IL DONATISMO ED IL CONCILIO DI ARLES
Violente discordie travagliavano la chiesa africana. Dopo le persecuzioni di
Diocleziano si era formato, in seno alle comunità cristiane d'Africa, un
partito di intransigenti, i quali volevano che fossero esclusi dalle comunità
stesse i cosiddetti traditores, tutti coloro cioè che in obbedienza ai
precedenti editti di persecuzione avevano consegnato i libri e gli arredi sacri.
Essendo rimasta nel 311 vacante la sede vescovile di Cartagine era stato eletto
Ceciliano, ma gl'intransigenti non avevano voluto riconoscerlo perché nominato
dai traditores e gli avevano opposto prima Maggiorino poi Donato, da cui
prese nome lo scisma (Donatismo).
Costantino, che voleva una chiesa forte e concorde, non poteva disinteressarsi
delle contese che, dividendo in due campi la chiesa creavano violenze e
disordini, e intervenne. Per ordine suo fu nominata una commissione che risultò
composta da tre vescovi delle Gallie, da Merocle vescovo di Milano e da Milziade
vescovo di Roma. In questa città e sotto la presidenza del suo vescovo ebbe
luogo il concilio che si pronunciò in favore di Ceciliano. I Donatisti non
furono contenti del giudizio del consesso e si appellarono al tribunale
imperiale, sostenendo che i vescovi non avevano preso in esame il
tradimento di Felice di Aptonga, di colui cioè che aveva consacrato Ceciliano.
Costantino nel 314 convocò ad Arles un nuovo e più numeroso concilio di
vescovi, che confermò la sentenza del convegno di Roma; ma neppure quella di
Arles venne accettata dai Donatisti. A questo punto, l'imperatore chiamò a
comparire davanti il suo tribunale a Milano i due vescovi competitori, e qui
decise a favore di Ceciliano, indi ordinò che le chiese occupate dai Donatisti
venissero sequestrate e agli scismatici applicata la pena dell'esilio e della
confisca. Ma nemmeno questi provvedimenti giovarono e dopo cinque anni di
disordini e di lotte l'imperatore avendo compreso che perfino la forza era
impotente a risolvere questioni di fede, decise di tollerare gli
scismatici e convinse i cattolici che la cosa migliore da farsi era quella di
attendere eventi migliori.
Mentre Costantino, pur rimanendo pontefice massimo del paganesimo, lentamente si
accostava al Cristianesimo di cui già aveva accettato il fondamentale principio
di fede nel Dio unico, e del Cristianesimo abilmente iniziò a farne uno
strumento della sua politica.
Licinio andava abbandonando la sua neutralità e si accostava al paganesimo: per
misura di moralità e di ordine pubblico proibiva che uomini e donne insieme
intervenissero alle funzioni cristiane e che i vescovi predicassero davanti alle
donne; vietava che le assemblee dei Cristiani si tenessero entro le mura della
città, ed epurava la sua corte e l'amministrazione statale dagli elementi
cristiani.
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