LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI 

 

Gli ultimi anni dell' impero di Diocleziano furono insanguinati dalle persecuzioni contro i Cristiani.
Il Cristianesimo si era diffuso in tutto l'impero, era penetrato nella corte, nel Senato, nell'esercito, nella burocrazia, nelle classi ricche e colte come nelle povere e ignoranti, aiutato dalle guerre, dalle ribellioni, dall'anarchia politica e amministrativa, dal disagio economico, dalla decadenza del sentimento nazionale, dalla immissione nei territori dell' impero di numerosissimi barbari, dall'intiepidirsi della fede pagana, dalla diffusione di certe dottrine filosofiche, dalle migliorate condizioni della schiavitù e dalle numerosa opere assistenziali istituite dalle comunità cristiane fiorentissime. Il Cristianesimo, malgrado le persecuzioni sofferte, aveva saputo organizzarsi potentemente. Le chiese disponevano di ingenti beni e si era formata una gerarchia, che in certe città aveva una grandissima autorità anche fuori della cerchia della comunità cristiana.

La diffusione e la potenza del Cristianesimo, nonché la dottrina da esso predicata e i sentimenti che nei seguaci inculcava, non potevano non preoccupare Diocleziano. Il Cristianesimo era un elemento dissolvente dell' impero: divideva i cittadini credenti da quelli che professavano altre fedi, predicava l'astensione dalle pubbliche cariche, univa il romano al barbaro, era contrario alla guerra e all'esercito, non riconosceva la divinità dell'imperatore.

Diocleziano non era un pagano fanatico e nei suoi primi anni fu molto tollerante verso i Cristiani, ma quando due magistrati di Samosato si rifiutarono apertamente di sacrificare agli dèi in ringraziamento della vittoria sui Persiani, quando i sacerdoti affermarono che le viscere delle vittime consultate, non rispondevano per la presenza disturbatrice nell'esercito di soldati di altra fede, quando il suo consiglio privato concordemente si pronunciò per la persecuzione dei Cristiani e questa venne approvata dall'oracolo di Apollo Didimeo, l'imperatore non riuscì più resistere alle pressioni di Galerio che odiava i seguaci di Cristo e stabilì di prendere dei provvedimenti.

Il 23 febbraio del 303, giorno in cui ricorrevano le feste terminali, il prefetto del pretorio, seguito da uno stuolo di soldati e dal popolino pagano, invase il tempio cristiano di Nicomedia, bruciò i libri sacri e ordinò che la chiesa fosse saccheggiata e distrutta.
Il giorno dopo fu pubblicato un editto che ordinava la distruzione delle chiese e dei libri dei Cristiani, ne scioglieva le comunità, ne confiscava i beni, proibiva le riunioni, escludeva dalle cariche pubbliche e dalla cittadinanza romana i sudditi che appartenevano alla religione di Cristo e rimetteva nella schiavitù i liberti se non ritornavano al paganesimo. Un cristiano osò strappare e lacerare l'editto, ma venne arrestato e bruciato vivo. Qualche tempo dopo scoppiò un incendio nel palazzo imperiale di Nicomedia; mentre in Siria -approfittandone- ebbero luogo tra le truppe e i funzionari civili dei moti antidinastici. L'uno e gli altri vennero attribuiti ai Cristiani; molti ne furono arrestati e processati, e tutti — e fra questi, alcuni addetti al palazzo imperiale — sebbene si proclamassero innocenti, vennero mandati al martirio.

La distruzione delle chiese e dei libri sacri ordinata dall'editto provocò in Oriente tumulti e tentativi di resistenza da parte delle comunità cristiane, cui tenne dietro un secondo editto che comminava pene più severe. Con questo l'imperatore ordinava che i Cristiani venissero ricercati ed obbligati a sacrificare agli dèi e che tutti i vescovi e i preti che si rifiutavano di consegnare i libri sacri venissero messi in carcere. Al secondo seguì un terzo editto col quale, in occasione delle prossime feste con cui si sarebbe celebrato solennemente il primo ventennio dell'avvento all'impero dei due Augusti (Vicennalia), si accordava l'amnistia a coloro che, abbandonato il Cristianesimo, ritornassero all'antica fede pagana, e si annunziava una maggior severità contro di quelli che si ostinassero a rimaner Cristiani.

Non in tutte le parti dell'impero gli editti vennero applicati col medesimo rigore. Nell'Occidente, specie nella Gallia e nella Britannia dove i Cristiani erano meno numerosi, per merito di Costanze Cloro e della sua corte in gran parte convertita al Cristianesimo, la persecuzione fu molto blanda e si limitò alla distruzione di qualche chiesa e alla proibizione delle assemblee dei Cristiani; in Oriente invece, più per opera di Galerio che di Diocleziano, gli editti vennero applicati con un rigore che a volte confinò con la ferocia. In una città della Frigia — secondo la tradizione ecclesiastica — gli abitanti cristiani furono chiusi in una chiesa e perirono tra le fiamme; molti vescovi vennero gettati nelle prigioni, altri furono deportati nella Pannonia, come il vescovo di Antiochia, a lavorare nelle cave di marmo. 

Davanti alla ferocia dei persecutori non tutti i Cristiani ebbero la forza e il coraggio di resistere: non furono pochi quelli che abiurarono e sacrificarono ai vecchi dèi, parecchi vescovi consegnarono i libri sacri e ci furono anche di quelli che, dopo di avere fatto apostasia, aiutarono i magistrati a perseguitare gli antichi compagni di fede. Nel novembre del 303 vennero celebrati con gran pompa i Vicennalia e il trionfo dei due Augusti. Roma per pochi giorni tornava ad essere la capitale dell'impero e tornava ad assistere ai cortei trionfali in onore di coloro che per la sua grandezza avevano combattuto e vinto. 

Il 20 novembre Diocleziano e Massimiano fecero il loro ingresso nella metropoli sopra un magnifico carro tirato da quattro elefanti, seguiti dai senatori, da un numeroso stuolo di magistrati e ufficiali, da una selva di insegne, dai trofei delle vittorie e dalle figure di Narsete, delle sue donne e dei suoi figli. Le feste furono accompagnate da un'amnistia e da elargizioni alle principali città per un totale di trecentodieci milioni di denari.

 

Torna a DIOCLEZIANO