IL GOVERNO DI COSTANTINO
L'ordinamento civile e militare dell' impero rimase in parte quello di
Diocleziano, in parte fu modificato o sviluppato secondo le necessità
dinastiche o gli scopi di difesa esterna (barbari) e interna (pronunciamenti).
Sotto Costantino le gerarchie sono numerose e ben definite e tutte fanno capo
all'imperatore e sono strumento del suo assolutismo. Alla testa dell' impero è
il principe di investitura divina, che i sudditi adorano; immediatamente dopo di
lui vengono i suoi consiglieri, i sette mèmbri del concistorium imperiale:
- il praefectus sacri cubìculi, specie di direttore del servizio privato del principe;
- il quaestor sacri Palatii che prepara e controfirma le leggi;
- il magister officiorum, ministro della casa imperiale, che dirige il personale della reggia e gli impiegati dell'amministrazione centrale;
- il comes sacrarum largitionum, ministro delle finanze dello stato;
- il comes rerum privatarum, amministratore del patrimonio privato dell' imperatore;
- i comites domesticorum
equitum et peditum, comandanti della guardia d'onore.
Dopo il concistorium, alle cui sedute sovente partecipano, stanno i quattro
prefetti del pretorio. Essi non hanno più poteri militari, ma esercitano il
potere civile e giudiziario, ciascuno nella propria prefettura.
Quattro sono le prefetture:
quella d'Oriente con capoluogo Costantinopoli, che comprende cinque diocesi e quarantasei province;
quella dell' Illirico con capoluogo Sirmio, comprendente la Pannonia, la Dacia, la Macedonia e la Grecia;
undici province raggruppate in due diocesi, quella dell' Italia — quattro diocesi e quaranta province — formata, oltre che dall'Italia, dalla Rezia, dalle isole mediterranee e dai territori africani tra la Pentapoli Libica e la Mauritania Tingitana, con Milano per capoluogo;
la Gallia — tre diocesi e ventinove province con sede del governo a Treveri — comprendente la Gallia transalpina, la Spagna e la Britannia.
Dai prefetti del pretorio dipendono i vicarii delle diocesi e i praesides o
consulares o correctores delle province.
Capo supremo dell'esercito è l'imperatore. Sotto di lui stanno quattro magistri
militum, ciascuno dei quali ha il comando militare di una prefettura e ai suoi
ordini un magister equitum e un magister peditum e un certo numero di duces.
Se l'ordinamento civile è tale da recar vantaggi all'impero, infelice è invece
quello militare. Per impedire o reprimere più facilmente le sedizioni
Costantino riduce a millecinquecento uomini gli effettivi della legione,
indebolendone così l'organismo; crede di semplificare i servizi e di dar
maggiore autonomia alle varie armi separando il comando della cavalleria da
quello della fanteria e quello tattico da quello logistico e invece toglie
organicità e snellezza all'esercito.
Questo è diviso in tre ordini di milizie: milizie palatine (domestici,
protectores, scolares), che comprendono un quinto o un sesto di tutti gli
effettivi, ricevono una paga maggiore, poltriscono nei capoluoghi delle province
e seguono l'imperatore nelle spedizioni più importanti; milizie di linea (comitatenses)
che rappresentano la parte migliore dell'esercito, ma sono acquartierate nei
piccoli centri dell' interno, dove perdono il loro spirito militare; e da ultimo
milizie di confine (riparienses o limitanei), con paghe minori e ferme più
lunghe, scaglionate lungo le frontiere.
Il governo di Costantino non fu migliore né peggiore di quello di parecchi
altri imperatori: molti atti propri di un governo assoluto, di cui lo accusano
gli storici, gli furono imposti dalle difficili condizioni in cui versava
l'impero, altri atti, buoni, furono più che un merito suo, una conseguenza
dell'evoluzione sociale. Egli difatti fu costretto da un canto ad usare odiose
coercizioni per assicurare la riscossione delle imposte e il funzionamento dei
servizi pubblici e ad accrescere certe imposte per far fronte alle enormi spese
richieste dall'aumentato numero dei funzionari e delle truppe, dall'altro seguì,
nei provvedimenti legislativi, l'indirizzo dei tempi e forse il consiglio dei
non pochi cristiani che erano alla sua corte.
Sotto due aspetti Costantino è degno d'elogio: egli volle che alla giustizia
non si facessero infrazioni e cercò di risanare la circolazione monetaria. Ma
sia per l'una che per l'altra cosa bisogna lodarlo solo per la buona
volontà che ci ha messo più che per i risultati conseguiti: non mancarono
sotto di lui gli abusi dei funzionari dell'amministrazione provinciale, né le
cattive monete scomparvero, malgrado la coniazione di alcuni nuovi tipi di buone
monete quali i solidi, i miliarensi e le silique.
Nel 322, richiesto di aiuti dai Sarmati, che erano in guerra coi Goti,
Costantino mandò contro questi ultimi il figliolo dello stesso nome, che
sconfisse i barbari e ricevette in ostaggio il figlio del re Ariarico. Più
tardi i Sarmati, scacciati dalla popolazione del paese da loro occupato, ebbero
buona accoglienza nel territorio dell' impero e in numero -si narra- di
trecentomila furono distribuiti come coloni nella Pannonia, nella Tracia, nella
Macedonia e anche in Italia (334).
L'anno 335 segna il fallimento della politica di Costantino.
Egli che tanto aveva lottato per unificare sotto di sé l'impero, ricostituì la
tetrarchia, dividendo i territori dell'impero fra i membri della sua famiglia.
Tre figli gli aveva dato Fausta:
Costantino, Costanzo, Costante.
Al primo diede le Gallie, la Spagna e la
Britannia, al secondo le province asiatiche e l'Egitto, al terzo l'Italia, l'Illirico
e l'Africa.
A Dalmazio, figlio del fratello, nominato Cesare in questo anno per avere
repressa in Cipro una sedizione capitanata da un certo Calogero, assegnò la
Tracia, la Macedonia e l'Acaia.
Presto si scatenò la lotta tra i fratelli: ognuno di loro voleva imitare il padre, cioè diventare unico
padrone assoluto dell'impero (cesaro-papista). Ma non possedendone le qualità,
le stanno aggirando iniziando a tramare congiure fra di loro. Ognuno pensa di
far fuori l'altro.
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