IL GOVERNO  E LE OPERE


Al pari di Tito egli cercò di guadagnarsi il favore popolare con elargizioni, banchetti, feste e spettacoli. Per tre volte distribuì trecento sesterzi ad ogni cittadino povero; diede magnifici conviti nelle feste della sua pretura e in quelle celebratesi quando si commemorò l'aggiunta di un settimo monte a Roma; celebrò ogni anno le feste di Minerva, e con grandissima solennità fece celebrare i ludi secolari elevando fino a cento il numero delle corse giornaliere dei cocchi; istituì in onore di Giove Capitolino una gara quinquennale di musica, di corse di cavalli e di esercizi ginnastici; diede naumachie  in un lago scavato presso il Tevere e nell'anfiteatro, combattimenti di fanti e cavalieri, giochi gladiatori e cacce notturne al lume delle fiaccole. Ai combattimenti fece partecipare le donne e delle vergini alle corse nello stadio. Per mantenersi fedele l'esercito, Domiziano aumentò la paga dei soldati: i pretoriani ebbero mille denari annui, cinquecento le milizie urbane, trecento i legionari.
 
Senza dubbio mossi dal desiderio di acquistarsi popolarità furono molti provvedimenti di ordine finanziario. Sebbene non fossero molto ricche le casse dello Stato a causa delle spese che Tito aveva dovuto sostenere, Domiziano rifiutò le eredità lasciategli da chi aveva figli, condonò le multe dovute al fisco che erano state elevate da un quinquennio, lasciò agli antichi proprietari, come acquistate per usucapione, quelle terre che erano state invase dopo la distribuzione fatta ai veterani e represse le persecuzioni fiscali; ma più tardi, preoccupato dalle tristissime condizioni dell'erario, si diede a confiscare con ogni pretesto eredità e usò estremo rigore nel percepire le imposte dai Giudei. 

Verso a Senato Domiziano non seguì la politica del padre e del fratello: l' imperatore prese la censura a vita e la carica di console ordinario che nel '84 si fece dare per la durata di dieci anni. Con ciò egli rafforzava maggiormente il potere imperiale; la diarchia anche nelle forme si avviava verso la monarchia assoluta; difatti a Domiziano veniva dato il titolo di dio e padrone e l'imperatore cominciava ad indossare il manto di porpora.

L'impero di Domiziano è notevole per la cura con cui venne amministrata la giustizia e vennero governate le province e per le leggi tendenti a rialzare il sentimento religioso e a frenare il malcostume. Scrive Svetonio:

Amministrò la giustizia con zelo e diligenza, tenendo in via straordinaria tribunale anche nel Foro; annullò le sentenze partigiane dei centumviri; ammonì i giudici a non prestar troppa fede alle parole ambigue e insultò quelli corrotti e le loro sentenze. Indusse un tribuno della plebe ad accusare di concussione un sordido edile e a chiedere contro di lui giudici al Senato. E mise tanta cura i nel frenare i magistrati urbani e i governatori delle province che essi non furono mai più né più moderati né più giusti: molti di questi dopo di lui li vedemmo accusati di ogni delitto.

Sotto il suo impero, in Italia e nelle province fu ampliata la rete stradale: in Italia fu costruita la via che da Sinuessa conduce a Pozzuoli, in Oriente la Galazia, il Ponto, la Oappadocia, la Pisidia, la Paflagonia e l'Armenia Minore furono allacciate da vie.
Per porre un freno alla corruzione dei costumi proibì la diffusione dei libelli calunniatori e comminò pene per gli autori; radiò dal Senato un ex-questore che soleva fare il mimo e il ballerino; alle meritrici tolse il diritto di andare in lettiga e di ricevere legati o eredità, cancellò dall'albo dei giudici un cavaliere romano che aveva sposata di nuovo la propria moglie già ripudiata per adulterio; rigorosissimamente punì le vestali ree d'incesto, prima con la decapitazione poi facendole seppellire vive secondo l'antica usanza.
Alle sorelle degli Oculati a Varronilla, che avevano commessi incesti, diede facoltà di scegliersi la morte ma quando la prima delle Vestali, Cornelia, che era già stata assolta, fu accusata nuovamente e risultò colpevole, le fece seppellire vive. Severe punizioni furono comminate contro i seduttori: questi prima si ebbero l'esilio poi in pubblico comizio furono battuti a morte con le verghe.
Con un editto proibì che si facessero degli eunuchi e fissò il prezzo di quelli che si trovavano presso i mercanti di schiavi; proibì agli istrioni di calcare le scene concedendo di esercitare la loro arte nelle case private; perché si desse incremento alla coltivazione del grano, che riteva trascurata, vietò di piantare in Italia nuove vigne e ordinò che nelle province si riducessero della metà le piantagioni di viti. Proibì inoltre che le legioni ponessero il campo le une vicino alle altre e che la plebe assistesse agli spettacoli mescolata coi cavalieri.
Perché non fosse impunemente offeso il culto degli dei fece demolire il sepolcro che un suo liberto, servendosi di pietre destinate al tempio di Giove, aveva fatto costruire al figlio e ne fece gettare la salma in mare.

Quanto egli avesse cura della religione lo dimostrano i templi da lui fatti costruire: ne vennero per ordine suo innalzati a Iside e a Serapide, quello a Giove Capitolino fu condotto a termine e ornato di colonne di marmo pentelico, nel Campo Marzio fu edificato un tempio a Minerva Calcidica che venne circondato da portici (Foro Palladio) e un tempio fece innalzare alla famiglia Flavia. Per avere aderito al Cristianesimo, come sembra, furono messi a morte Flavio Clemente e il consolare Acilio Glabrione. Scrive Svetonio che Domiziano nella sua giovinezza aborriva talmente l'effusione di sangue che, nell'assenza del padre, ricordando il verso di Virgilio "empia gente, che si nutrì degli uccisi giovenchi" voleva proibire per editto che si immolassero buoi.
Purtroppo egli non perseverò nella clemenza e ben presto diede prova di crudeltà.
Ritornarono in vigore i processi di lesa maestà che Tito aveva abolito. Furono espulsi da
Roma i filosofi, parecchi dei quali ricoprivano i loro sentimenti avversi all' imperatore con le dottrine dello stoicismo: Erennio Senecione fu ucciso perché aveva scritto la vita di Elvidio Prisco e la stessa sorte ebbe Giunio Rustico che aveva fatto l'elogio di Trasea Peto. Messo a morte fu anche il figlio di Elvidio Prisco e perì pure la madre, accusata di aver fornito ad Erennio notizie sulla vita del marito. Fine simile fece Pomponia, moglie di Rustico. Né questi furono i soli delitti di cui Domiziano si macchiò. Perirono Civico Ceriale, proconsole in Asia, e il senatore Salvidieno Orfito, Elio Lamia, Salvio Coneiano, Mezio Pompesiano, Flavio Sabino, Arrecino Clemente, un discepolo del pantomimo Parire, Ermogene da Tarso e parecchi altri.
Pareva che in Domiziano rivivessero Caligola e Nerone. Ma la sua crudeltà doveva avere un termine e dovevano essere i suoi stessi familiari, spinti dall'odio e dal timore, a liberare Roma dal sanguinario tiranno. Prima però di narrare la congiura per la quale Domiziano doveva perire parleremo delle guerre che durante il suo impero furono combattute.

 

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