Skylletion - Scolacium
La città greca di SkylIetion fu fondata, secondo la tradizione, dall'eroe ateniese Menesteo, o addirittura da Ulisse, al ritorno dalla guerra di Troia, ma pochi sono i dati sicuri. In età storica ebbe un importante ruolo di presidio dell'istmo, nella strategia espansionistica di Crotone contro Locri. Si hanno pochi dati archeologici relativi all'età più antica: sporadici frammenti ceramici (tra questi, alcuni a Figure nere di produzione ateniese) risalgono al VI sec. a.C. Nel 123/122 a.C., per iniziativa di Caio Gracco, i Romani vi fondarono la Colonia Minervia Scolacium, secondo interessi più politico-commerciali che militari. Forse distrutta da Spartaco tra il 72 ed il 71 a.C., la città superò la crisi e crebbe d'importanza, raggiungendo già in età giulio-claudia un ruolo primario nel Bruttium romano, che conservò fin dopo la caduta dell'impero. A questo periodo risalgono forse la pavimentazione del foro e la fase più antica dei teatro, che è romano e non greco. Tra il 96 e il 98 d.C. l'imperatore Nerva si fece promotore di una ricolonizzazione, con relativo afflusso di denaro pubblico. La città assunse il nome di Colonia Minervia Nervia Augusta Scolacium. Al II sec. d.C. risalgono l'anfiteatro, la nuova scena del teatro e il grande acquedotto, mentre ristrutturazioni dell'area centrale sono attestate pur nella crisi dei IIl sec. d.C. La guerra greco-gotica (535-552) segnò il declino di Scolacium, anche se il suo figlio più illustre, Cassiodoro, alla fine dei VI sec. d.C., pur con comprensibile indulgenza, descrive la città natia come ancora fiorente. Nel VII-VIII sec. d.C. la città venne abbandonata: secondo un fenomeno comune in Italia, gli abitanti cercarono posti più arroccati, per meglio difendersi dagli attacchi dal mare. L'attuale Squillace ne ereditò il nome ed il ruolo di sede vescovile.
Il Teatro
Il
teatro di Scolacium, pur appoggiandosi al declivio naturale di una
collina secondo la maniera greca, è riferibile, nelle strutture
finora indagate, all'impianto romano. Alla prima fase, in epoca
giulio-claudia, riconoscibile per l'impiego dell'opus reticulatum,
appartengono la cavea (la gradinata per il pubblico), il vano in
summa cavea, il muro dei pulpitum (il palcoscenico), parte
della decorazione architettonica marmorea della scena, l'ara dei
Seviri Augustali ed i resti di una epigrafe monumentale. Alla
seconda fase (100-150 d.C. ca.) appartengono la scena, i parasceni,
forse l'orchestra, alcuni capitelli e la decorazione fittile della
scena (lastre ed antefisse). L'abbandono dell'edificio, a seguito di
un violento incendio, sembra essere avvenuto prima della metà del
IV sec. d.C., epoca in cui inizia l'imponente interro. Poco resta
dei muri della scena, quasi completamente crollata, se non le
strutture in fondazione. Ben conservati sono invece il muro del pulpitum
e la fossa dell'aulaeum (sipario), con otto pozzetti dentro
cui scorrevano pali e contrappesi per manovrare il sipario dal basso
verso l'alto. Dalla scena provengono tre teste-ritratto (due d'età
giulio-claudia ed una d'età flavia) di notabili locali. Due
passaggi voltati (confornicationes), più tardi murati,
davano accesso alla parte bassa della cavea e all'orchestra e
sostenevano i due palchi laterali (tríbunalia).
Attorno all'orchestra semicircolare (diam. m 12, 10), pavimentata a
grandi lastre di calcare, sono tre bassi gradoni destinati ad
ospitare i subsellia (i posti d'onore di allora). Un
corridoio (praecinctio) separa quest'area dall'íma cavea,
che conserva ancora gran parte della gradinata, divisa in cinque
cunei da sei scalette; nel punto più alto del cuneo centrale è un
grande podio in muratura (m 1,7x 1) di destinazione ancora incerta.
L'ampiezza dell'intera cavea (diam. m 60) era tale da poter
ospitare circa 3500 spettatori.
Il Foro
Il
foro di Scolacium, con orientamento NW-SE, ha forma di
rettangolo allungato (m. 38x93 ca). Delimitato da una canaletta in
calcare, è insolitamente pavimentato in sesquipedali (laterizi
quadrati di cm 44 ca di lato), organizzati in grandi quadrati di
cento elementi, disposti dentro una cornice anch'essa in laterizi.
Questo modulo, che si ripete otto volte per la larghezza e diciotto
(?) per la lunghezza, costituisce sul terreno una griglia regolare,
segnata da un percorso trasversale in pietra, della larghezza di
circa un metro. Tracce di successivi interventi si conservano nei
resti dei tribunal, lungo il lato NE, o nei buchi per pali
che ne segnano l'ultimo uso prima dell'abbandono (seconda metà dei
VI sec. d.C.). Il lato corto NW è chiuso dal Decumanus Maximus, una
larga strada lastricata con basoli in granito, che corre
sopraelevata rispetto al piano della piazza, sostenuta da un muretto
di terrazzamento. In corrispondenza dell'asse longitudinale, una
rampa, anch'essa in basoli di granito, raccorda i due piani, con
inserita una grande iscrizione plateale in lettere di bronzo,
disposte su due righe, che ricorda la munificenza di un notabile
locale, della nobile famiglia dei Decímii. Sullo stesso lato
sorge su un podio una fontana, dalla cui area proviene la statua
acefala di un personaggio femminile in veste di Cerere, forse
un'imperatrice del lI sec. d.C.
L'opposto lato corto SE, oltre la Statale 106, è delimitato dai
resti di un grande edificio colonnato, forse la Basilica. Lungo il
lato lungo NE si allineano tre ambienti, i cui lati posteriori
coprono una strada più antica. Sono collegati tutti, sul davanti,
da un portico che si affaccia sul foro. Sono un'aula absidata, un
ambiente con pavimento a mosaico provvisto di podio (Curia?) e un più
grande vano, forse di destinazione termale. Dal portico provengono
cinque statue di togati (l sec. a.C.-metà I
sec. d.C.), tra cui quella del Genius Augusti, che ha fatto
pensare ad una destinazione del complesso al culto imperiale.
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