ABELLA
Il nome di Abella deriva, secondo Plinio, dalle nocciuole (abellane), che
abbondano nel suo territorio;
altri la farebbero derivare da Belo, della stirpe regia di Nembrot (Bela, Bella,
Abella); altri ancora dal termine Aberula (aberu, apru, aper = cinghiale), città
del cinghiale, animale raffigurato nel suo stemma civico; e per altri ancora
sarebbe stata fondata dai Calcidesi, che denominarono la località "Abella", ovvero campo
erboso, pascolativo: quod pastui aptum est.
Situata nel bacino superiore del fiume Clanio, alle falde dei Monti Avella, per
la sua posizione geografica fu un crocevia di civiltà fin dalla preistoria.
La presenza umana in questi territori è accertata sin dal paleolitico
superiore, all'incirca 25.000 anni fa, mentre un primo insediamento abitativo si
deve far risalire alla fase appenninica.
Successivamente risentì della influenza delle colonie greche della costa e
dell'area etrusca, mentre è, altresì, evidente uno stretto rapporto con l'area
Caudina, come testimoniano i numerosi reperti archeologici rinvenuti.
Fu osca, etrusca, sannita e poi romana. Nel 339 a.C. si pose sotto la protezione
di Roma e, per la sua fedeltà, meritò di essere Municipio; più tardi fu
colonia.
L'anfiteatro aveva sei porte, un teatro, una piscina, una palestra, le terme, il
pretorio e un ginnasio. Fu saccheggiata da Alarico
nel 410 d.C. e, successivamente, da Genserico nel 455. Cadde, poi, sotto il
dominio dei Goti e fu longobarda sotto Singinolfo.
Assalita dal Saraceni nell'884, fu saccheggiata e sottomessa; infine fu quasi
completamente distrutta dagli Ungari nel X sec. d.C.
Anfiteatro di Abella
L’anfiteatro di Avella può essere considerato come uno dei più antichi della Campania. Esso, infatti, fu costruito tra il primo secolo d.C. ed il secondo secolo d.C. nell’odierna località S. Pietro, al posto delle abitazioni distrutte durante la guerra tra Mario e Silla. Annoverato tra gli anfiteatri costruiti su terrapieno e dimensionalmente molto simile a quello di Pompei, l’anfiteatro di Avella fu eretto in "opus reticolarum" di tufo in parte appoggiato all’angolo SE delle mura perimetrali della antica città, in parte ad un pendio naturale ed in parte (lato Sud) a grosse costruzioni a volta.
Esso sorgeva all’estremità orientale del "Decumano maior" (l’attuale Corso Vittorio Emanuele) all’altro capo del quale era il foro (nelle vicinanze dell’attuale Piazza). A differenza di anfiteatri più recenti come, per esempio, il Colosseo o l’anfiteatro Flavio di Pozzuoli, nel monumento avellano sono totalmente assenti sotterranei e cunicoli. |
Un'immagine schematica dell’anfiteatro di Avella è rappresentata su uno dei lati di una base onoraria, databile intorno al 170 d.C., dedicata a Lucio Egnazio Invento, ristoratore dei giochi gladiatori di avella e cavaliere romano sotto gli Imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero. Lo schema presenta una cavea con tre ordini: l’"ima cavea", la "media cavea" e la "summa cavea". Allo stato attuale, della "summa cavea" rimangono solamente poche tracce sui lati Sud ed Est mentre la cavea si presenta divisa in tre settori: "moeniana", divisi da corridoi di appoggio in senso orizzontale; "praecintiones" e "baltei", questi ultimi muri di divisione in senso verticale. Ad essa era possibile accedere attraverso dei "vomitoria" disposti sull’asse maggiore dell’ellisse ("itinera magna"). All’arena, situata al di sotto del piano di calpestio circostante, si accedeva attraverso due porte principali: la "porta triumphalis", orientata in direzione della città, e, dal lato opposto, la "porta libitinensis" dalla quale venivano portati via i gladiatori morti in combattimento. Una terza porta, più piccola nelle dimensioni e, probabilmente, riservata ai giudici, si apre sul lato Ovest; di fronte ad essa si evidenzia un ambiente con tracce di un’edicola riservata ad un dio al quale i gladiatori si "raccomandavano" prima del combattimento. Di gran lunga posteriori rispetto alla costruzione dell’intero monumento sono sicuramente le aperture nel podio che danno verso l’arena. Si tratta di stalle per le bestie databili intorno al IV secolo d.C.. Il lavoro per la loro costruzione risulta incompiuto o perché gli spettacoli erano scaduti di tono o a causa della decadenza economica in atto dovuta, principalmente, alle invasioni barbariche.
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