IL GOVERNO DI ADRIANO
L'impero di Adriano fu lungo e non funestato da guerre di
grande entità, che rimase degno di memoria per le importantissime riforme da
lui fatte nell'organizzazione civile e militare dello Stato.
L'amministrazione centrale ebbe da lui una riforma veramente fondamentale. Da
Augusto in poi avevano acquistata grande importanza nelle funzioni
amministrative, che, per riflesso, avevano somma influenza nella politica, i
liberti cesarei, i quali costituivano il consilium privatum del principe.
La cancelleria imperiale era pertanto nelle mani di uomini che, se pure erano
abili, competenti e fedeli agli imperatore, erano però anche avidi, invadenti,
privi di responsabilità. Mancava all'amministrazione un corpo di funzionari
stabile, dalle mansioni ben definite, dotato di organicità e di con-tinuità.
Adriano diede all'impero quest'amministrazione sradicando la mala pianta dei
favoriti. A formare la cancelleria imperiale non furono chiamati più i liberti
ma pubblici funzionari scelti nell'ordine equestre, con il consenso del Senato,
e solo fra coloro che avevano pratica e competenza amministrativa e giuridica.
Venne regolato il loro numero, assegnate e specificate nettamente le
attribuzioni, stabiliti gli stipendi e la carriera. Ci furono così una
segreteria generale formata dagli impiegati a libellis, un ufficio di
corrispondenza (ab epistulis), un ufficio di contabilità (a rationibus) il più
importante di tutti, uffici minori pel patrimonio, per le acque, per le tasse
sull'eredità. Un ufficio nuovo venne creato: l'avvocatura del fisco, inteso a
tutelare gli interessi dell'erario imperiale e a decidere nelle controversie tra
i contribuenti e il fisco, e vennero istituiti i curatores rerum publicarum che
avevano il compito di dare assetto all'amministrazione delle città della
penisola mal tenuta dai funzionari del luogo. Questa riforma degli organi
centrali dell'amministrazione dello stato diede i suoi frutti: malgrado le
finanze non fossero in floride condizioni prima che Adriano salisse all' impero,
malgrado che il condono dei debiti, di cui abbiamo fatto cenno, l'abolizione
totale per l'Italia dell'aurum coronarium e parziale per le province e malgrado
infine le enormi spese pubbliche di pubblica utilità e di fasto, il bilancio
imperiale mantenne il suo equilibrio.
La formazione di questa burocrazia statale diminuì non poco - sebbene a tutta
prima non sembrasse - il potere del Senato e fu il primo passo verso la
monarchia assoluta. Né l'importanza del consilium principia venne menomata
dalla sanzione che il Senato aveva diritto di dare all'assunzione degli
impiegati e dalle frequenti e lunghe assenze dell' imperatore dato che le nomine
erano imperiali e a queste non mancava mai la ratifica senatoriale;
durante i suoi viaggi Adriano era di solito accompagnato da alcuni dei suoi
funzionari e da quelli che restavano a Roma era quotidianamente informato
dell'andamento delle cose, le quali venivano regolate secondo le sue istruzioni.
Non meno notevoli delle riforme amministrative furono le riforme giuridiche.
All'amministrazione della giustizia Adriano prodigò con intelligenza ed amore
le sue cure. Rinnovò il divieto dell'evirazione; tolse ai padroni il diritto di
vita e di morte sugli schiavi, stabilì pene severe contro i padroni che si
rendevano colpevoli di maltrattamento ai servi, proibì il commercio degli
schiavi nei casi in cui offendeva il pudore e le leggi dell'umanità, restrinse
la pena di morte agli schiavi che, in caso di uccisione del padrone, erano così
vicini a lui da potergli recare aiuto o danno mentre prima venivano condannati
alla pena capitale tutti gli schiavi che abitavano nella casa del padrone
ucciso; in Italia e nelle province affidò la giustizia a speciali magistrati
detti iuridici; si circondò di giureconsulti valenti come Giulio Celso, Nerazio,
Prisco e Salvio Giuliano e a quest'ultimo diede incarico nel 131 di raccogliere
ed ordinare le leggi del popolo, gli editti dei pretori e i senato-consulti, di
farne una scelta e formarne un codice che venne chiamato Edictum perpetitum.
Quest'ultimo si ebbe la sanzione del Senato e per molto tempo rimase l'unica
raccolta di leggi dell' impero alle quali soltanto con costituzioni imperiali
potevano essere portate aggiunte o modificazioni.
Anche l'esercito ebbe le sue riforme e queste furono dettate dall'esperienza
militare dell'imperatore e dalle condizioni politiche dello stato.
L'esercito non era più quello di una volta e se Traiano aveva saputo mantenere
la disciplina nelle legioni col suo ascendente non aveva però combattute le
cause numerose della decadenza militare. Grande era la corruzione dei soldati
specialmente di quelli che vivevano in quelle frontiere che nessuna minaccia di
guerra turbava. I castra stativa anziché palestre di esercitazioni militari e
caserme dove la vita fosse regolata da ferrea disciplina, erano divenuti luoghi
di piaceri e di corruzione: industriali accorsi da ogni parte dell' impero vi
avevano portati oggetti di lusso e di mollezze, numerose cortigiane vi erano
andate a corrompervi i costumi; grotte artificiali e portici vi erano stati
costruiti per riparare i soldati dalle piogge e dal sole; era scomparsa la
disciplina, l'operosità e l'antica austerità.
Perché la riforma avesse efficacia egli stesso diede l'esempio nei suoi lunghi
viaggi e nelle frequenti ispezioni: rifuggiva dai cocchi, marciava a piedi o a
cavallo, sotto la pioggia, tra le nevi o fra i cocenti calori, arringava spesso
le truppe, e si intratteneva familiarmente coi soldati rendendosi personalmente
conto delle loro condizioni e dei loro bisogni, ostentava grande modestia, non
portava abiti ed armature sfarzose e soltanto la spada del comando dall'
impugnatura d'avorio lo distingueva dagli ufficiali. Proibì nei campi la
vendita degli oggetti voluttuosi e il soggiorno degli industriali e delle
cortigiane, fece demolire le grotte e i portici, ordinò che il lusso
scomparisse, che i soldati vivessero frugalmente e si abituassero con
giornaliere esercitazioni all'uso delle armi, alle fatiche e alle economie. Né
solo a questo si limitò la sua riforma: regolò la ferma e le promozioni, proibì
che i soldati con doni comperassero dai tribuni le licenze, nella scelta degli
ufficiali fece prevalere i titoli di merito alle simpatie delle truppe, tolse
gli abusi, rinsaldò la disciplina, restaurò il rispetto verso i superiori,
propose ufficiali probi ed abili agli ospedali ed ai magazzini, ordinò
frequenti ispezioni alle armi, ai fossi, alle mura, ai depositi ed emanò
appositi ed opportuni regolamenti per l'addestramento. Inoltre incaricò il
celebre Apollodoro di scrivere un trattato sulle macchine da guerra, e
Apollodoro fu sollecito a servirlo e per giunta disegnò e costruì macchine
alle quali apportò sensibili miglioramenti
A proposito di Apollodoro - narra Dione Cassio - che avendo Adriano mandato il
suo disegno del nuovo tempio di Venere e Roma all'insigne architetto, questi gli
facesse osservare argutamente che le due dee erano così alte da spezzare la
volta dell'edicio quando avessero voluto alzarsi. Adriano, secondo lo storico su
nominato, ferito dallo scherzo di Apollodoro, avrebbe ordinato che fosse messo a
morte. Ma il racconto di Dione non trova conferma negli altri storici e noi
siamo indotti a crederlo invenzione di Cassio come tutto ciò che il medésimo
storico dice della gelosia che l'imperatore nutriva verso i grandi ingegni del
suo tempo. Difatti noi sappiamo che sotto Adriano fiorirono ed ebbero onori
uomini illustri come Favorino il Gallo, Dionigi di Mileto, Plutarco e Svetonio
che furono, l'uno maestro, l'altro segretario di Adriano, Luciano, Tolomeo,
Pausania ed
Aulo Gellio.
Le riforme dell'esercito furono conseguenza della politica estera dell'imperatore.
Sebbene valentissimo generale, Adriano voleva seguire la politica di pace di
Augusto e di Tiberio. A questa politica forse lo consigliarono le difficili
condizioni in cui si trovava
L'impero quando egli fu assunto al principato: la rivolta nell'Oriente partico e
nella
Palestina, il malcontento degli Armeni, l' incerta situazione in Mauritania, le
minacce dei Sarmati e dei Rossolani, il contegno ostile dei montanari della
Scozia.
Adrìano pensava che l'impero era troppo vasto e che le nuove conquiste di
Traiano rappresentavano un serio pericolo per lo stato, specie quelle orientali
dove la natura del luogo ed il clima erano un ostacolo insormontabile al dominio
di Roma. Egli voleva perciò restringere i confini, munirli di salde difese e
presidiarli con un esercito forte e disciplinato,per poter rivolgere poi tutte
le cure e dare impulso alla prosperità dello stato.
Ohechè ne dicano certi storici, non fu quella di Adriano una politica del tutto
felice. Noi non possiamo in verità biasimarlo per quel che fece per assicurare
la sicurezza della Dacia e dell'angolo tra il Danubio e il Reno: costruì dei
muniti fortini agli sbocchi delle valli carpatiche, fondò una piazzaforte a
Tresmi, fortificò Figizio, Carmuntum a Vindobona ed altre
importantissime fortificazioni condusse tra il Reno e il Danubio. Ma non
possiamo approvare quanto lui fece in Oriente, dove cancellò l'opera di Traiano.
Questi aveva, creduto di risolvere con le armi la questione armenica e la
partica. C'era riuscito in parte e non c'era dubbio che avrebbe rafforzato la
sua conquista se non fosse stato logorato dalle fatiche e dagli anni e se la
morte non lo avesse colto.
Anziché proseguire dietro le orme del suo predecessore e migliorarne l'opera,
Adriano riportò il confine dell' impero all'Eufrate. La questione armenica fu
riaperta: l'Armenia, che da Traiano era stata ridotta a provincia, fu di nuovo
innalzata a principato sotto il protettorato romano, Adriano non tardò ad
accorgersi dell'errore commesso; liti sorsero tra il nuovo re e Farasmane II, re
degli Iberi, che invase e devastò la Media; le liti furono, è vero, appianate
e Farasmane si recò a Roma a far le scuse all'Imperatore, ma l'Armenia tornava
ad essere una causa di perturbamento gravissima.
L'Assiria e la Mesopotania furono sgombrate, Partamasate fu deposto dal trono
partico ed eletto re degli Osroeni; la Parzia ritornò sotto Cosroe
e a questo venne restituita la figlia.
Questa politica non poteva non produrre un grave malcontento nell'aristocrazia
provinciale che invece prima aveva applaudito le gesta di Trajano, malcontento
al quale non è certamente estranea la congiura che ebbe luogo negli ultimi anni
di Adriano, ma di questa si parlerà più tardi. Ora è necessario discorrere
dei viaggi ai quali Adriano dedicò gran parte della sua vita e che
rappresentano una tra le più importanti delle attività di questo imperatore.
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