ANTONINO
PIO
L'imperatore, designato da Adriano a succedergli, apparteneva a una famiglia discendente da Nemauso (Nimes), nella Gallia meridionale.
Egli era nato a Lorium
cinquantadue anni prima, nel 120 era stato console, poi juridicus della
Campania, una delle quattro giudicature istituite in Italia da Adriano,
proconsole in Asia e infine membro del consilium principis.
Nobile, mite, indulgente, savio, lontano dagl'impeti della gioventù e dal
torpore della, vecchiaia lo aveva giustamente definito Adriano
presentandolo ai senatori; né Antonino smentì mai il giudizio del padre
adottivo. Egli aveva ingegno e cuore, amava l'ordine e l'economia, non era
agitato da passioni, alla vita errabonda del suo predecessore preferiva la vita
sedentaria, alla guerra la pace, alle grandi riforme una tranquilla
amministrazione della giustizia e delle finanze. Non aveva però grandi vedute,
gli mancava la conoscenza delle condizioni in cui si trovava lo Stato e della
politica estera non aveva una adeguata preparazione. Egli aveva tutti i
requisiti per governare ottimamente una vecchia e tranquilla provincia, era
privo,di moltissime delle qualità che sono necessario al capo di un impero così
vasto che per buona fortuna Adriano gli lasciava saldo e pacificato.
Morto Elio Adriano, Antonino ne portò a Roma le ceneri e chiese che al suo
predecessore venisse tributata l'apoteosi; ma il Senato si oppose e minacciò di
condannare di Adriano la memoria e di conseguenza tutti gli atti del defunto
imperatore. L'opposizione senatoriale non era certamente dovuta soltanto agli
atti di crudeltà commessi da Adriano nei suoi ultimi anni, ma anche alla
politica di questo imperatore, il quale nell'intento di conciliare il romanesimo
e l'ellenismo e dare impulso alle opere di pace, si era messo in contrasto con
l'aristocrazia animata tutta da un rinnovato spirito di romanità.
Antonino però tenne duro e, forte dell'aiuto dell'esercito, riuscì a vincere
l'opposizione del Senato. Questo forse si lasciò disarmare dai buoni propositi
del nuovo imperatore, che, per la sua bontà e il suo spirito di giustizia, si
ebbe poi il titolo di Pio.
Fin dai suoi primi atti Antonino riuscì a conciliarsi le simpatie del Senato:
non prese provvedimenti contro coloro che si erano opposti all'apoteosi di
Adriano, propose un'amnistia in favore di coloro che erano stati condannati dal
suo predecessore, protestò di voler trattare col massimo rispetto i senatori e
di governare con grande indulgenza. I suoi propositi furono mantenuti: quando un
certo Attilio Tiziano per aver cospirato contro di lui, fu dalla Curia mandato
solo in esilio, Antonino non volle che se ne cercassero i complici e quando un
certo Prisciano, accusato anch'egli di congiura, si tolse la vita per non essere
condannato, Antonino molto generosamente ne soccorse il figlio.
Antonino Pio non portò alcuna innovazione nella politica, cercò di temperare
quella del suo predecessore in quello che contrastava con lo spirito e gli
interessi del Senato. E poiché uno degli atti meno felici di Adriano era l'aver
considerato l'Italia alla stregua delle province, secondo i più Antonino rimise
la penisola nella precedente situazione di privilegio ed abolì le quattro
giudicature e restituì all'Italia l'oro che era stato offerto per la sua
adozione.
In tutti i rami dell'amministrazione statale Antonino diede prova di grande
rettitudine e di buonsenso. Seguendo le orme di Adriano, curò molto la
giustizia, assistito come il suo predecessore dai più illustri giureconsulti.
Elevò la condizione della donna decretando che il marito potesse punire
l'infedeltà solo nel caso in cui lui si fosse mantenuto fedele alla moglie,
migliorò la condizione degli schiavi deliberando che i padroni che uccidessero
i loro schiavi incorressero nelle pene imposte agli omicidi, abolì la confisca
dei beni paterni per i figli dei funzionari condannati per concussione a patto
però che essi restituissero alle province quello che il padre aveva tolto e usò
molta severità verso coloro che nella riscossione dei tributi si rendevano
colpevoli di eccessivo rigore.
Sotto di lui il bilancio dello stato fu floridissimo, tanto è vero che alla
morte dell'imperatore si trovarono nelle casse oltre due miliardi e mezzo di
sesterzi. Né Antonino era stato avaro: aveva, come abbiamo detto, restituito
all'Italia tutto l'oro coronario, metà ne aveva restituito alle province, aveva
poi fatto rilevanti distribuzioni di denaro al popolo e ai soldati, aveva speso
considerevoli somme in feste e spettacoli; e nella solenne celebrazione del nono
centenario di Roma, aveva ridotto le imposte e nel 148, procedendo alla
revisione di esse, aveva condonato ai contribuenti gli arretrati di quindici
anni; si era mostrato generosissimo con Rodi e con l'Asia Minore, devastate da
un terremoto, con le città di Narbona, Antiochia e Cartagine danneggiate
da incendi, e infine con la stessa Roma la quale aveva perso in un incendio
circa trecentoquaranta caseggiati, era stata inondata dal Tevere ed era stata
afflitta da una grave carestia e dalla rovina del circo durante i giuochi
apollinari in cui era perito più di un migliaio di persone.
A tutto ciò si aggiungano le spese sostenute da Antonino in opere pubbliche, le
quali, se non possono paragonarsi a quelle fatte da Adriano, queste non furono
poche. Costruì acquedotti, migliorò i porti di Puteoli, di Terracina
e di Gaeta, aprì vie in Africa, nella Gallia, in Italia e nella Pannonia,
innalzò un tempio al suo predecessore e ne portò a compimento il suo grandioso
mausoleo, dove vennero deposte le ceneri di Adriano, di Cejonio e poi dei figli
e della moglie di Antonino, Faustina. Questa morì nel 141 e, sebbene non fosse
stata di severi costumi, l'imperatore le fece dal Senato decretare l'apoteosi e
innalzare un tempio sulla via Sacra; in memoria di lei fondò pure una pia
istituzione a favore di fanciulle che presero il nome di Faustiniane.
L'impero di Antonino durò ventitré anni e per l'indole del principe sarebbe
trascorso nella massima tranquillità se qua e là non fossero scoppiate delle
rivolte e se l'insistenza dei nemici esterni e lo spirito guerriero della nuova
aristocrazia non avessero costretto l'imperatore a prender le armi.
Appunto per dar soddisfazione a questo spirito la Scizia e la Parzia furono
ufficialmente considerate province romane e a Velogeso III venne rifiutato il
trono d'oro conquistato da Trajano a Ctesifonte. Le rivolte si ebbero in Acaja,
in Egitto e tra gli ebrei, e alcune guerre — di lieve entità — contro i
Germani, gli Alani, i Baci, i Mauntam e i Britanni. Di quest'ultimo popolo
diedero da fare i Briganti e più i Caledoni che minacciavano la linea di difesa
stabilita da Adriano.
Il legato Quinto Lollio Urbino dovette combatterli, e riuscì a ricacciarli e
portò il confine più a nord costruendo un vallo provvisorio tra Firth of Forth
e Firt of Clyde, dov'era prima di lui era giunto Agricola.
Antonino Pio morì a Lorium, dov'era nato, il 7 marzo del 161, in età di
settantaquattro anni, dopo tre giorni di febbre. Il giorno stesso della sua
fine, chiamò nella sua camera gli amici e i prefetti delle coorti pretorie, cui
raccomandò Marco Aurelio: fece portare nella stanza di questo la statua d'oro
della Fortuna e diede al tribuno, come parola d'ordine, il motto aequanimitas,
poi si volse nel letto dall'altra parte come per dormire e si spense
serenamente.
Fu ricordato per anni e anni come il "benefattore
dell'umanità"; "il piu' santo di
tutti i tempi", "il piu' grande e
visibile degli dei". Una cosa è certa: se proprio non
visse come un Divino (essendo un uomo semplice), non visse certamente come un
Satana. Per trecento anni, quando si procedeva all'investitura di un nuovo
imperatore si facevano gli auguri al nuovo eletto con la formula "che tu
possa essere come Antonino il Pio".
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