Le Lamine di Pyrgi

 

Nel 1964, a Santa Severa, cittadina che sorge sull'antica Pyrgi, il porto di Caere, vennero alla luce, durante gli scavi diretti da Massimo Pallottino, tré lamine d'oro: su una era inciso un testo in lingua punica, sulle altre due un testo etrusco. Le lamine erano state accuratamente nascoste, all'epoca della distruzione del santuario, in una vasca scavata fra il tempio A ed il tempio B. Se è vero che il testo in lingua punica non presenta problemi insormontabili, nessuno ci dice che l'etrusco ne costituisca la traduzione. Possiamo solo comparare i nomi propri che figurano nei due testi. Ad esempio, nella lamina punica un personaggio è definito "re delle genti di Caere": ora, sappiamo che in quell'epoca la città non aveva re.

 (scrive il dott. Massimo Pittau, insigne linguista) Il solo dato certo è che le due versioni parlano dello stesso argomento, cioè di un trattato stipulato fra Caere e Cartagine; i contraenti invocano a testimoni del patto le divinità tutelari di entrambe le nazioni. Nei due testi si riconosce il nome del magistrato di Caere, Thefarie Velianas, che avrebbe dedicato un santuario ad Uni. Sappiamo che le cerimonie religiose celebrate a conclusione dell'accordo si svolsero secondo il rito punico. Purtroppo nella lamina in punico non esiste la traduzione di un solo termine etrusco per noi nuovo. Si riporta il testo redatto dal Prof . Massimo Pittau, studioso di lingua etrusca. Circa 40 anni fa, e precisamente nel 1964, si è avuta una scoperta archeologica e linguistica che ha colpito in maniera immediata e notevole il mondo degli studiosi specialisti della civiltà antiche, e non soltanto questi: a Pirgi, cioè nel porto della città etrusca di Cere (attuale Cerveteri), durante gli scavi condotti in un santuario di cui si aveva già notizia per antiche testimonianze storiche, nei resti di un piccolo locale interposto fra i due templi, sono state trovate tre lamine d'oro. Su queste risultano incise delle scritte, due in lingua etrusca ed una in lingua punica o fenicia, le quali sono state riportate alla fine del sec. VI od ai primi anni del V a.C.

 

    

Etrusco                                                             Punico

 La notizia rimbalzò da un capo all'altro nel mondo dei dotti, anche per l'immediata prospettiva che si intravide di avere finalmente trovato iscrizioni etrusche abbastanza ampie con la traduzione in un'altra lingua conosciuta e quindi con la speranza di vedere proiettate sulla lingua etrusca, scarsamente conosciuta, nuove ed importanti cognizioni da parte della lingua fenicio-punica, che invece è conosciuta in maniera discreta. Senonché questa speranza cadde quasi immediatamente, quando si intravide che l'iscrizione in lingua fenicio-punica e quella maggiore in lingua etrusca si corrispondono tra di loro, sì, ma non costituiscono affatto un esatta "traduzione" l'una dell'altra, cioè si intravide che si ha da fare non con un «testo bilingue etrusco-punico», bensì con un «testo quasi-bilingue etrusco-punico», nel quale cioè i due testi si corrispondono solamente a grandi linee.

D'altronde quella speranza cadde in larga misura, anche per la circostanza negativa che pure il testo punico si rivelò subito scarsamente aggredibile in fatto di interpretazione e di traduzione effettiva e minuta. Dopo circa un quarantennio di studio ermeneutico molto intenso delle lamine di Pirgi, condotto sia dagli specialisti della lingua etrusca sia da quelli della lingua punica, le conclusioni alle quali si è alla fine pervenuti sono che da un lato alla conoscenza dell'etrusco sono venute dal testo punico alcune conferme significative, ma purtroppo anche molto ridotte in quantità e in qualità, dall'altro la traduzione dei due testi, condotta in maniera comparativa, implica purtroppo numerosi e grandi punti oscuri sia per l'uno che per l'altro. E la presa di posizione ultima che gli specialisti delle due lingue hanno assunto, in maniera esplicita od anche implicita, è che convenga mandare avanti l'analisi e la interpretazione e traduzione di ciascuno dei due testi in maniera sostanzialmente indipendente l'uno dall'altro, nella quasi certezza che si ha da fare con due versioni alquanto differenti di un identico messaggio relativo ad un certo evento storico: la consacrazione, da parte di Thefario Velianio, lucumone o principe-tiranno di Cere, di un piccolo edificio religioso in onore della dea Giunone-Astarte.

Per parte mia premetto che il mio presente intervento sui testi etruschi delle lamine di Pirgi trova la sua motivazione in due importanti circostanze: in questi ultimi quasi quarant'anni che ci separano dalla scoperta delle lamine, la conoscenza dell'etrusco ha effettuato numerosi ed importanti passi in avanti, conseguenti sia al ritrovamento di altro materiale documentario e quindi ad una più ampia e più esatta documentazione della lingua etrusca, sia al conseguente ulteriore approfondimento scientifico che ne hanno effettuato gli specialisti, soprattutto quelli di estrazione propriamente linguistica. Procedo adesso a presentare il testo delle tre lamine prima nella loro effettiva documentazione epigrafica e dopo nel loro ordinamento propriamente linguistico, infine la mia traduzione ed il mio commento storico-linguistico di ciascuna.

 

 1ª lamina con iscrizione in lingua etrusca

 

 

cioè

Traduzione: «Questo thesaurus e queste statuette sono divenuti di Giunone-Astarte. Avendo la protettrice della Città concesso a Thefario Velianio due [figli] da Cluvenia, (egli) ha donato a ciascun tempio ed al tesoriere offerte in terreni per i tre anni completi di questo Reggente, offerte in sale (?) per la presidenza del tempio di questa (Giunone) Dispensatrice di discendenti; ed a queste statue (siano) anni quanti (sono) gli astri!».

tmia «thesaurus, tesoro di santuario», da confrontare col greco tameîon «tesoro o tesoreria» (vedi sotto tameresca); si trattava di una di quelle edicole che una città o il suo regnante costruiva accanto ai grandi santuari per esporvi i doni offerti alle rispettive divinità, anche con finalità propagandistiche di immagine esterna nei confronti dei numerosissimi frequentatori dei santuari. ita tmia icac heramasva «questo thesaurus e queste statuette». Il pronome dimostrativo ita «questo» corrisponde perfettamente ad ica «questo», per cui è da escludersi che in questo passo dietro le due varianti esista una qualche distinzione. L'uso così ravvicinato che lo scrivano ha fatto delle due varianti può essere stato determinato, al livello di meccanismo inconscio, dalla attrazione delle consonanti vicine: ita t- e ica-c.

heramasva «statuette», in cui -s(a)- è una variante del noto suffisso diminutivo -za, mentre -va è la ugualmente nota desinenza del plurale (vedi avanti heramve). Probabilmente le statuette erano due, una per ciascuno dei figli di Thefario Velianio, e ancora probabilmente raffiguravano i due bambini oppure due animali che simbolizzavano altrettante vittime da immolare alla divinità.

vatiekhe «sono venuti, sono divenuti», forse da confrontare col lat. vadere; è al preterito debole attivo, in 3ª persona plurale.

unialastres, da distinguere in unial-astres «di Giunone-Astarte», è da confrontare con fuflunsul pakhies «di Funfluns-Bacco» dell'iscr. TLE-TET 336, prove evidenti, l'una e l'altra, di interpretazione od assimilazione sincretistica di dèi stranieri in origine differenti. Una spiegazione unitaria del vocabolo in senso totalmente etrusco è da respingersi perché inspiegabile dal punto di vista morfologico; d'altronde anche l'iscrizione punica nella prima riga richiama esplicitamente Astarte: L'STRT.

vatiekhe unialastres «sono divenuti di Giunone-Astarte», cioè, dopo la dedicazione e la consacrazione ormai «appartengono a Giunone-Astarte».

themiasa probabilmente significa «che ha concesso, avendo concesso», participio passato attivo (LEGL 124), da connettere con thamuce «concesse» della 3ª lamina.

mekh il contesto ci spinge a reintegrare una l morfema del genitivo, cioè mekhl «della città, della città-stato, dello Stato, del Popolo», in questo caso "della città-stato di Cere"; vedi mekhl dell'iscr. CIE 5360 di Tarquinia e della Tabula Cortonensis (capo I).

thuta «tutore, protettore-trice, patrono-a»; cfr. ati thuta «madre protettrice» dell'iscr. TLE-TET 159; è da confrontare col lat. tutor, tutrix, che è privo di etimologia (DELL s.v. tueor) e che pertanto potrebbe derivare proprio dall'etrusco.

thefariei è un prenome maschile, che corrisponde a quello lat. Tiberius; è in dativo asigmatico (LEGL 80, 2°). In velianas non compare la desinenza del dativo a norma della "flessione di gruppo"; invece la -s è quella dell'originario genitivo patronimico ormai fossilizzata (LEGL 78).

sal «due». Non si può affatto escludere che questo sia l'esatto significato di sal con la considerazione che la compresenza di zal e sal nel Liber linteus della Mummia vieterebbe che i due vocaboli avessero il medesimo significato, come ha scritto M. Pallottino, Saggi, 648; infatti l'alternanza zal/sal «due» si riscontra anche nella Tabula Cortonensis (capo I).

cluvenias gentilizio femm. (in genitivo), che trova riscontro in quello lat. Cluvenius (RNG).

munistas «del monumento o edificio o tempio», letteralmente «di questo monumento ecc.», da distinguere in munis-tas (in epoca recente sarebbe stato munists), in genitivo di donazione (LEGL 104, 136).

thuva(-s) probabilmente aggettivo riferito a munistas e pur'esso in genitivo; siccome sembra derivato da thu «uno», probabilmente significa «singolo», «ciascuno», con riferimento a ciascuno dei due templi che costituivano il complesso sacrale di Pirgi.

tameresca (tameres-ca) «e del tesoriere» del tempio, anch'esso in genitivo di donazione; vedi tamera «dispensiere, tesoriere, questore» delle iscr. TLE-TET 170, 172, 195, da confrontare col greco tamías «dispensiere». Per la congiunzione enclitica -ca vedi hamphisca, laivisca del Liber linteus e fariceka dell'iscr. TLE-TET 78.

ilacve «offerte» (plur.) (LEGL 69).

tulerase «in terreni» e sarebbe il dativo sigmatico plur. di tul «confine, terreno, territorio», plur. tular = lat. fines «confine,-i» e «terreno,-i, territorio» (LEGL 80, 1°).

nac «per, in», preposizione che nella frase ci avil khurvar «per i tre anni completi», avente un implicito valore "temporale", mostra di reggere l'accusativo, mentre nella frase seguente nac atranes zilacal «per la presidenza del tempio», avente un implicito valore "finale", mostra di reggere il genitivo.

khurvar siccome richiama il lat. curvus, è probabile che significhi «circolari», ma qui col significato di «completi» (aggettivo plur.) (LELN 122).

tesiameitale, da confrontare con tesinth «curatore, comandante, capo» dell'iscr. TLE-TET 227 (LEGL 124); lo traduco «di questo Reggente» per il fatto che non si riesce a capire quale fosse l'esatta posizione giuridico-istituzionale di Thefario Velianio rispetto alla città-stato di Cere, anche se si ha l'impressione che fosse un "Principe-Tiranno", come quelli che di volta in volta si impadronivano del potere in numerose poleis greche. Inoltre è ragionevolmente ipotizzabile che egli fosse stato aiutato dalla potente Cartagine nella sua conquista del potere a Cere; ed in questo modo e per questa ragione si comprenderebbero bene sia la assimilazione effettuata nella lamina tra la etrusca Giunone e la fenicia Astarte, sia la versione in lingua punica dell'iscrizione etrusca di questa 1ª lamina. In proposito è appena da ricordare la notizia data da Erodoto (I 166, 167; VI 17) della lega politico-militare che si era stabilita fra Cere e Cartagine, la quale aveva attaccato i Focesi della colonia greca di Alalia, in Corsica, nella battaglia navale del Mare Sardo (circa 535 a.C.) e, pur con un esito militare incerto, li aveva costretti a sloggiare dalla Corsica. Il vocabolo è da distinguere in tesiame-itale, con -itale genitivo del pronome dimostrativo ita «questo-a» in posizione enclitica; in epoca più recente sarebbe stato -itle e cioè *tesiameitle (cfr. il seguente seleitala).

alsase «in sale» (?), in dativo sigmatico come tulerase, ma al sing.; in questa supposizione sarebbe da richiamare il greco áls ed il lat. sal, inoltre il nome della città etrusca di Alsium sulla costa tirrenica presso Cere andrebbe spiegato con riferimento alla estrazione del sale. È appena da ricordare il grande valore che aveva il sale in epoca antica, anche per la conservazione delle carni e dei pesci. In subordine prospetto che ilacve alsase significhi «offerte (in terreni) ad Alsium».

atrane(-s) sembra un aggettivo derivato dall'etr.-lat. atrium «atrio» ed anche «tempio», per cui significherebbe «templare, del tempio» (in genitivo).

zilacal (zilac-al) «della prefettura o presidenza» templare o del tempio.

seleitala «di questa Dispensatrice», da confrontare con selace «ha elargito» della 3ª lamina; è da distinguere in sele-itala, con -itala ancora genitivo del pronome dimostrativo ita in posizione enclitica e forse al femm. (cfr. venala dell'iscr. TLE-TET 34); in età più recente sarebbe stato *seleitla (cfr. tesiameitale) (LEGL 107).

acnasvers probabilmente «d(e)i discendenti o successori» (genit. plur.), da confrontare con acnanas «che lascia, lasciando», acnanasa «che ha lasciato, avendo lasciato» (LEGL 123, 124).

itanim (itani-m) probabilmente «ed a questi-e», dativo plur. di ita «questo-a», da confrontare con etan «questo-a» (accusativo; TLE-TET 620, Cr 3.24). Però potrebbe corrispondere al più recente etnam «poi, inoltre, in verità» = lat. etenim «(e) infatti, in realtà, in verità», per cui la frase andrebbe tradotta: «In verità le statue (abbiano tanti) anni quanti (sono) gli astri!». In ciascuna delle due soluzioni si deve pensare ad una frase ottativa, che per ciò stesso spiegherebbe l'ellissi del verbo. È del tutto errato affermare - come ha fatto un archeologo - che non esistono proposizioni ottative che sottintendano il verbo: ne esistono in tutte le lingue, ad es. la locuzione italiana Alla salute! sottintende questo sia o torni alla tua (vostra o nostra) salute!; la frase augurale Auguri agli sposi e figli maschi! sottintende ed abbiano figli maschi!

heramve «statue» (plur.), quelle offerte a Giunone-Astarte da Th. Velianio per i suoi due figli, probabilmente due, cioè una per ciascuno; è da confrontare col greco hérma «erma, base, sostegno, puntello, cippo (anche funerario), cippo con figura di Ermes», dio Hérmes «Ermes», fiume Hérmos della Lidia (finora privi di etimologia, ma probabilmente anatolici e lidî; GEW, DELG) ed inoltre con la glossa etr. Ermius «agosto» (ThLE 416).

eniaca «quanti-e».

pulumkhva «astri, stelle» (plur., LEGL 69), significato assicurato da un corrispondente vocabolo della iscrizione punica.

 

 2ª lamina con iscrizione in lingua fenicio-punica

«Alla signora Astarte questo sacello ha fatto e donato Tiberio Velianio re di Cere, nel mese di Zebah, come dono nel tempio e nella cella, perché Astarte ha favorito il suo fedele, nel terzo anno del suo regno, nel mese di KRR, nel giorno della sepoltura della divinità. E gli anni della statua della divinità siano tanti quanti (sono) gli astri».

            Questa traduzione della 2ª lamina è stata da me derivata da quelle correnti prospettate da specialisti della lingua fenicio-punica, ma adattata alla mia personale traduzione della 1ª iscrizione in lingua etrusca. Su questa mia traduzione però non intenderei insistere, per il motivo che sono consapevole di non avere una sufficiente competenza su questa lingua, tale da osare di confrontarmi coi colleghi semitisti. L'unica cosa che mi sento di dire è che quasi certamente lo scriba che ha stilato l'iscrizione fenicio-punica era un cartaginese, il quale non comprese bene l'iscrizione stilata dal suo collega etrusco; e soprattutto da questo fatto saranno derivate le discrepanze tra le due iscrizioni.

 

  3ª lamina con iscrizione in lingua etrusca

 

 

cioè:

«Così Thefario Velianio ha concesso l'offerta del corrente mese di dicembre (ed) ha fatto elargizioni a Giunone. La cerimonia degli anni del thesaurus è stata la undicesima (rispetto a)gli astri».  Oppure  «Così Thefario Velianio ha concesso l'offerta del corrente mese di dicembre a Giunone (ed) ha fatto elargizioni (al tempio). La cerimonia degli anni del thesaurus è stata la undicesima (rispetto a)gli astri».

             Sia il cambio di grafia fra le due lamine scritte in etrusco sia la differenza tra la forma del gentilizio Velianas della prima e Veliiunas di questa ci assicurano che ciascuna delle due lamine è stata scritta da un differente scrivano. Probabilmente il nome del committente in realtà suonava Vélinas, cioè con l'accento sulla prima sillaba e con la vocale posttonica indistinta.

thamuce «concesse, ha concesso»; nell'iscr. CIE 5357 compare come thamce, cioè sincopato (vedi themiasa della 1ª lamina).

etan(-al) interpreto «(del) presente o corrente», intendendolo come derivato dal pronome dimostrativo eta «questo».

masan probabilmente «dicembre» oppure, in subordine, «novembre», e corrisponde alla forma sincopata masn del Liber linteus.

tiur «mese». masan tiur sono privi della desinenza del genitivo ai sensi della "flessione di gruppo" (LEGL 83-84).

unia(-s) «(di) Giunone» in genitivo di donazione o dedicazione (LEGL 136).

vacal «rito sacro, cerimonia»; nel Liber linteus figura sincopato in vacl.

tmial «del thesaurus» (genit.); vedi 1ª lamina.

avilkhval (avil-khva-l) «degli anni», in genitivo plur. (LEGL 74).

amuce «fu, è stato».

pulumkhva «per, rispetto agli astri», i quali segnavano il passare del tempo; è un complemento di tempo con morfema zero.

snuiaph «undici»; già Marcello Durante aveva intravisto che si tratta di un numerale. Secondo G. Giannecchini («La Parola del Passato», 1997), indicherebbe il numero «dodici»; io lo escluderei, visto che in etrusco «dodici» molto probabilmente si diceva sranczl (LEGL 96). Comunque questo divario di un numero non implicherebbe alcuna differenza effettiva, per effetto del modo in cui la gente spesso effettua la numerazione, cioè saltando sia il terminus a quo sia il terminus ad quem. Dunque la commemorazione della prima fondazione e dedicazione del thesaurus venne fatta undici/dodici anni dopo, secondo un numero che nei tempi antichi aveva anche una valenza sacrale in virtù delle dodici lunazioni della luna. E per questo motivo si spiega la diversità dello scrivano della 1ª lamina rispetto a quello della 3ª.

Molto notevole è il fatto che in questa 3ª lamina non si faccia alcun riferimento alla fenicia Astarte e che a questa iscrizione etrusca non ne corrisponda una analoga punica: nella verosimile supposizione che ho fatto a proposito della 1ª lamina, evidentemente Thefario Velianio negli undici/dodici anni trascorsi aveva ormai rafforzato il suo potere su Cere, per cui non aveva più bisogno dell'aiuto di Cartagine e tanto meno di ringraziarla pubblicamente.

 

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