IUVANUM
Le prime testimonianze
sulla città antica di Juvanum risalgono al Liber Coloniarum, dove è citato
come Jobanos, e forse a Plinio, se Lanuenses si può correggere con Juvanenses.
Deduciamo tutte le altre informazioni dalle iscrizioni e dai reperti
archeologici.
L'abitato antico si trova lungo la strada moderna che collega Montenerodomo a
Torricella Peligna; comincia a svilupparsi nell'età tardo repubblicana
preceduto dall'oppidum preromano ubicato sulle alture circostanti.
Juvanum diventa municipium nel periodo anteriore alla guerra sociale quando il
frazionamento dell'unità tribale costituisce il presupposto della costituzione
del municipium.
Momsen sosteneva che il municipio comprendeva gli attuali paesi di Montenerodomo,
Pennadomo, Torricella Peligna, Taranta Peligna, Palena, Gessopalena.
L'iscrizione cita, infatti, di un Poppedius, PATRONUS MUNIC(ipii) IUVANENS(is).
Iscritto nella tribù Arnensis, era amministrato da quattuorvires. Risultano
presenti anche seviri augustales ed un collegium Herculaniorum, cioè una
corporazione di devoti ad Eracle, la divinità locale più importante. Nel 325
d.C., il governatore provinciale Fabio Massimo, rettore del Sannio, ne restaurò
le mura e costruì il secretarium.
A partire dagli
anni'60 sono iniziati degli scavi sistematici che hanno portato alla luce
i monumenti cultuali, costruiti nella zona dove sorgerà Juvanum, sulla
sommità dell'acropoli. |
Non era solo un muro
di circoscrizione del temenos, fungeva anche da sostegno al terrazzamento. Se ne
conservano il lato N, con l'angolo NE e il tratto ad O. Le mura poligonali, del
III sec a.C., cingevano un luogo di culto precedente l'erezione dei templi,
forse un culto dedicato all'acqua. Tale territorio, in epoca medievale, fu
occupato dalla abbazia cistercense di S.Maria di Palazzo, realizzata impiegando
materiale di spoglio dall'acropoli, dalla città romana, dalla necropoli.
Il tempio originario, la cui costruzione si colloca nella prima metà del II sec
a.C., occupa la parte centrale dell'area sacra. Sono visibili sul terreno le
tracce dell'alto podio, in opera quadrata, con blocchi di travertino. Poiché vi
si è sovrapposta la chiesa medievale, si possono dedurre le misure del podio di
21,30 x 12,60 m, al quale si addossava l'ampia scala di accesso di m 9 x 2,6.
Alcuni blocchi del tempio sono rimasti in situ: rocchi di colonne, cornici
modanate, altri sono stati trasportati a valle in occasioni diverse. Alcuni
capitelli dorici sono stati conservati a Torricella Peligna.
Intorno alla metà del II sec a.C., a N del tempio già esistente, alla distanza
di m 3,9, venne eretto il secondo tempio.
Di questo si conserva il podio sopraelevato, privo di rivestimento. Il nucleo
interno è realizzato in blocchi squadrati che consentono di individuare la
suddivisione della cella. Le epigrafi rinvenute attestano il culto di Eracle,
Diana, Vittoria e Minerva. Tra tutte, Eracle sembra essere il più documentato,
dato il rinvenimento di statuette e dello stretto legame tra la divinità e il
mondo agricolo-pastorale.
A SE della collina si appoggia la cavea del teatro, costruito nel corso del II sec a.C. Il suo impianto risponde tecnicamente ad un tipo di costruzione precedente la romanizzazione, con la cavea totalmente addossata alla collina, senza alcuna finzione scenica e la frons scenae a tre nicchie. |
Si conservano le prime
sette file di gradini, relativi alla cavea e parte dell'orchestra, con
lavorazione molto accurata per la resa della pavimentazione, con pietre piccole
ai lati ed un filare quasi regolare di pietre più grandi al centro. Rispetto ai
templi sulla collina il teatro non presenta assialità.
La tipologia dei templi, in associazione con il teatro-santuario, sono
espressione della cultura ellenistica che si diffonde nel Sannio-Pentro tramite
le maestranze campane, chiamate dai committenti ad eseguire lavori che
esprimessero in pieno la loro posizione sociale.
Una via lastricata collega il santuario con il Foro, costruito più a N con
orientamento diverso.
Prima di entrare nel foro, sulla destra ci sono, in un cattivo stato di
conservazione, resti di muri sconnessi ed esistenti su un solo filare o al
massimo due. Si tratta di due o tre stanze, con pareti che si incontrano ad
angolo retto, non allineate con la città giulio-claudia, caratterizzata dalla
unitarietà del progetto.
Tale insediamento è stato volutamente distrutto dalla costruzione della strada
basolata, perché la muratura di tali vani continua anche sotto la strada.
Il Foro è una piazza rettangolare, lastricata (m 62 x 27). Lungo l'asse minore
del pavimento si conservano tre file di lastroni, mutili, che recano evidenti
tracce di una iscrizione monumentale, che riporta il nome del magistrato, autore
dell'opera, ed il suo cursus honorum.
L'iscrizione corre su tre righe ed è parzialmente leggibile:(h)ERE(nnius arn)CAP(ito)Q.II.FLAMEN.TR(ibunus.m)IL(itum).IIII.PRAEF(ectus)CO(hortis)F.A.OMNIA.INCH(o)AVIT.HERENNIA.PROIECTA.EX.T(estamento)PQR.STERNENDUM.CURAVIT.
L'interpretazione è stata possibile confrontando la altre epigrafi pavimentali
forensi romane, di Pompei, Saepinum, Roma, che presentano una identità di
collocazione topografica al centro del foro, parallela ai lati brevi. E' una
piazza ad assetto chiuso, con un rapporto lunghezza-larghezza di 2:1. E'
circondata da portici di uguale larghezza sui lati O, S, E. Le colonne erano 8 x
18, con un intercolumnio di m 3,90, sul lato corto, e di m 5, sul lato lungo.
Sugli stessi lati sono presenti anche le tabernae.
La piazza era adorna di statue onorarie, attestate dalla presenza di diverse
basi.
Segue un ambiente rettangolare la cui parete a N era decorata da 12 semicolonne
addossate. Era la basilica, un edificio absidato, con pavimento marmoreo, la
sede di un culto imperiale, dato che è attestata la presenza di seviri
augustales, oppure era la sede del tribunal.
Un'iscrizione ricorda la costruzione della basilica e del tribunal. I primi due
vani settentrionali che si affacciano sul lato lungo occidentale della piazza
sono intercomunicanti. Il terzo ambiente ha subito un restauro che ha obliterato
le strutture preesistenti. Potrebbe essere un edificio dedicato alla sede di
collegia.
La zona a SE del foro è stata scavata a partire dal 1987 ed ha restituito
un'insieme di vani che conservano parte delle strutture di alzato in blocchi di
pietra squadrati e in alcuni casi porzioni di pavimento. Spesso, la rimozione
dell'humus ha portato alla luce carbone, ossi combusti frammenti di ceramica a
vernice nera, di ceramica comune, di sigillata italica, che in molti casi hanno
consentito di interpretare la funzione del vano.
Ad esempio il vano W poteva fungere da culina, data la presenza di un focolare
nell'area centrale. Il vano B è stato identificato come taberna, aperta sul
portico prospiciente il foro. Il rinvenimento di due strumenti chirurgici usati
anche in campo cosmetico e farmaceutico hanno consentito di attribuire una
datazione alla prima età imperiale. Il vano è attraversato da una struttura
fognaria che conduceva ad una fossa foderata di mattoni bessali, coperta da
bipedali.
Il vano K, invece, ha restituito molti oggetti del mundus muliebris che hanno
indotto a supporre l'utilizzo della stanza da una ornatrix, colei che svolgeva
attività di pettinatrice e di truccatrice.
Nella zona a SE del foro è venuto alla luce un ambiente di difficile
interpretazione. Non risulta allineato al foro ma è irregolare ed addossato ad
un altro ambiente.
Dalla presenza di molte scorie di ferro e di frammenti informi di stagno fuso,
piombo e vetro non lavorato è possibile dedurre che si tratti di una officina o
di un laboratorio in rapporto all'ambiente adiacente, nel quale è stata
rinvenuta una fornace di forma circolare, costruita con mattoncini curvilinei.
Nell'angolo a SE del portico del foro si evidenziano altri ambienti orientati
come la città giulio-claudia. In uno di questi è stata rinvenuta una mola
olearia, usata come riempimento della pavimentazione.
E' stato possibile ipotizzare l'esistenza dei resti di un intero insediamento
rurale, sotto la città romana, attestato da numerose strutture emerse, non
coincidenti con l'orientamento del municipio.
All'interno della città il sistema viario è costituito da due tratti di
strade, convenzionalmente chiamati "via del Foro" e "via
Orientale". La via del Foro era lastricata con basoli regolari ed era larga
m 5,30.
La via Orientale si conserva per m 90 ed è larga m 3. Ha basoli ben connessi e
delimitati da argini. Le due strade non sono strutturate canonicamente in assi
ortogonali e non attraversano il Foro, ma sono adiacenti ad esso.
Le campagne di scavo effettuate sul territorio hanno portato alla luce numerosi
frammenti di ceramica; la fase più antica della città, anteriore all'impianto
romano è cronologicamente delineato dai ritrovamenti di vernice nera.
Le dimensioni ridottissime dei frammenti, insignificanti per la ricostruzione
dei vasi hanno consentito di individuare solo alcune forme ceramiche, tra le
quali la più ricorrente è la patera, datate tra il II e il I sec.a.C.
Tra il I sec a.C. e il I sec d.C., a testimonianza dello status degli abitanti,
si collocano le coppe da mensa in sigillata italica liscia o decorata alla
barbotine. Numerosi sono anche i frammenti ascrivibili alla classe delle pareti
sottili acrome e grigie.
Anche per quanto concerne i metalli sono state rinvenute numerose fibule ad arco
semplice, del tipo Aucissa, che consentono di individuare alcune caratteristiche
tipiche dell'abbigliamento militare della fine del I sec d.C.
Quindi si possono individuare classi di materiali eterogenei alle quali si
affiancano rinvenimenti isolati, emblematici dal punto di vista
storico-artistico; tra questi va segnalata una tomba infantile affiancata a
bronzetti riproducenti Ercole, anomali in quanto inseriti in un contesto
del I sec d.C., una bardatura equina del I sec d.C., in bronzo fuso, ottenuto
con la tecnica a cera persa piena, con la superficie ricoperta da una sottile
lamina d'argento, sulla quale è incisa una decorazione riempita a niello.
E' costituita da dischi con pendaglio di diverso diametro, di elementi
decorativi funzionali, gancetti di chiusura, fascette della estremità delle
cinghie. E' un tipo di bardatura del I sec.d.C., dell'età tiberio-claudia.
Altri rinvenimenti significativi da Juvanum sono una statua di togato, ora in
una collezione privata di Torricella Peligna; presenta una bulla che induce a
pensare che si tratti di un giovane della famiglia imperiale.
Un altro togato, con capsa, era rappresentato su un altorilievo funerario
conservato nella sede della Pro-Loco di Torricella Peligna. Ma il rinvenimento
più importante è la testa marmorea conservata nel Museo Nazionale di Napoli,
pubblicata dal Mustilli, rappresentante Io, fanciulla amata da Zeus. La testa,
in marmo bianco, era completata da stucco, secondo una tecnica alessandrina. E'
una copia romana della fine del I sec.d.C.
Nel Museo Archeologico di Chieti si conservano frammenti architettonici,
mensole, cornici, capitelli, biselli con cista, a testimonianza della grande
vitalità del municipio e della fruizione continua del sito fino al IV sec d.C.
Un contributo significativo alla ricostruzione della storia di Juvanum è
fornito dal materiale epigrafico.
Le iscrizioni collocabili cronologicamente tra il I e il II sec. d.C.,
propongono precisi ragguagli sull'organico completo delle cariche magistratuali
del municipio romano, che operano all'interno della sfera pubblica. Il municipio
era retto dai Quattuorvires, la carica supreme attestata, mentre l'apparato
amministrativo si serviva del contributo di Quaestores. Ci sono fornite
informazioni dettagliate anche sulle famiglie emergenti, i ceti sociali, le
organizzazioni associative.
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