Giulio Cesare GERMANICO
Generale romano (Roma 15 a.C. - Antiochia 19 d.C.). Figlio di Druso Maggiore e di Antonia Minore, nipote di Augusto, mutò il probabile nome originario di Claudio Nerone Germanico in quello di Caio Giulio Cesare Germanico, in seguito alla sua adozione nella gens lulia (Giulia) da parte di Tiberio (4 d.C.).
Storicamente noto come Germanico dall'appellativo onorifico ereditato dal padre, sposò a diciannove anni Vipsania Agrippina, che gli fu moglie fedele e intrepida in tutto il corso della sua breve e intensa vita, e a ventun anni incominciò la sua prestigiosa carriera militare e politica.
Questore nel 7 d.C., coadiuvò Tiberio nella repressione della duplice rivolta dei Dalmati e dei Pannoni; pretore nel 10 ottenne, due anni dopo, il consolato.
Nel 13 ebbe da Augusto, che lo stimava molto, l'alto e gravoso incarico, prima tenuto da Tiberio, di sorvegliare la frontiera del Reno. Quivi, alla morte di Augusto, sedò con energia non meno che con lealismo una sollevazione delle legioni del Reno che, tra l'altro, lo volevano eleggere imperatore; quindi passò più volte il Reno e, sconfitto Armimo a Idistaviso (16 d.C.), recuperò le aquile delle legioni massacrate nella selva di Teutoburgo (9 d.C.) e rese gli onori funebri alle vittime della strage.
La sua popolarità divenne tale che fu richiamato a Roma da Tiberio, geloso della sua fama oltre che preoccupato di quanto contavano in uomini e in danaro le spedizioni in Germania. Ottenuto il trionfo (17), venne allontanato dalla capitale con l'incarico di una missione diplomatica in Oriente, dove provvide ad accomodare un dissidio dinastico in Armenia e a regolare i rapporti con i Parti.
In Siria si trovò in un insanabile contrasto, aggravato dalle contese ambiziose delle rispettive mogli con il governatore Calpurnio Pisone, inviato in quella provincia soprattutto con il compito di sorvegliare il giovane principe.
Nella primavera del 19 Germanico, senza chiedere l'autorizzazione a Tiberio, compì un viaggio di studio e di piacere in Egitto; ritornato al principio dell'autunno in Siria, in un'atmosfera di accentuata tensione con Pisone, si ammalò di un morbo sconosciuto e morì con il sospetto di essere stato avvelenato.
La sua fine immatura suscitò vivo rimpianto a Roma, dove gli avversari di Tiberio, sfruttando la situazione, accusarono Pisone e, di riflesso, I'imperatore, di aver provocato la morte di Germanico.
Nel processo che Tiberio lasciò istruire dinanzi al senato per timore dell'opinione pubblica, l'accusa di veneficio risultò inconsistente, ma Pisone, abbandonato da tutti, si uccise. Per il valore, la liberalità, i sentimenti di umanità, Germanico fu uno dei personaggi più amati e popolari del suo tempo. Buon oratore e apprezzato scrittore di commedie, ha lasciato, a testimonianza della sua cultura e delle sue attitudini letterarie, una libera e aggiornata versione dei Fenomeni di Arato (Aratea) in 725 esametri di buona fattura.
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