LA MORTE DI DOMIZIANO


Agricola tornò a Roma e si ebbe le insegne trionfali, poi si ritirò a vita privata e di lì a poco cessò di vivere. Non mancò chi della morte sospettò autore l'imperatore medesimo.
Domiziano sapeva di essere odiato. Due congiure erano state scoperte avevano dato luogo a severissime condanne; nel 93 Lucio Antonio Saturnino, governatore della Germania superiore, che si diceva discendente del triumviro Marco Antonio, d'accordo col patriziato romano, ribellò all'imperatore le due legioni di cui aveva il comando e chiamò in suo aiuto i Germani. Ma essendo questi trattenuti sulla destra del Reno dallo sgelo del fiume, L. Appio Massimo, governatore dell'Aquitania, riuscì a piombare sui ribelli e a farne una strage. Lucio Antonio fu ucciso.

Dopo questo avvenimento Domiziano era divenuto sospettosissimo. Temendo per  la sua vita, aveva raddoppiata la guardia del palazzo, aveva cambiato sovente il prefetto urbano e il capo dei pretoriani e aveva prese infinite altre precauzioni. Ma queste non furono sufficienti a salvarlo dall'odio di coloro che avevano deciso di sopprimerlo per sfuggire alla pena capitale cui Domiziano li riserbava.
Fra costoro la moglie Domizia, i prefetti del pretorio Nerbano e Petronio. Partenio, cameriere dell'imperatore e il suo liberto Massimo, Claudiano aiutante di un tribuno, Saturìo decurione dei camerieri, parecchi gladiatori e il liberto Stefanio procuratore di Domitilla, moglie di Flavio Clemente, la quale, dopo l'uccisione del marito era stata mandata in esilio a Pandataria.
A quest'ultimo fu commesso di uccidere l'imperatore e si fissò la data del 18 settembre del 96.
Venuto il giorno stabilito, Stefanio, il quale per allontanare i sospetto da qualche tempo portava il braccio fasciato, chiese di parlare a Domiziano per informarlo di una cosa gravissima. Il principe lo ammise in una sua stanza, e appena entrato, il liberto gli disse di avere scoperto una congiura e gli porse un foglio dov'era l'elenco dei presunti congiurati. Mentre l'imperatore era intento a leggere la carta, Stefanio tirò fuori dalla fasciatura, in cui lo teneva nascosto, un pugnale e vibrò un colpo al ventre del tiranno, producendogli una lieve ferita. Allora tra l'imperatore e il liberto s'impegnò una violenta colluttazione e questi avrebbe avuto la peggio se al rumore non fossero accorsi altri congiurati, Claudiano, Massimo, Saturio e alcuni gladiatori, che trucidarono Domiziano con Sette colpi. 

Quando morì, l'imperatore contava quarantaquattro anni ed era nel quindicesimo del suo regno.
La salma fu portata in una bara plebea ed ebbe modestissime esequie in una casa di campagna sulla via Latina appartenente a Fillide nutrice dell' imperatore, che dopo la cremazione del cadavere portò poi di nascosto i resti nel tempio della stirpe dei Flavi unendola alle ceneri di Giuba figlia di Tito.

Il popolo alla notizia dell'uccisione, accolse con gioia la morte di Domiziano, un po' meno i pretoriani che dall'imperatore erano stati favoriti. Tumultuando accorsero nel palazzo, e Stefano non riuscì ad evitare di essere fatto a pezzi. Volevano continuare dando la caccia anche agli altri congiurati, non rispettando perfino i loro capi, Norbano e Petronio, che però riuscirono a indurli alla calma, soprattutto quello che -promettendo loro ricchi donativi- poi divenne imperatore:
cioè Cocceio Nerva.

 

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