita ne "Il Milione", Salzano, Holm e Di Berenger.
Innegabili sono i meriti della sua opera che ci ha tramandato avvenimenti mai
raccontati e che altrimenti sarebbero andati perduti. Plinio il Vecchio lodò il
contenuto della sua opera scrivendo pure che Diodoro non favoleggiò, ma trasse
i fatti reali dalla somma delle tradizioni locali e, dove non era possibile per
assenza di documenti, da accurate deduzioni.
Dione Cassio
Dione Cassio, ovvero Dio Cassius
Cocceianus (ca. 150-235), storico e politico romano, nato a Nicea, in
Bitinia; suo nonno materno fu il filosofo stoico Dione Crisostomo (ca. 40-112).
Dione Cassio ebbe incarichi amministrativi a Roma sotto gli imperatori Commodo,
Pertinace, Settimio Severo e Alessandro Severo; fu due volte console (220 e
229). Dione è meglio conosciuto come l'autore di una storia di Roma in 80 libri
scritta in greco. Ne restano interi solo 18, ma frammenti di alcuni degli altri
libri e successive epitomi di altri scrittori sono arrivate sino a noi. Le opere
di Dione sono tutte di primaria importanza per la storia degli ultimi anni della
repubblica romana ed i primi anni del'impero.
Eforo
Storico greco nato a Cuma eolica all'inizio del IV sec. a. C. La sua opera principale fu una storia universale della Grecia in 29 libri, il trentesimo venne aggiunto dal figlio. La narrazione partiva dal mitico ritorno degli Eraclidi nel Peloponneso sino all'assedio di Perinto ad opera di Filippo II (341/340 a. C.). Il suo lavoro costituì una fonte importante per Diodoro Siculo e Strabone, venendo utilizzata, inoltre, da Polieno, Pompeo Trogo e Plutarco.
Erotodo
Storico greco nato ad Alicarnasso, forse intorno al 484 a. C., e morto non prima del 430 a. C., non si sa se a Thurii, come riporta la breve biografia della Suda, o ad Atene, dove potrebbe essere ritornato a conclusione dei suoi viaggi nella Grecia continentale, in Egitto, Fenicia, Mesopotamia, in Magna Grecia L'opera di Erodoto ci è giunta con il titolo di Historìai (Storie), desunto dalle prime parole del proemio. Fu probabilmente il filologo Aristarco di Samotracia a dividerla in nove libri, a ciascuno dei quali, successivamente, venne dato il nome di una musa. Vi è esposta la storia di Lidi, Persiani, Egiziani, Babilonesi e Sciti. Gli avvenimenti del racconto principale riguardano gli ottanta anni di storia che vanno dall'ascesa al trono di Creso e Ciro (560-559 a. C.) alla battaglia di Micale e all'occupazione di Sesto (479 a. C.). La composizione dell'opera risulta piuttosto complessa soprattutto per le numerose digressioni che partendo dal racconto principale arrivano ad occupare più capitoli se non un intero libro.
Floro L.
Anneo (o Giulio)
(secc. I-II d.C.) Originario dell'Africa, a somiglianza degli oratori greci della "seconda sofistica", ebbe un'attività di conferenziere itinerante nelle province. Uno dei temi da lui affrontato era la questione se "Virgilio era oratore o poeta", problema sul quale ci è stato conservato uno svolgimento redatto in forma di dialogo.
Finì per stabilire a Roma la sua dimora,
durante l'impero di Adriano, e nella città compose i suoi 2 libri "sulle
guerre romane" (specificamente, il I relativo alle guerre esterne, il II
alle guerre civili del I sec. a.C.), comprende 7 secoli di storia militare
romana, dalla fondazione dell’Urbe ad Augusto. Sotto la vernice del presunto
storico, traspare però l'atteggiamento del rètore: Floro elogia più che
raccontare. Questo conferenziere, sempre in cerca di brillanti amplificazioni,
immagina di paragonare la vita del popolo romano a quella di un essere umano le
cui differenti età si caratterizzano per una crescita, una maturità e una
decadenza, salvo poi concludere, per trarsi d'impaccio, che la dinastia antonina
aveva restituito a Roma la sua giovinezza. Quest'opera "puerile"
(anche nella struttura molto semplice del suo latino) ci è stata conservata
sotto il titolo, davvero improprio, di "Epitoma de Tito Livio"
("Compendio di Tito Livio").
Livio Tito
Scarse le notizie della sua vita. Di lui non si conosce il cognome. Si sa che nacque a Padova nel 59 a.C. Presto si trasferì a Roma, dove entrò nelle grazie dell'imperatore Augusto, che gli affidò, a quanto pare, l'educazione culturale del nipote adottivo Claudio, futuro imperatore. Ebbe una figlia ed un figlio, Tito, divenuto poi famoso geografo. Di idee conservatrici, improntò la sua vita e la sua opera ad equilibrio morale e religioso e spirito patriottico. Il suo essere un convinto pompeiano, e quindi critico nei confronti di Cesare, non gli impedì di comprendere lo spirito nuovo dei tempi, di ammirare l'opera riformatrice imperiale e di celebrare la pace augustea e la figura stessa dell'imperatore. Morì a Padova nel 17 d.C.
Pochi frammenti ci sono pervenuti dei suoi scritti filosofici e retorici, che noi conosciamo soprattutto tramite le testimonianze di successivi autori come Quintiliano e Seneca. Ma il suo capolavoro è rappresentato dalle Storie. Iniziato tra il 27 ed il 25 a.C., occupò tutta la sua vita.
Originariamente il titolo doveva essere Ab Urbe condita libri e comprende in 142 libri annalisticamente, anno per anno o per gruppi di anni, la storia di Roma dalle origini sino al 9 a.C., anno della morte di Druso Maggiore (figliastro di Augusto), il governatore delle Gallie che combatté contro le popolazioni germaniche. E' probabile che l'opera dovesse comprendere, nel disegno originario, 150 libri e concludersi con la morte di Augusto (14 d.C.). L'autore la pubblicò, man mano che procedeva nella composizione, per sezioni staccate, raggruppandole in decadi (10 libri) o pentadi (5 libri), corrispondenti per lo più a determinati cicli di fatti storici. Dei 142 libri ne avanzano solo 35 : le decadi 1a, 3a, 4a e i primi cinque libri, lacunosi, della 5a. Degli altri 107 rimangono alcuni frammenti ed i riassunti che vennero fatti di tutta l'opera, forse ad uso scolastico, ad eccezione dei libri 136 e 137.
Macrobio Ambrogio
Teodosio
Ambrogio Macrobio Teodosio visse nel V secolo.
Egli si rivela africano da certe particolarità linguistiche e probabilmente fu
il Macrobio proconsole in Africa nel 410. Il più e il meglio della sua
erudizione è raccolto nei sette libri dei Saturnalia, una specie di
enciclopedia del sapere filosofico, centrata sulla figura di Virgilio; inoltre
aveva scritto prima due libri di Commentarii al Somnium Scipionis ciceroniano.
L'una e l'altra opera sono dedicate al figlio Eustachio.
Plinio il Vecchio
Gaio Plinio Secondo, detto Plinio il Vecchio,
nacque a Como nel 23 d. C., fu il più grande naturalista romano. Morì durante
l'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C. a Stabia. La sua fama è legata all'opera
monumentale Naturalis Historia in 37 libri, tutti pervenuti fino a noi. Si
tratta di una vera e propria enciclopedia in cui Plinio si propose di
compendiare l'intero scibile umano: cosmologia e geografia fisica; geografia ed
etnologia; antropologia e fisiologia; zoologia; botanica; botanica in relazione
al suo impiego in medicina; zoologia in relazione all'impiego in medicina;
metallurgia e mineralogia, con ampie digressioni sulla storia dell'arte.
Properzio Sesto
(Assisi? 50 ca a.C. – Roma, dopo il 15 a.C.) Nacque da agiata famiglia di rango equestre che però, dopo la guerra perugina del 41, perse buona parte dei suoi averi. Morto il padre, fu condotto dalla madre a Roma, dove fu avviato alla carriera forense. Ma Properzio rivelò precoce attitudine per la poesia: già al 28 a.C. risale la pubblicazione del suo I libro di elegie, il cosiddetto "monobiblos" ("libro unico"), intitolato dal nome della donna amata (Cynthia), secondo la tradizione dei poeti alessandrini. Il successo che gli arrise spinse Mecenate ad ammetterlo nel suo celebre "circolo". Qui, Properzio conobbe i più importanti poeti dell'epoca: da Virgilio a Ovidio, al quale era solito recitare i propri "roventi" ("ignes") versi. Difficili, invece, i rapporti con Orazio, evidentemente a causa dei molto diversi ideali poetici. Tibullo e Properzio sembrano poi ignorarsi del tutto (gelosia reciproca?).
Uno dei primi amori cantati dal poeta fu la giovane schiava Licinna, ma forse l'unico avvenimento davvero importante nella sua vita fu l'incontro con Cinzia. Hostia era il vero nome della donna, come ci riferisce Apuleio: il nome Cinzia sembra collegarsi con Apollo e Diana, che nacquero a Delo, sul monte Cinto (si ricordi, a proposito, anche la Delia di Tibullo). Cinzia, una fascinosissima donna, forse più grande di Properzio, dagli occhi neri e dai capelli fulvi, colta e mondana, elegante, amante della danza, della poesia, ma anche di facili avventure d'amore (e dunque costituzionalmente infedele), dominò incontrastata nell'animo del poeta, nonostante il tormento continuato di un rapporto reso difficile dalla stessa eccessiva intensità della passione. Si amarono, talora "nevroticamente", per quasi cinque anni. Cinzia morì intorno al 20 a.C., ma, dopo la sua scomparsa, la presenza e il desiderio di lei si fecero ancora più acuti nella mente del poeta. Dunque, una vera e definitiva "rottura" nel rapporto non ci fu mai: nonostante le due ultime elegie del III libro, quelle che vorrebbero segnare il "discidium", la separazione definitiva; nonostante la stessa morte di lei.
Silio Italico Tiberio Cazio
Asconio
(Padova?,
25 ca – Campania 101 d.C.) Senatore, cortigiano di Nerone, console nel 68,
noto durante i periodi più cupi della tirannide come delatore. Sotto
Vespasiano, fu proconsole d'Asia. Coltivò la poesia nella vecchiaia, ritiratosi
a vita privata. Colpito da un male incurabile, si lasciò morire di fame.
Stabone
La data di nascita di Strabone, con buona probabilità, può essere stabilita nel 64/63 a.C., nella provincia romana di Amaseia, nel Ponto. Originario di una nobile famiglia, anticamente legata al re Mitridate, Strabone ebbe a disposizione un patrimonio notevole che gli diede la possibilità di ricevere un'ampia istruzione e di dedicarsi, per tutta la vita, ai viaggi e agli studi. La maggior parte delle notizie biografiche si desumono dalla stessa Geografia. Al 44 a.C., anno della morte di Cesare, risale il suo primo soggiorno a Roma (XII 6,2), dove fu allievo del celebre Tirannione, a sua volta originario del Ponto. Personalità di spicco nella vita culturale romana di quegli anni - tra l'altro fu il maestro dei figli di Cicerone - Tirannione era un grammatico di formazione peripatetica e, in particolare, esperto di 'Geografia', come ricorda lo stesso Cicerone (Lettere ad Attico, II 6). A Roma, Strabone poté ricevere un'ampia istruzione filosofica caratterizzata dall'eclettismo: oltre a Senarco di Seleucia, un altro filosofo peripatetico, frequentò anche lo stoico Posidonio di Apamea, vissuto tra il 135 e il 51 a.C., i cui scritti, amplissimi per numero e argomenti trattati, e oggi perduti, possono essere considerati come importante fonte di numerosi autori greci e latini, da Cicerone a Seneca, da Galeno ad Ateneo, Diogene Laerzio, fino a Simplicio e Stobeo, oltre allo stesso Strabone.
Tra il 35 a.C. e il 7 d.C., sono documentati sempre nella Geografia, ulteriori soggiorni a Roma, e altri viaggi nelle provincie e le città del nascente impero romano. Talora Strabone accompagò anche personalità di rango della classe dirigente romana: in ogni caso non sembra che abbia mai compiuto viaggi con la finalità di raccogliere notizie 'autottiche' da inserire nella propria opera, compilata, essenzialmente, attraverso la consultazione di fonti scritte; né d'altro canto ricoprì mai direttamente ruoli di rilievo all'interno dell'amministrazione romana. In breve, nella biografia di Strabone non si ricordano episodi di grande rilievo, né particolari esperienze: fu una vita da 'studioso', alquanto appartata rispetto ai tumultuosi anni che videro la trasformazione della 'repubblica' romana nell'assetto imperiale augusteo. Incerta la data di composizione della Geografia. Sicuramente l'opera fa seguito ai Commentari Storici in 47 libri oggi perduti - ne restano solo frammenti di tradizione indiretta - che proseguivano il corso della narrazione di Polibio, incentrata sul periodo 264-200 a.C. Vari riferimenti e dati interni, in ogni caso, come per es. alcuni cenni all'impero di Tiberio (14-37 d.C.) e ad eventi riconducibili al 21 o al 23 d.C. (cfr. XVII 3,7.9.25), inducono a ipotizzare il periodo compreso tra il 17 e il 23 d.C. per la redazione dell'opera, dunque verso la fine della lunga vita di Strabone, probabilmente pubblicata solo dopo la sua morte, avvenuta intorno al 24 d.C.
Svetonio Gaio Tranquillo
(Algeria o Roma, 70 d.C.? – 140? ca d.C.) Della sua vita possediamo poche notizie, desumibili soprattutto dalle sue stesse opere e da Plinio, che in una lettera a Traiano ne sottolinea la rettitudine e l'erudizione. Nato da una ricca famiglia dell'ordine equestre, Svetonio rifiutò tuttavia la carriera di amministratore o di soldato riservata in genere a quelli del suo rango. Uomo dedito agli studi, intimo amico di Plinio il Giovane (il quale lo introdusse nelle simpatie di Traiano, facendogli anche conferire lo ius trium liberiorum, una sorta di sussidio familiare che in casi eccezionali veniva concesso anche a scapoli benemeriti), nonché avviato alla carriera retorica e forense, lo storico consacrò tuttavia tutta la sua vita a ricerche erudite che, per certi aspetti, richiamano quelle di Varrone: ma la sua attività - come vedremo - si limitò quasi interamente al genere biografico.
Grazie all'amicizia del prefetto del pretorio Setticio Claro (anch'egli amico di Plinio, sopravvissuto a quest'ultimo, e che avrebbe continuato comunque a proteggere il nostro autore), intorno al 120 Svetonio riuscì ancora a diventare segretario "ad epistulas" (incaricato cioè della corrispondenza) nei servizi dell'imperatore Adriano. A quest'alto incarico egli poté essere chiamato dopo aver dato buona prova delle sue qualità di funzionario amministrativo, prima come sovrintendente di tutte le biblioteche pubbliche di Roma, poi come "a studiis" (quasi un nostro ministro della cultura e dell'istruzione). Tutte queste mansioni, e in special modo l'ultima in ordine di tempo (quella di segretario), gli permisero di accedere liberamente agli archivi del Palatino, per cui le sue informazioni ci hanno permesso di ricostruire e di conservare documenti che, senza di lui, sarebbero andati completamente perduti. Nessun altro storico, infatti, poteva averne conoscenza.
Dopo il rovescio politico del suo protettore, tuttavia, anche l'incarico di Svetonio presso la corte non durò molto a lungo. Nel 122, Adriano lo allontanò con un pretesto, perché, a quanto pare, alcuni dignitari, e lui fra gli altri, avevano instaurato un'eccessiva familiarità nell'ambiente dell'imperatrice Sabina. Svetonio, così, trascorse gli ultimi anni della sua vita immerso negli studi ed attendendo alla pubblicazione delle sue vaste e numerose opere.
Tacito Publio (o Gaio?) Cornelio
(55 d.C.? ca – 120 ca) Origini nobili. Molto incerti e lacunosi sono i dati biografici di T. (a partire già dai suoi "tria nomina"): nacque probabilmente nella Gallia Narbonese (ma forse a Terni, o addirittura nella stessa Roma), da una famiglia ricca e molto influente, di rango equestre. Studiò a Roma (frequentò probabilmente anche la scuola di Quintiliano), acquistò ben presto fama come oratore (dovette essere anche un valentissimo avvocato), e nel 78 sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, statista e comandante militare.
Iniziò
la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto Tito e Domiziano; ma,
come Giovenale, poté iniziare la carriera letteraria solo dopo la morte
dell'ultimo, terribile, esponente flavio (96 d.C.), sotto il cui principato
anche il nostro autore, come altri intellettuali del resto, non dovette vivere
momenti certo tranquilli. Questore poi nell’81-82 e pretore nell'88, T. fu per
qualche anno lontano da Roma, presumibilmente per un incarico in Gallia o in
Germania. Nel 97, sotto Nerva, fu console (anche se in veste di supplente) e
pronunciò un elogio funebre per Virginio Rufo, il console morto durante l'anno
in carica. Abbandonò poi decisamente oratoria e politica (ebbe solo un
governatorato nella provincia d’Asia, nel 112-113), per dedicarsi totalmente
alla ricerca storica. Fu intimo amico, nella vita e negli studi, di Plinio il
Giovane.
Tiberio Claudio Druso Nerone
(Imperatore di Roma) Tiberio Claudio Druso Nerone
era figlio di Antonia - figlia a sua volta del generale Marcantonio - nipote in
linea paterna di Livia Drusilla - moglie di Augusto - and fratello di Germanico.
Sposò prima Valeria Messalina poi sua nipote Agrippina, madre di Nerone. Nel 41
d.C, dopo la morte di Caligola, diventò imperatore per caso, e di mostrò uno
dei migliori Cesari di Roma.
Fu uno degli ultimi profondi conoscitori della
lingua etrusca e scrisse una monumentale storia di questo popolo - completa di
grammatica (Tyrrenica) - che è andata completamente perduta. Ordinò di
costruire il Porto di Ostia e cominciò il prosciugamento del lago di Fucino,
opera che verrà portata a compimento soltanto nel nostro secolo. Nel 43 d.C.
conquistò la Britannia. La sua ultima moglie, Agrippina, lo uccise nel 54 d.C,
con una porzione di funghi avvelenati per mettere sul trono il figlio Nerone.
Tucidide
Storico nato ad Atene verso il 460 a.C. Molto
poco si conosce della sua vita e le scarse notizie sono per lo più deducibili
dalle sue opere e da biografie molto tarde. Fu stratega nel 424/3 a.C. e, al
comando di una flotta di sette navi, accorse in aiuto di Anfipoli minacciata dai
Persiani. L'insuccesso di questa spedizione costò a Tucidide un lungo esilio
durato venti anni che egli trascorse probabilmente nel Peloponneso e in Tracia.
Durante l'esilio cominciò a scrivere la Storia della guerra del Peloponneso in
otto libri, che poté condurre solo fino al 411 a.C. Tucidide morì verso il 400
a.C. probabilmente di morte violenta.
Valerio Massimo
(I secolo d.C. - Età di Tiberio) Non sappiamo quando e dove sia nato questo retore, che era cliente del console del 14 d.C., Sesto Pompeo, e che Valerio seguì nel 27 quando Sesto fu nominato proconsole in Asia. Nel 32, dopo la caduta del prefetto di Tiberio, Seiano, completò la sua opera, dedicandola al principe. Valerio Massimo è autore di una raccolta di aneddoti storici, Factorum et dictorum memorabilium libri, in 9 libri. L'opera è una raccolta di exempla storici, diretta alle scuole, divisa per argomenti, al cui interno si ha una sotto-divisione in exempla stranieri e (quantitativamente di più) romani, che sono attinti non tanto ai grandi storici greci, quanto a Cicerone, Sallustio e Livio. I temi sono disparati:
I. Religione; II. Rispetto delle istituzioni; III. Coraggio, forza, pazienza; IV. Misericordia, sobrietà, amore coniugale, amicizia; V. Clemenza, riconoscenza, amore filiale; VI. Castità, giustizia; VII. Fortuna; VIII. Processi e otium; IX. Vizi.
Secondo quello che l'autore afferma nella prefazione, si tratta di un manuale diretto a chi vuole citare gesta o sentenze riguardanti un determinato argomento: è dunque un manuale ad uso dei retori e dei declamatori delle scuole, costruito con uno stile ampolloso e pretenzioso. Tuttavia Valerio nasconde questa vacuità retorica sotto il pretesto etico dell'esaltazione della virtù, che ovviamente si rivela in Tiberio e ha il suo contrario in Seiano, insigne esempio di ingratitudine punita. Ragion per cui Valerio non può essere definito uno storico, quanto un retore che testimonia il progressivo sbriciolamento della storiografia in aneddotica e pettegolezzo, senza più la necessaria comprensione delle causalità degli eventi. Per il suo carattere moraleggiante, l'opera ebbe molta fortuna nel Medioevo, circolando anche in due riassunti, quello di Giulio Paride e uno (mutilo) di Nepoziano, ambedue del IV-V secolo d.C.
Varrone Marco Terenzio
(Reate, oggi Rieti, in Sabina, nel 116 – 27 a.C.) Autore longevo. L'elemento più significativo della vita di Varrone è sicuramente la sua longevità, che lo mette in condizione di assistere agli eventi che vanno dal comparire di Mario sulla scena politica all'ascesa di Augusto. Fra tradizione e modernità. Studiò a Roma e ad Atene. Difensore della tradizione (secondo, potremmo dire, quasi il dettato genetico della sua origine sabina), si schierò dalla parte di Pompeo, ricoprendo la carica di tribuno della plebe e, in seguito, quella di pretore, senza peraltro proseguire e concludere il suo "cursus honorum". Cesare gli perdonò e gli affidò addirittura la biblioteca pubblica che intendeva instaurare in Roma: la scelta proprio di Varrone potrebbe spiegare la valenza politica del progetto cesariano: il mondo nuovo che dittatore sta realizzando si preoccupa di mantenere la memoria del passato per trasmetterla ai posteri. Pare, infine, che Varrone sia stato anche consigliere di Augusto per le questioni religiose.
Vitruvio Pollione
(sec. I a.C.) Identificato con l’ufficiale
cesariano Mamurra, architetto, scrisse il "De architectura" (25-23
a.C.), un trattato in 10 libri, dedicato ad Augusto e riconducibile alla sua
politica d’abbellimento architettonico di Roma.
L’opera, in parte compilatoria e in parte originale (7 libri di architettura, 1 di idraulica e 2 di gnomica e meccanica), per il suo scopo e per il suo contenuto (ricco di elementi di varia natura, tratti da discipline disparate: aritmetica, geometria, disegno, musica, prosodia, astronomia, ottica, medicina, giurisprudenza, storia, filosofia), è un unicum nel suo genere. L’architettura è vista, in senso aristotelico, come "mimesis" dell’ordine provvidenziale della natura: perciò si richiede all’architetto una cultura ricca e varia, enciclopedica (quasi quella dell’oratore ciceroniano), che faccia perno sulla filosofia.
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