Necropoli delle Groticelle e tomba di Archimede
Con il nome di Necropoli Grotticelle si indica un'ampia area cimiteriale
greca e romana nei pressi del Parco archeologico. Le tombe di età greca
che occupano questa zona sono solo un lembo della vasta necropoli che si
estendeva su tutto il pianoro, ai margini delle latomie, fino alla zona
sovrastante al Teatro Greco. Tale necropoli restò in uso da un'età
tardo-arcaica fino ad età ellenistica. Delle tombe a fossa, di epoca
greca, resta ben poco, ma le tombe a camera, di epoca romana, sono
numerose e, proprio ai limiti orientali del parco arheologico, tra alcune tombe
a camera ricavate nella viva roccia (databili a età imperiale romana) ve ne
sono due che interessano la sommità del banco roccioso e presentano la parte
anteriore decorata da semicolonne doriche a rilievo , sormontate da un frontone
a timpano.
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Quella
rivolta a sud, e osservabile anche dalla strada che costeggia il parco,
per tradizione è detta Tomba di Archimede. |
Ma
si tratta in realtà di un colombario romano , cioè di una camera
sepolcrale di età romana provvista all'interno di due ordini di nicchie per la
sistemazione delle urne cinerarie. In effetti questa camera mortuaria non può
essere quella del grande scienziato Siracusano, in quanto di epoca assai
successiva alla sua morte: è stata datata tra il I° secolo a.c. ed il I°
secolo d.c.. La vera tomba dello scienziato Siracusano, scoperta da Cicerone,
doveva avere una colonna nella quale vi era raffigurata una sfera con un
cilindro circoscritto. Lo scavo
della zona in piano, immediatamente antistante alla Tomba di Archimede,
ha restituito un breve tratto di fondo stradale e strutture murarie di età
tardo-antica, appartenenti forse ad un edificio sacro impostato su un precedente
impianto edilizio. Il tutto si sovrappone ad una necropoli con tombe a fosso o a
cappuccine per la maggior parte di età ellenistica.
Costruito dai colonizzatori greci nel VI° secolo a.c., è probabilmente il più antico tempio dorico della Sicilia. Della struttura (m. 58.10x24.50) originaria, che comprendeva 6 colonne sui lati brevi e 17 sui lati lunghi, sono rimaste in piedi 2 colonne del lato sud, con parte dell'epistilio, e altre colonne sullo stesso lato e sul frotnte Est. Il basamento ad Occidente è stato restaurato. Le colonne erano alte m.6.62 (il solo fusto) con un totale in altezza di m.7.98 con il capitello. La parte superiore del tempio era rivestita di terracotta e alcuni frammenti dell'acroterio centrale in pietra si conservano al Museo di Siracusa.
Su
uno dei gradini del lato Est è incisa un'iscrizione di dedica ad Apollo e
vi si può leggere anche il nome dell'architetto, caso molto raro per un
tempio greco. Al Museo di Siracusa è possibile vedere un modellino
completo del tempio ed un video che ci mostra anche le parti interne della
costruzione. |
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Il tempio subì molte trasformazioni durante i secoli. Fu prima chiesa bizantina, poi moschea araba (è possibile notare iscrizioni arabe sul muro della cella), quindi chiesa Normanna del Salvatore, su un livello più alto, ed infine fu caserma spagnola, all'interno della quale fu scoperto nel 1860. Venne interamente riportato alla luce tra il 1938 ed il 1942.
Immediatamente
a sud-ovest della cavea del Teatro Greco, in un'area di non facile accesso,
negli anni '50 delle opere di scavo portarono alla luce delle strutture di
carattere sacro note complessivamente con il nome di Santuario di Apollo
Teminite. Esse sono costituite dai resti di un altare, più volte ricostruito
verso ovest a causa dell'ampliamento della cavea del Teatro, e da un recinto (temenos
), forse del IV° secolo a.c., contenente anche basi di stele e di ex voto.
Quest'area sacra, importante anche perchè la sua parte più antica risale già
al VII° secolo a.c., è oggi considerata, alla luce delle conoscenze che si
sono venute acquisendo in questi ultimi anni, come una parte di tutta quella
serie di spazi sacri e votivi di cui, in genere, si componeva un santuario greco
dislocato in un luogo non pianeggiante, che si suppone avesse sulla sommità del
colle Temenite il suo epicentro e il massimo punto rappresentativo. E
proprio sulla sommità del colle sono venute alla luce, nel corso di opere di
scavo, le fondamenta di un tempio greco di età arcaica. La scoperta appare di
rilevante importanza, in quanto rappresenta un elemento assolutamente concreto
per la localizzazione dell'antichissimo Santuario di Apollo Temenite, di cui
parlano le fonti e più volte ricordato da Tucidude come " l'importante
luogo di azione" durante la guerra di Siracusa contro gli Ateniesi.
La grotta del Ninfeo è una grotticella artificiale, con un soffitto a
volta, larga m.9.35, alta m.4.75 e profonda m.6.35. All'interno di questa
grotticella, una vasca rettangolare riceve un ramo dell'antico acquedotto
greco, che alimenta la cascatella che vediamo al centro.
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La fronte della grotta è provvista, ai lati dell'apertura, di 4 nicchie: due più piccole e due più grandi all'esterno, successivamente trasformate in sepolcri. L'apertura della grotta è sormontata da una decorazione a fregio dorico, ottenuta a rilievo nella roccia, della quale restano poche tracce. La parete rocciosa ad ovest della grotta presenta alcuni incavi di forma rettangolare, sul cui fondo dovevano esserci dei rilievi votivi o dei dipinti relativi al culto dei defunti eroizzati, molto frequenti nella Siracusa antica di età ellenistica. Questa zona era, probabilmente, quella del " Museion", sede ufficiale della corporazione degli attori.
Edificato
nella parte più alta di Ortigia, il Duomo di Siracusa sorge sui resti
dell'antico tempio dorico dedicato ad Athena, fatto costruire nel V° secolo
a.c. dal tiranno Gelone. Dell'antico tempio, che contava 14 colonne laterali e 6
frontali, sono ancora visibili alcune colonne del peristilio e parte dello
stilobate.
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Alcuni
preziosi reperti del tempio sono custoditi nel Museo archeologico
regionale "Paolo Orsi" di Siracusa.
Diverse sono state le trasformazioni del tempio durante i secoli ed
i primi cambiamenti, di cui si ha notizia, avvennero nel VII° secolo d.c.,
quando il vescovo Zosimo lo trasformò in basilica cristiana dedicata alla
natività di Maria. |
Le
colonne del peristilio vennero chiuse con una cinta muraria e vennero aperti in
ciascun lato della cella degli archi in modo da ottenere una basilica a 3 navate
con un nuovo orientamento. Depredato dei suoi arredi sacri dagli Arabi, il Duomo
subì, in epoca normanna, ulteriori trasformazioni con l'innalzamento dei muri
della navata centrale e l'apertura di finestre nei muri perimetrali. Durante
tale periodo il tempio raggiunse il massimo fulgore e le absidi vennero
ricoperte di mosaici. In seguito al terremoto del 1693 la Cattedrale subì
profonde trasformazioni: vennero distrutte le absidi laterali, venne costruito
il presbiterio al posto dell'abside centrale e la Cappella del
Crocifisso (abbattendo una parte delle colonne doriche), al posto
dell'abside meridionale. Ma tra le opere più significative che determinano
l'attuale assetto del Duomo vi è la ricostruzione della facciata.
La
facciata barocca, interamente distrutta dal terremoto, venne ricostruita tra il
1728 ed il 1753 su disegno dell'architetto trapanese Andrea Palma. Decorano il
prospetto principale le statue raffiguranti la Vergine del Piliere (al
centro), Santa Lucia (a destra), San Marziano (a sinistra), opere
dello scultore palermitano Ignazio Marabitti (1757). Dello stesso Marabitti sono
le 2 statue di San Pietro e San Paolo che affinacano la gradinata.
Dal vestibolo pregevolmente abbellito da due colonne tortili ornate, si passa
all'interno diviso in tre navate. Quella centrale, coperta da un soffitto ligneo
e travature del 1518 e con una pavimentazione della metà del XV° secolo,
presenta all'ingresso due acquasantiere in marmo del 1802. Lungo la
navata laterale destra si aprono diverse cappelle. Tra queste da visitare vi è
il Battistero , con fonte battesimale costituito da un vaso marmoreo
ellenistico adorno di sette leoncini in bronzo del XIII° secolo, e la Cappella
di Santa Lucia , costruita nel XVIII° secolo, che ospita un altare decorato
da un paliotto argenteo di Decio Furnò (seconda metà del XVIII° secolo) sul
quale è posta la nicchia che accoglie il simulacro argenteo di Santa Lucia
(Padrona della città), opera del palermitano Pietro Rizzo (1599). Più avanti
vi è la Cappella del Sacramento voluta, nel XVII° secolo, dal vescovo
Torres ed attribuita a Giovanni Vermexio. La cappella, a pianta poligonale,
presenta una volta a botte con un ciclo di affreschi di Agostino Scilla (1657) e
ospita sull'altare un ciborio di Luigi Vanvitelli (1752). Dal fondo della
navata destra si passa alla Cappella del Crocifisso, fatta edificare, a
pianta rettangolare, dal vescovo Fortezza sul finire del XVII° secolo. Uscendo
dalla cappella si passa al presbiterio, distinto in due parti: la tribuna
ed il coro. L'altare maggiore , di età barocca, attribuito a
Giovanni Vermexio, ha per mensa un blocco dell'architrave del tempio,
crollato col terremoto del 1693. Sull'altare vi è una tela raffigurante la Natività
della Vergine. Passando poi dalla navata sinistra, attraverso un'apertura
che dall'esterno presenta una porta del tardo Rinascimento, si giunge su via
Minerva.
La visita alle Catacombe è quanto mai opportuna e persino necessaria, se si
vuole comprendere, accanto ai fasti e ai monumenti della città greca, quanto
complessa, storicamente significativa e ricca di esperienze fu anche la realtà
di Siracusa in epoca romana, sia nella prima età imperiale che nel successivo
tardo impero. Siracusa fu il centro di vita cristiana tra i più antichi a
sorgere nel territorio dell'impero, con tutta probabilità ad opera della
predicazione dello stesso San Paolo, che la tradizione vuole che soggiornasse a
Siracusa. Le catacombe siracusane testimoniano, appunto, la vivacità e la
notevole consistenza della comunità cristiana, che venne a formarsi in quelli
che sono i primi ed i più difficili momenti della nuova religione.
Innanzitutto è da notare la ricchezza e la vastità dei complessi
catacombali che, tra maggiori e minori, raggiungono un'estensione ed
un'importanza seconda solo a quelle di Roma.
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Sono purtroppo chiuse al pubblico le catacombe di Santa Lucia notevoli per
l'antichità dell'impianto, che nella parte più antica risale al 220-230 d.c..
Il complesso ha un vasto sviluppo che si articola su ben tre piani, con un uso
cimiteriale e culturale, e presenta numerosi ampliamenti e modifiche risalenti
ai periodi bizantino e normanno. Una traccia notevole dell'età bizantina si ha
grazie a un sacello dell'VIII°-IX° secolo grandiosamente affrescato con la
rappresentazione dei 40 martiri di Sebaste. Di estremo interesse sono le
catacombe di Vigna Cassia, anch'esse purtroppo chiuse al pubblico. Esse sono le
più vaste di tutta la Sicilia e sono situate in una vecchia area cimiteriale
nei pressi della Chiesa di S. Maria di Gesù. Sono dette "di
Vigna Cassia dal nome del proprietario della vigna sovrastante l'area
catacombale, al momento del ritrovamento. Iniziate attorno alla metà del III°
secolo, furono attive fino alla seconda metà del IV° secolo. Presentano un
corpo centrale a croce e numerosi ambulacri secondari. anche qui notevoli gli
affreschi. La visita alle catacombe
di San Giovanni, le uniche aperte al pubblico, offre un'esperienza di
grandissimo interesse e di intensa suggestione. Interamente esplorato, il
complesso di San Giovanni è più recente dei precedenti in quanto risale al
315-360 d.c.. Di grande interesse per la razionale architettura che le
contraddistingue, le Catacombe di San Giovanni si sviluppano in gallerie, con
migliaia di loculi, che si diramano da un percorso principale: una grande
galleria detta il "decumanus maximus ", che i cristiani
ottennero scavando ed ampliando un acquedotto greco, le cui tracce sono visibili
nella volta. Innumerevoli sono i loculi piccoli e grandi sparsi lungo le pareti
e sul pavimento. Dalle gallerie si accede a spazi più grandi a forma quadrata e
circolare: cappelle dedicate a martiri. Sono state finora scoperte 5 cappelle e
sono state chiamate di Eusebio (papa morto a Siracusa e qui
temporaneamente sepolto), delle Sette Vergini, di Antiochia, di Adelfia
ed Anonima .
Nella
rotonda di Adelfia, che è tra le più significative, è stato ritrovato un
sarcofago del IV° secolo con scolpite scene dell'antico e nuovo testamento,
eseguito per Adelfia sposa di Valerio Proculo.
Da vedere, nel corridoio principale, l'arcosolio della vergine
Deodata con l'affresco di Cristo, della Vergine e dei Santi Pietro e Paolo. Si
conservano in tutto il complesso tracce di affreschi e grande interesse riveste
l'ingente quantità di iscrizioni funerarie in greco e latino restituite da
questo complesso catacombale.
La Fonte Aretusa, questa sorgente di acqua dolce che sgorga da una grotta
a pochi metri dal mare, fu sempre cara ai Siracusani e fu soprattutto il simbolo
della città sin dai tempi antichi.
Essa
non era altro che uno dei tantissimi sfoghi che la falda freatica iblea
possiede nel siracusano, la stessa falda che alimenta il fiume Ciane
sul lato opposto del porto grande. |
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Questa mitica fonte fu cantata da molti poeti, affascinati dalla leggenda di Aretusa e dal luogo incantevole: Virgilio, Pindaro, Ovidio, Silio Italico, Milton, André Gide, Gabriele D'Annunzio, solo per citarne alcuni. Già Cicerone ne parlava (nelle Verrine) descrivendola così: "una fonte incredibilmente grande, brulicante di pesci e così situata che le onde del mare la sommergerebbero se non fosse protetta da un massiccio muro di pietra". In epoca normanna lo scrittore arabo Edrisi la descriveva così: "Meravigliosa sorgente che s'appella An Nabbudi (nome arabo di Aretusa) , la quale spicciava da una scogliera proprio un riva al mare". Nel XVI° secolo la fonte era suddivisa in più rivoli, ognuno dei quali era utilizzato per la concia delle pelli, formando alla fine una specie di "grandissimo lago" dal perimetro di circa 200 m., separato dal mare da enormi macigni. Gli Spagnoli (XVII° secolo) vi edificaronoo un bastione, poi abbattuto per divenire un belvedere. Del bastione è ancora visibile il basamento. Persino Nelson subì il fascino di questa celebre fonte, che definì miracolosa perchè con la sua aqua rifornì nel 1798 le navi, prima di battere Napoleone ad Abukir in Egitto. Solo dopo i lavori del 1847, la fonte assunse l'aspetto che ha oggi, centro di un invaso ricco di papiri, anatre e ancora "brulicante di pesci", circondata da alte mura sormontate da ringhierine. Ma il mito della Fonte Aretusa, che affascinò gli uomini di ogni epoca, trova la sua logica nel significato di una profonda unione fra le colonie greche e i loro fondatori. Pausania e Strabone ci tramandano che, secondo la vecchia mitologia, la ninfa Aretusa , fedele ancella di Artemide (dea della caccia), fu scorta dal dio fluviale Alfeo (figlio di Oceano), che se ne invaghì e tentò di sedurla contro la sua volontà. Per salvarsi da Alfeo fuggì in Sicilia, dove Artemide la tramutò in fonte nei pressi del porto di Siracusa, in Ortigia (isola sacra ad Artemide). Zeus, commosso, mutò Alfeo in un fiume della Grecia (presso Olimpia), permettendogli così di raggiungere Aretusa, scorrendo sottoterra. Ancora oggi sul lungomare Alfeo ad Ortigia, nei pressi della celebre fonte, sgorga una sorgente detta " l'Occhio della Zillica", che la fantasia popolare ha spesso identificato nell'innamorato Alfeo. Da allora, narrano i poeti greci, quando ad Olimpia si sacrificavano degli animali lungo il fiume Alfeo, la Fonte Aretusa si tingeva di rosso.
Lungo la statale 115 (Via Elorina) a 3 km da Siracusa, in direzione Sud,
sorge il tempio dorico dedicato a Giove Olimpico: l'Olympieion.
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Qui
venivano conservate le liste dei cittadici di Siracusa, di grande
importanza per la città. Il tempio guardava, da un promontorio naturale e
roccioso, l'isola di Oritgia. |
Era un edificio molto grande, infatti misurava m.20.50x60 e presentava una peristasi di 6 colonne frontali e 17 laterali, alte circa 8 m., probabilmente monolitiche, con un intercolumnio frontle di 3.75 m. Di tutto ciò, oggi rimangono solo 2 colonne ed il basamento a gradini. L'edificio fu innalzato nei primi decenni del VI° secolo a.c., ma le prime notizie si hanno nel 431 a.c., quando Ippocrate di Gela, dopo la vittoria all'Eloro sui Siracusani, vi si accampò in prossimità della città. Cosa che fecero, successivamente, anche gli Ateniesi, nel 414 a.c., ed i Cartaginesi.
Uscendo
da Siracusa e percorrendo la statale 115 per Ragusa incontriamo la foce dei
fiumi Anapo e Ciane , da cui partono le escursioni in barca che risalgono il
corso del Ciane, ricco di papiri, per giungere alle sorgenti del fiume stesso,
dette Testa di Pisma. Qua si forma un laghetto circolare, originatosi,
secondo il mito, dal carro di Plutone, inabissatosi in questo luogo per
raggiungere l'Ade insieme a Proserpina, ma ostacolato in questo dalla ninfa
Ciane, trasformata per punizione in fonte.
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La
bellezza di questo piccolo fiume è data dalla ricca vegetazione di papiri
che vi cresce, sebbene vi sia un principio di inquinamento delle acque ed
una conseguenziale diminuzione della vegetazione. |
Delle moltissime specie di papiro che si possono contare nel mondo, la varietà che cresce a Siracusa viene chiamata dagli studiosi "Cyperus Papyrus Linneo". Qualcuno avanza l'ipotesi che la pianta sia stata importata dall'Egitto già verso il 250 a.c. (forse mandata da Tolomeo II Filadelfo a Ierone II), mentre altri sono dell'opinione che siano stati gli Arabi ad introdurre la pianta in Sicilia, ed altri ancora pensano che il papiro sia una pianta autoctona. Da tale pianta si estraggono delle fibre naturali per la realizzazione della carta-papiro, che viene poi disegnata da artisti locali.
A
circa 7 km da Siracusa, in direzione di Belvedere, sorge il Castello Eurialo
(dal greco " eurvelos", chiodo dalla larga base), la più grande e
completa opera militare che sia rimasta del periodo greco.
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Esso
ha una superficie di circa 15.000 mq., munito di larghi fossati, torri
d'avvistamento, un ponte levatoio e trincee sotterranee, che rendevano la
città di Siracusa inespugnabile.
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Fu
fatto costruire, a difesa della città, da Dionisio il Vecchio in sei anni, fra
il 402 ed il 397 a.c., periodo in cui Siracusa fu in lotta con i Cartaginesi.
Per rafforzare la difesa della città, oltre a costruire nuove navi ed ampliare
gli arsenali, Dionisio decise di fortificare l'Epipoli (città alta )
che, durante l'assedio Ateniese di qualche anno prima, aveva rappresentato il
punto debole del sistema difensivo. Ai lavori parteciparono 60.000 uomini, che
costruirono in 20 giorni un muro lungo 5.000 metri, a difesa della parte Nord
dell'Epipoli; il resto venne poi edificato nei successivi 6 anni. L'entrata di
questo castello è protetta da 3 fossati. Il primo, oggi interrato, è lungo 6
m. e profondo 4 m.; il secondo, a 86 m. dal primo, è lungo circa 50 m., largo
22 m. e profondo 7 m.; il terzo fossato è largo 17 m., profondo 9 m. e lungo 80
m..
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Quest'ultimo
fossato era il più importante, in quanto collegava tutto l'apparato di
difesa della fortezza. |
A
Nord è sbarrato da un muro, a Sud vi sono 3 grandi pilastri che sostenevano il
ponte levatoio. Le 5 torri che notiamo dopo il terzo fossato servivano per
ospitare le baliste, che, situate più in alto di quelle dei nemici, potevano
colpire senza essere da queste danneggiate. Dietro queste torri si apre un gande
cortile, che ha ospitato, in periodo bizantino, le caserme dei soldati; al
centro del cortile vi erano le cisterne. Dall'altro lato del castello, il
sistema difensivo era costituito da due muri posti davanti alle porte di
accesso, che impedivano gli attacchi in massa del nemico. Tutta questa struttura
a forma di imbuto permetteva una più facile difesa. All'interno del castello,
tutto un susseguirsi di gallerie dava la possibilità di spostare le truppe da
un punto all'altro della fortezza senza essere visti, al fine di accerchiare
facilmente il nemico.
Nella punta estrema dell'isola di Ortigia, a difesa del porto
naturale, il comandante bizantino Giorgio Maniace fece costruire nel 1038 un
forte, che venne poi trasformato in castello da Federico II, nel 1239.
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La fortificazione fediriciana, a pianta quadrata (m.51 per lato), con le sue quattro torri cilindriche agli angoli, riprendeva modelli di cultura araba e faceva parte di un sistema di castelli e torri distribuiti lungo le coste a difesa dell'isola. Nella parte Ovest vi è il portale d'ingresso con un bell'arco ad ogiva, sormontato dallo stemma imperiale di Carlo V (secolo XVI°) raffigurante un'aquila bicefala (a due teste). Ai lati, poggiati su mensole, si trovavano due arieti bronzei (di scuola ellenistica) donati da Alfonso di Castiglia al generale Ventimiglia; uno di essi è oggi conservato al museo archeologico di Palermo, l'altro è andato perduto o distrutto nel 1848. La struttura interna presenta un unico salone, un tempo diviso da un doppio ordine di colonne che formavano ben 25 volte a crociera. Questa sala, sicuramente, serviva come sede della temporanea reggia imperiale. Tutto il castello è cinto da fortificazioni e per accedervi bisogna attraversare un ponte di pietra, fatto costruire da Carlo V nel XVI° secolo insieme alla cinta difensiva dell'isola, quando Siracusa venne trasformata in una roccaforte. Attualmente il castello non è visitabile, in quanto zona militare. È però possibile richiedere un permesso alla Sovrintendenza.
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