CATANIA
Secondo quanto scrive Tucidide Catania venne fondata nel 729 a.C. da coloni
greci provenienti da Calcide nell'Eubea : dopo aver dato vita a Naxos nel 734
a.C. costoro, spingendosi verso sud, con la forza delle armi scacciarono dalle
loro sedi i Siculi e crearono le città di Leontini e di Catania appunto. In
piena consonanza con la notizia dello storico ateniese sono principalmente i
risultati di un recentissimo scavo all'interno del Castello Ursino: qui, in un'area che nell'antichità
era più vicina al mare di quanto non lo sia attualmente, sono stati rinvenuti
strutture e materiali greci che risalgono al periodo tra la fine dell'VIII e gli
inizi del VII secolo, attribuibili cioè alla fase originaria della colonia di
Catania.
Anche sulla sommità della collina dell'acropoli - oggi occupata dalla piazza
Dante e dal grandioso monastero benedettino di San Nicolò l'Arena - sono stati scoperti strutture e
materiali greci di VII secolo, che messi in relazione con quelli di Castello
Ursino, suggeriscono l'idea che l'insediamento di Catania, al pari di quello di
altre colonie siciliane, avesse occupato fin dagli inizi un ampio spazio senza
procedere però alla sua capillare urbanizzazione. E' da ricordare ancora che
sempre nel corso delle stesse indagini sulla collina dell'acropoli sono state
rinvenute significative tracce di frequentazione del sito nel periodo
preistorico, relative in specie al neolitico ed all'età del rame.
resti della città vecchia
Per i secoli VII e VI le fonti letterarie sono avare di notizie su Katane
(questo il nome della città in epoca greca): ci fanno comunque sapere che, nei
decenni iniziali del VI secolo, vi fu attivo Caronda che le avrebbe dato un
corpo di leggi scritte. L'indagine archeologica invece permette di seguire
durante questo periodo la progressiva - e non pacifica - espansione della
colonia calcidese nel suo retroterra; una stipe votiva di eccezionale interesse,
attraverso i suoi materiali ceramici di VI secolo provenienti non solo dalle
officine di Atene e Corinto, ma anche di Sparta, Chio e altri centri greci,
lascia poi intravedere una Katane che risulta a pieno titolo inserita nel mondo
ellenico.
Nel 476 a.C. la conquista da parte del tiranno siracusano Gerone sconvolse la
vita della città: egli ne espulse gli abitanti calcidesi, la ripopolò con un
cospicuo numero di Dori di origine siracusana e peloponnesiaca, la rinominò
Aitna (Etna); nel 461 a.C., comunque, dopo la caduta della tirannide siracusana,
i Calcidesi ritornarono nella loro città ridandole l'antico nome. Nella seconda
metà del v secolo, nel corso della grande spedizione ateniese in Sicilia
(415-13 a.C.), gli abitanti di Catania si schierarono dalla parte della città
attica cercando di contrastare tra l'altro le mire della vicina Siracusa sul
proprio territorio. Una decina d'anni dopo la sconfitta ateniese, nel 403 a.C.,
Catania venne conquistata dal tiranno siracusano Dionigi il Grande: egli ne
vendette in parte come schiavi gli abitanti, e introdusse nella cittadinanza
gruppi di suoi mercenari campani. Dopo questi avvenimenti, nel IV secolo e nei
primi decenni del III, Catania restò inserita nell'orbita della potenza
siracusana. Indicativo in tal senso è anche il fatto che tra le statuette della
stipe di piazza S. Francesco per il V e il IV secolo il tipo più diffuso sia
quello di Kore con la fiaccola, introdotto con ogni verosimiglianza da Gerone,
sacerdote appunto di Demetra e Kore, al momento della prima conquista siracusana
di Catania.
Nella
centrale Piazza Stesicoro, ad un livello inferiore rispetto al piano stradale,
sono visibili cospicui resti dell'anfiteatro romano ( se ne possono osservare
resti anche su via Colosseo, piccola traversa di via Manzoni). Con una
circonferenza esterna di m 309 e la circonferenza dell'area di m 192, esso può
annoverarsi fra i più grandi anfiteatri, risultando inferiore solo
all'anfiteatro Flavio di Roma (Colosseo) e a quello di Verona. Secondo i calcoli
fatti dagli studiosi poteva contenere ben 15.000 spettattori seduti.
Anfiteatro
romano, veduta dall'alto |
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Vani
dell'anfiteatro romano |
Rimangono
visibili il corridoio che separava l'anfiteatro dalla collina retrostante, una
parte delle arcate esterne, alcuni grandi archi e volte con funzione di
sostegni delle gradinate e dei corridoi interni. Della cavea, che aveva 14
gradini, rimane una porzione del settore settentrionale dove è visibile
anche parte del podio nello spessore del quale sono le scalette che immettevano
ai posti del podio stesso ed al portico esterno. L'edificio
fu realizzato in opus vittatum con l'impiego di blocchetti di pietra
lavica disposti in serie orizzontali consolidate da piani di posa in mattoni. I
pilastri furono costruiti in opus quadratum, gli archi che vi si
appoggiano in opus latericium (mattoni) all'esterno ed in opus
caementicium (pietre miste a malta) all'interno. Ancora in situ è
possibile scorgere alcune lastre del rivestimento marmoreo del podio. Per
la tecnica costruttiva, utilizzata soprattutto nel periodo compreso fra l'età
di Adriano e quella degli Antonini, l'anfiteatro di Catania viene generalmente
datato alla seconda metà del II sec. d. C. Fu
parzialmente coperto dalla lava del 251 d. C. Nell'XI
secolo fu utilizzato da Ruggero il Normanno come cava di pietre per la
costruzione della cattedrale della città.
A
Sud di via Vittorio Emanuele e ad Ovest del teatro, nel luogo in cui è oggi la
piazza di S. Pantaleo, è stato riconosciuto il sito dell'antico foro romano e
probabilmente anche dell'agorà greca. In quest'area, infatti, ad una profondità
di circa 7 m sono stati rinvenuti i resti di una piazza quadrata, a Sud della
quale era una fila di tabernae. Ad Est si affianca alla piazza un lungo
corridoio in corrispondenza del quale ad un livello più alto sono i resti di un
porticato, probabilmente soprastante ad un criptoportico. La tecnica adoperata
nelle murature in opera reticolata delle strutture superstiti permette di
attribuire l'impianto e la monumentalizzazione dell'area di destinazione
pubblica ad età augustea. Altri resti da mettere forse in relazione con il foro
sono visibili anche sotto l'ex convento di S. Agostino, ora trasformato in
edificio scolastico, a Nord di via Vittorio Emanuele. Da questa zona provengono
le 32 colonne di marmo, forse pertinenti ad una basilica, riadoperate in piazza
Mazzini, le colonne riadoperate nella facciata della chiesa di S. Agostino, ed
un torso maschile databile alla prima età imperiale attualmente esposto
presso il Museo Civico di Castello Ursino.
Il
monumento funerario, conosciuto con il nome di "Ipogeo quadrato", è
ubicato dietro la via Ipogeo e ricade nella vasta area che, dalla fine del V
secolo a. C. fino ad epoca tardo-antica e cristiana, fu destinata ad uso
funerario. La zona, nota fino al secolo scorso con il nome di "Selva del
convento di S. Maria di Gesù", era compresa tra le colline del Giardino
Bellini ad est, la via Plebiscito a sud e il viale Regina Margherita a nord, nei
pressi del quale si trova il sepolcro a pianta circolare, detto "Mausoleo
Modica".
Ingresso
dell'ipogeo
(foto M. S. Bella)
Dell'ipogeo
si hanno notizie precise dal Principe Biscari, che lo descrive con una copertura
a piramide, rimane anche un acquerello dell'Houel e il rilievo eseguito dall'Ittar.
Numerosi studiosi si sono occupati del monumento, fra questi Ferrara, il duca
Serradifalco e, di recente, Bernabò Brea e Frasca. Si tratta probabilmente di
un edificio a due piani, del quale non vi sono più tracce, con destinazione
funeraria, attestata dalla presenza del loculo e delle nicchie all'interno del
vano ipogeico. L'ipogeo, ancora oggi visitabile, si apre sul lato ovest e vi si
può accede tramite una scaletta, della quale rimangono in situ solo i
tre gradini inferiori. Il vano è a pianta quadrata, sulla parete est, opposta
all'entarata, è ricavato un loculo, ormai rovinato; ai lati dell'ingresso sono
due nicchie per vasi cinerari. La copertura originaria doveva essere costituita
da una volta a botte, poi restaurata in mattoni ma oggi fortemente danneggiata.
Sulle pareti che fiancheggiano la scala si notano tracce di intonaco.
L'importanza architettonica e l'ubicazione del monumento funerario fanno
ipotizzare che appartenesse ad un esponente della classe elevata, che in
Sicilia, tra il II e il III secolo d. C., godeva di ottime condizione
economiche. Questa considerazione e la tipologia costruttiva del monumento
suggeriscono una datazione non precedente alla prima metà del II secolo d. C.
Occupa
l'area ad Ovest di Piazza S. Francesco, tra la via Vittorio Emanuele e la via
Teatro greco. Rimangono la cavea, l'orchestra e alcune parti della scena. La
cavea, formata da 21 serie di sedili divisi orizzontalmente da due passaggi (praecinctiones)
e verticalmente da nove cunei e otto scalette, poteva contenere non
meno di 7000 spettatori. Poggia su tre ambulacri in comunicazione fra loro
mediante scalette interne che portavano probabilmente ad un grande portico posto
in alto.
Teatro
Romano |
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Teatro
e Odèon, veduta dall'alto |
La
struttura è in calcestruzzo (malta cementizia mista a pietre e tegole fratte)
con paramento in mattoni e blocchi di pietra lavica; i sedili, in pietra
calcarea, erano originariamente rivestiti di lastre di marmo; la scale che
dividono la cavea sono in pietra lavica. Della ricca decorazione marmorea
resta solo un grande plinto a bucrani e ghirlande che sosteneva una delle
colonne che ornavano la frontescena. Ben conservato appare il pulpitum
con fronte a nicchiette semicircolari e quadrangolari, che soprattutto nel
tratto centrale conserva il rivestimento marmoreo. In una delle nicchie
semicircolari fu trovata una scultura decorativa in marmo, replica di età
romana della Leda con cigno la cui creazione originaria è attribuita allo
scultore greco Timoteo attivo fra il 370 ed il 350 a. C. Una balaustra marmorea
modanata divideva l'orchestra dalla cavea. Le strutture più basse del teatro
sono ancora oggi bagnate periodicamente dal fiume Amenano le cui acque pare
venissero in antico convogliate per consentire gli spettacoli con giochi
d'acqua. La costruzione dell'edificio si può datare in età imperiale: in
particolare sembra di poter distinguere, dopo una prima fase di età augustea e
giulio-claudia, almeno altre due fasi di età flavia ed adrianea. Affiancato
al teatro e con lo stesso orientamento verso l'attuale via Vittorio Emanuele, è
anche un piccolo odeon con cavea, di cui rimangono pochi gradini, interamente
costruiti in pietra lavica su sostruzioni in opera cementizia. L'emiciclo è
formato da 18 muri che si allargano fino a formare cunei stretti e lunghi;
all'interno di essi sono stati ricavati 17 vani coperti la cui funzione
non è ancora chiara.
Odèon |
La
copertura dei vani interni è realizzata mediante volte a botte di tipo
conico con giacitura inclinata per agevolare la costruzione della cavea.
Le volte, in opera cementizia, sono irrigidite da archi in mattoni.
All'esterno l'edificio presenta una facciata a conci lavici elegantemente
squadrati da cui sporgono paraste che terminano in una cornice orizzontale
e fornici realizzati con archi a tutto sesto con ghiera di mattoni e
piattabanda. Si suppone che l'edifico fosse coperto. L'orchestra, cioè lo
spazio semicircolare tra la cavea e la scena, conserva l'originaria
pavimentazione in marmo. |
Costruzioni
moderne invadono la scena soffocando l'intera struttura. Anche nell'odeon come
nel teatro, furono utilizzati i mattoni ed il marmo che accostati ai neri conci
di pietra lavica conferivano al monumento quella particolare policromia che è
tipica dei monumenti catanesi.
Percorrendo
la via Rotonda che sale verso la parte alta della collina sulla quale era
l'acropoli della città greca (corrispondente all'attuale Piazza Dante), si
giunge alla Chiesa della Rotonda ricavata in un ambiente in origine
appartenente ad un complesso termale di età romana. L'edificio, con ingresso ad
Ovest, è costituito da una sala circolare del diametro di circa 5 metri chiusa
entro un quadrilatero. Lungo le pareti interne si aprono archi e tre grandi
nicchie, in origine contenenti vasche marmoree.
Terme
della Rotanda |
L'edificio
può essere datato all'età imperiale anche se alcuni saggi condotti in
profondità hanno rivelato l'esistenza di un primo impianto già
nella fase tardo-ellenistica. In età bizantina, probabilmente nel corso
del VI secolo d. C., la sala circolare fu trasformata in chiesa; in quella
occasione il livello pavimentale fu alzato di circa 2 metri, le vasche
delle nicchie furono colmate, furono aggiunte un'abside centrale e due più
piccole laterali alla nicchia di fondo, mentre le due nicchie laterali
furono trasformate in cappelle. |
Appartengono
a questa fase alcuni resti di pitture ancora in situ rappresentanti S.
Gregorio il Taumaturgo e la Madonna nimbata ed ammantata che sorregge il
figlioletto Gesù.
Davanti
alla Cattedrale, in piazza Duomo, si conservano i resti di un importante
edificio termale. Si tratta delle Terme Achelliane così denominate da
un'iscrizione in greco rinvenuta in frammenti che documenta i lavori di
riparazione della fornace avvenuti intorno al 434 d. C. Rimane
imprecisato, invece, il periodo in cui le terme sarebbero state edificate per la
prima volta.
L'edificio
fu oggetto di scavi nel XVIII secolo da parte del principe Ignazio Paternò
Castello di Biscari. Gli scavi effettuati fra il 1975 ed il 1978 in
occasione dell'ammodernamento della rete fognaria della piazza, hanno
permesso di acquisire ulteriori elementi per la conoscenza del
monumento. |
Terme
Achelliane |
L'accesso
all'edificio avviene attraverso una piccola porta che si apre sul lato destro
della facciata del Duomo. Dopo aver sceso una scala moderna ci si immette in un
lungo corridoio con volta a botte, percorso il quale si arriva in una grande
sala rettangolare di m 12 x 13 con quattro pilastri al centro atti a sorreggere
le volte adornate di stucchi raffiguranti fanciulli, animali, viticci e grappoli
d'uva. La sala comunicava sul lato ovest con altri tre vani rettangolari più
piccoli, a loro volta in collegamento con altri due.
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