La Jihad

 

Jihâd, termine arabo che significa ‘combattimento’, ‘lotta’. Dovere imposto a tutti i musulmani di diffondere l’Islâm mediante la guerra. Termine spesso tradotto con ‘guerra santa’.

        Così inizia la definizione della voce Jihâd sull’Enciclopedia Britannica, una definizione che corrisponde all’idea comune e diffusa del Jihâd, e direi anche all’idea dell’Islâm stesso, che ritroviamo nei media e nella coscienza comune oggi. Intendiamo dire l’idea che l’Islâm sia una religione diffusasi con la guerra e che oggi con la guerra, con la violenza, vuole imporsi nel mondo occidentale, in tutto il mondo. Capita anche di leggere che il Jihâd, "Guerra Santa" è uno dei principi, dei fondamenti dell’Islâm e generalmente si ritiene che la "Guerra Santa" sia appunto un obbligo, un dovere, per tutti i musulmani. 

        Evidentemente sono un pessimo musulmano, visto che non solo non ho mai ucciso nessuno, ma non ho neanche mai picchiato qualcuno: la mia fede è proprio debole! Ciò che cercheremo di fare in questo nostro incontro sarà mostrare come quest’immagine dell’Islâm e del Jihâd non sia corretta. Le nostre argomentazioni si baseranno in primo luogo sul Corano, primo e fondamentale elemento di discriminazione tra ciò che è autenticamente islamico da ciò che è solo tradizione culturale o semplice propaganda politica. Non a caso uno dei vari nomi con cui ci si riferisce al Corano è "al Furqân", che vuol dire appunto "separatore del vero dal falso". Ci rifaremo poi alla Sunna, cioè i detti e gli atti del Profeta Maometto e infine alla storia dell’Islâm. E sia nel Corano, che nella Sunna, che nella storia dell’Islâm non troveremo la cosiddetta "Guerra Santa", il che non vuol dire che non troveremo la guerra.

 

L'ISLAM E LE ALTRE RELIGIONI

 

Dicevamo quindi che Jihâd nell’immaginario comune è associato all’idea che i musulmani debbano diffondere con la forza, con la guerra la propria religione. In realtà questo è esplicitamente e categoricamente proibito dal Corano:

"Non vi sia costrizione in fatto di religione" (II, 256). E ancora: "La verità viene dal vostro Signore: chi vuole creda, chi non vuole non creda" (XVIII, 29);

Altro che guerra: ognuno è libero di professare la propria religione senza alcuna forma di costrizione fisica, psicologica o di altro tipo. Ma il Corano ci dice ancora di più:

"Se qualcuno degli idolatri ti chiede asilo, accordaglielo affinché possa udire la parola di Dio e conducilo in un luogo per lui sicuro" (IX, 6).

Dunque addirittura il musulmano è tenuto a proteggere chi professa altre religioni. E tutto ciò ha una sua profonda giustificazione nel Corano:

"Se il tuo Signore avesse voluto, avrebbe fatto di tutti gli uomini una sola comunità" (XI, 118).

Dunque per un musulmano il fatto che esistano più religioni, più comunità religiose non pone alcun problema: si tratta di una precisa volontà divina. Inoltre questa divisione tra più religioni, non è una divisione tra buoni e cattivi, non è stata fatta per dannare gli uni e salvare gli altri, perché dice sempre il Corano:

"Certamente quelli che credono [i musulmani], quelli che seguono la religione giudaica, i cristiani e i sabei, chiunque insomma creda in Dio e nel giorno ultimo e abbia compiuto opere buone, tutti avranno la mercede loro presso il Signore" (II, 62).

E ancora: "quando giungerà l’ora ultima, allora i facitori di vanità si perderanno; e ogni comunità sarà chiamata davanti al suo libro [e sarà detto loro:] Ecco, ora verrete retribuiti secondo ciò che avete fatto" (XLV, 27).

Dunque qualunque sia la comunità religiosa cui un uomo appartiene, questi avrà una sorte nell’aldilà in funzione di come si è comportato. Il senso dell’articolazione dell’umanità tutta in comunità religiose diverse, sta allora nel libero confronto tra le varie comunità nell’adorazione dell’unico Dio e nel compimento del bene, come afferma esplicitamente il Corano:

"A ognuno di voi abbiamo dato una legge e una via. Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità: non lo ha fatto per provarvi mediante ciò che vi ha dato. Gareggiate dunque in opere buone! Ritornerete tutti a Dio, ed egli vi farà conoscere ciò su cui siete discordi" (V, 48)

Una precisazione si impone. Nel versetto sopra citato si parla di ebrei e cristiani e nel Corano è essenzialmente a queste comunità religiose cui si fa riferimento, ma sempre nel Corano troviamo scritto:

"E mandammo inviati, dei quali ti abbiamo narrato in precedenza e messaggeri di cui non ti abbiamo narrato" (IV, 164).

Il Corano cita 25 profeti, ma la tradizione islamica ha indicato il numero dei profeti in 124.000 e il numero dei libri rivelati in 104. Sulla scorta di questi dati i musulmani, e in particolare i sufi, vale a dire i mistici dell’Islâm, hanno riconosciuto come inviati di Dio, tra gli altri, Zarathustra e Buddha ed hanno annoverato i Veda, gli antichi testi sacri induisti, tra i libri rivelati.

Si osserverà: questa è la teoria, la realtà storica è invece quella che vede il guerriero musulmano con in mano una spada e nell’altra il Corano che impone la scelta tra la morte e il diventare musulmano. A parte l’incongruità di questa immagine che, poiché il Corano deve essere tenuto con la destra e non con la sinistra, implica che tutti i musulmani tengano la spada nella sinistra, quindi siano mancini, questa immagine è anche falsa storicamente. Così scriveva Omar, il secondo dei successori di Maometto, ad uno dei suoi governatori:

"Né tu né i musulmani che sono sotto di te devono trattare gli infedeli come bottino e venderli come schiavi […]. Se esigete da loro il testatico, non potete avere più alcuna pretesa né diritto su di loro. […] Perciò imponi su di loro un testatico e non renderli schiavi, né permettere ai musulmani di opprimerli o di far loro del male o di dissipare le loro proprietà […] ma attieniti fedelmente alle condizioni che hai concesso loro".

Rivolgiamo ora alle fonti cristiane dell’epoca della prima diffusione dell’Islâm:

"Il capo degli Arabi ordinò ai suoi di non uccidere i vecchi, né i bambini, né le ragazze, di non tagliare gli alberi da frutto né le messi e di non distruggere le case. Mandò poi un suo messaggero agli abitanti di Gaza chiedendo loro di aprirgli le porte, perché non cercava né oro, né argento, né donne, né figli, né figlie, né la città, né le singole case, bensì desiderava la loro amicizia, e concordia, sicurezza, pace" (Fra’ Guglielmo da Tripoli, domenicano).

"Domandarono allora ai cristiani e agli ebrei di pagare la capitazione; questi la pagarono e furono trattati dagli arabi con bontà. Per grazia divina, la prosperità regnò, e il cuore dei cristiani esultò per il dominio degli arabi" (Cronaca di Séert).

Né si pensi che questo atteggiamento "tollerante" fosse proprio solo degli inizi dell’Islâm. Nell’XI secolo il califfo fatimide al-Dhâhir emanò un editto in cui si ribadiva che:

"Chiunque […] desideri entrare nella religione dell’Islâm per scelta del suo cuore e per grazia di Dio […] lo può fare e sarà benvenuto e benedetto; chiunque preferisce restare nella sua religione […] avrà protezione e salvaguardia, ed è dovere di tutti i membri della comunità musulmana di proteggerlo e difenderlo".

E un decreto ottomano del sultano Mehmet II del 1602 afferma:

"Dato che, in accordo con quanto Dio onnipotente […] ha comandato nel Suo Libro Manifesto [il Corano] riguardo alle comunità degli ebrei e dei cristiani […] la loro protezione e difesa e la salvaguardia delle loro vite e dei loro possessi sono un dovere perpetuo e collettivo della generalità dei musulmani e un obbligo necessario che incombe su tutti i sovrani dell’Islâm […]. Pertanto è necessario e importante che la mia preoccupazione elevata e religiosamente ispirata tenda ad assicurare che, in accordo con la nobile Shari’a, ognuna di queste comunità che paga a me le tasse, nei giorni del mio regno imperiale e nel periodo del mio felice califfato, vivano in tranquillità e pace di mente e possano andare dietro ai loro affari, che nessuno li ostacoli dal farlo, e che nessuno provochi offesa alle loro persone o ai loro possessi, in violazione del comando di Dio e in contravvenzione alla Santa Legge del Profeta".

        Recenti studi hanno confermato che il processo di conversione, nel quale giocarono un ruolo rilevante i sufi, che portò la maggioranza delle popolazioni conquistate a diventare musulmane, fu un processo molto lungo, senza mai giungere a eliminare le comunità non musulmane. Così, a differenza del mondo cristiano dove, con la sola eccezione degli ebrei, non sono mai sopravvissute comunità di altre religioni, nel mondo musulmano sono sempre esiste altre comunità religiose: ebrei, cristiani, zoroastriani, induisti, buddisti, ecc. Si pensi che dai dati del censimento ottomano del 1520 risulta che a Istanbul ben il 41,71% delle famiglie non era di religione musulmana.

        Particolarmente forte risulta il contrasto tra la condizione degli ebrei nel mondo musulmano e nel mondo cristiano. Leggiamo la lettera di un ebreo della prima metà del quindicesimo secolo:

"Ho saputo delle afflizioni più amare della morte, che si sono abbattute sui nostri fratelli in Germania – delle leggi tiranniche, del battesimo forzato e delle espulsioni, che sono all’ordine del giorno […]. Fratelli e maestri, amici e conoscenti! Io, Isaac Zarfati, benché derivi da ceppo francese, sono nato in Germania […]. Dichiaro a tutti voi che la Turchia è una terra dove non manca nulla, e dove, se lo vorrete, tutto vi andrà bene […]. Non è forse meglio per voi vivere sotto i musulmani che sotto i cristiani? Qui ogni uomo può vivere in pace sotto la sua vigna e il suo fico. Qui tutti potete indossare gli abiti più raffinati".

        Un secolo dopo Samuel Usque, un ebreo portoghese, in un’opera famosa "La consolazione per le tribolazioni di Israele", scrive che in Turchia "le porte della libertà sono sempre aperte all’osservanza dell’ebraismo". E così molti ebrei si rifugiarono in terra musulmana per sfuggire alle persecuzioni.

        Si giunse anche al punto che i sultani si eressero a difensori dell’intero popolo ebraico, anche di coloro che non vivevano in terre musulmane. Il caso più famoso è quello di Ancona del 1556. Ad Ancona, allora parte del regno pontificio, fiorente centro di scambi commerciali con l’oriente, si erano stabiliti numerosi marrani, cioè ebrei obbligati a convertirsi al cattolicesimo, che erano poi tornati apertamente alla loro religione. Papa Paolo IV, che riorganizzò e diede nuovo impulso all’inquisizione, non poteva tollerare una simile situazione. Così gli ebrei vennero arrestati, i loro beni confiscati, e la loro morte decretata, a meno che non si convertissero al cattolicesimo. Il Sultano Solimano, che si riteneva, secondo i principi sopra esposti, protettore degli ebrei intervenne a protezione degli ebrei, ma il papato ovviamente non gli riconosceva tale ruolo e così la sua protezione venne accordata solo agli ebrei che erano venuti dalla Turchia, che furono così salvati. Tutti gli altri vennero debitamente bruciati sul rogo.

        Naturalmente la realtà non è mai tutta rose e fiori, per cui il quadro di tolleranza da noi dipinto ha avuto le sue eccezioni. Così, se sotto i turchi la situazione è stata in generale quella che abbiamo descritto, più difficile era la situazione degli ebrei in Marocco, dove a un certo punto esistette anche un ghetto, istituzione del tutto sconosciuta nel resto del mondo musulmano.

        Inoltre le circostanze storiche potevano portare ad atteggiamenti meno tolleranti: come è ovvio nei periodi di maggior conflittualità con gli stati cristiani i non musulmani sono stati guardati con sospetto, in quanto possibili "quinte colonne". Così accadde durante le crociate. E così è avvenuto con il colonialismo europeo a partire dal secolo scorso, anche perché le potenze europee hanno di solito usato appoggiarsi esplicitamente alle popolazioni non musulmane. La nascita dello stato di Israele nel 1948 ha poi segnato profondamente il sentimento musulmano, determinando il successo delle versioni arabe della propaganda antisemita europea.

 

LA GUERRA NELL'ISLAM

        

Chiarito quindi che l’Islâm non solo non prescrive, ma condanna la conversione con la forza, con la guerra, andiamo a veder qual è lo statuto della guerra nell’Islâm.

        L’Islâm è una religione dell’equilibrio, della moderazione, direi del "giusto mezzo". È una religione che non ama gli eccessi, le esagerazioni. Dunque la guerra esiste, ma deve essere condotta all’interno di limiti ben precisi. Dice infatti il Corano:

"Combattete coloro che vi combattono, ma non superate i limiti, perché Dio non ama quelli che eccedono. Uccideteli quindi ovunque li troviate […] perché l’ingiustizia è peggio dell’uccisione. […] Ma se desistono, sappiate che Dio è indulgente e misericordioso. […] Se desistono non ci siano più ostilità." (II, 190-193).

E ancora: "Perché non combattete per la causa di Dio, per i più deboli tra gli uomini, le donne e i bambini che dicono: ’Signore, facci uscire da questa città di gente iniqua. Dacci per tua grazia un patrono. Dacci per tua grazia un difensore’" (Corano IV, 75).

        Dunque la guerra è consentita solo se si è aggrediti o se si tratta di difendere un soggetto debole, incapace di difendersi ad solo. In ogni caso è assolutamente vietata la guerra di aggressione. Il musulmano non deve mai essere colui che inizia una guerra, una violenza.

        Sulla base della Sunna, cioè dei detti del Profeta Maometto, i limiti della guerra sono stati ulteriormente specificati. Così il diritto islamico ha stabilito che in ogni caso è proibito uccidere:

  1. La donna, purché non sia combattente con le armi come gli uomini. Non viene però uccisa se si limita a lanciare pietre o simili. Ricordo che, anche se oggi l’immagine della donna musulmana è quella di una reclusa, nella storia dell’Islâm sono state diverse le donne che hanno avuto parte attiva nella storia ed hanno anche combattuto e guidato eserciti in battaglia.
  2. Il ragazzo, con gli stessi limiti visti per le donne.
  3. Il malato di mente
  4. Il vecchio che non ha la forza di combattere
  5. Il paralitico, il malato cronico che non ha la forza di combattere o di camminare come lo storpio, il mutilato, ecc.
  6. Il cieco
  7. Il monaco

        In pratica è possibile uccidere solo chi direttamente ci attacca con l’intenzione e la capacità di ucciderci. Ma la guerra è stata limitata nella storia dell’Islâm anche nei suoi aspetti distruttivi. Ecco quali sono le istruzioni che Abu Bakr, il successore di Maometto alla guida della comunità musulmana, dà ai comandanti dei battaglioni in partenza per la Siria:

"[…] chiedete l’aiuto di Dio nel combattere, nel rispetto delle regole date da Dio. Non tagliate alberi e non bruciateli, non uccidete bestie, non abbattete alberi da frutto, non demolite luoghi di culto, non uccidete bambini, anziani e donne. Troverete dei religiosi, che si dedicano all’adorazione nei loro monasteri o nei loro eremi. Non disturbateli."

 

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