AKUDUNNIAD
Cenni storici su
Lacedonia
Abitata fin dall’età neolitica (come testimoniano i resti di armi in rame e altri reperti), Lacedonia fu chiamata prima Akudunniad dagli Osci e poi Erdonea forse dal nome di un conquistatore. Dopo frequenti distruzioni, fu riedificata dai Romani, prese il nome di Aquilonia, venendo inclusa nella Tribù Galeria. Si chiamò, in seguito, Al Cidonia e Cedogna fino al 1800. Infine, prese l'attuale denominazione.
L’immagine più antica dello stemma di Lacedonia era l'Aquila; lo stemma della Cicogna apparve per la prima volta in un manoscritto del 212 a.C.
Le tracce più visibili della sua antichità ci portano nel 293 a.C. ad Aquilonia (oggi Lacedonia), dove, in località detta «Chiancarelle», fu combattuta la battaglia decisiva della terza guerra sannitica e la formidabile Legione linteata fu annientata dai Romani. Il Corso Aquilonese, sua strada importante, ne richiama l'antico nome.
Sotto Roma, era un importante Municipio, come attestano le lapidi trovate sul posto, stele, monete, ricordi funerari, un tempio alla dea Iside, sulle cui rovine fu costruita la chiesa di Santa Maria della Cancellata; la città aveva la piscina, le terme, l'anfiteatro, lavatoi, giardini pubblici, una fornace e, in località Capi dell’acqua, una mutatio (stazione destinata al cambio di carri e cavalli). La via principale del paese è chiamata Corso Augustale in memoria dell'imperatore Augusto.
Con l'avvento del Cristianesimo, Lacedonia fu possesso dei monaci benedettini, ai quali era stata donata dall'imperatore Giustiniano nel 5 I 7 d.C.
Passò sotto il dominio dei Longobardi, dei Conti di Conza, dei Normanni; fu feudo dei Balbano, casato spodestato da Carlo d'Angiò, re di Napoli. In seguito, passò agli Orsini, principi di Taranto e Gabriele Orsini ricostruì la città distrutta dal catastrofico terremoto del 5 dicembre 1456.
Il Patrono del paese è San Nicola di Bari (6 dicembre); il Compatrono è San Filippo Neri (26 maggio).
Fu teatro, nel 1486, della famosa Congiura dei Baroni.
Ipotesi identificativa con Aquilonia
Qualche
storico ritiene che nel Sannio ci siano state due Aquilonie, ma non vi sono
fonti storiche o epigrafiche di conferma. Gli studiosi più accreditati, a
giusta ragione, sostengono che vi era una sola Aquilonia, quella citata da Tito
Livio. Il teatro della battaglia del 293 è l'attuale Lacedonia in
Irpinia. A favore di questa tesi (Aquilonia = Lacedonia), vi sono vari
elementi utili:
1)
i passi di Dionisio di Alicarnasso e di Tito Livio, già citati [pp.12,
13,14,15 del libro];
2)
la Carta di Peutinger, che è una guida stradale di età romana;
3)
le monete Akudunniad attribuite a Lacedonia;
4)
un'epigrafe, custodita nel Seminario vescovile di Lacedonia ;
5) il
passo di Plinio il Vecchio: gli abitanti di Aquilonia ( gli Aquiloni)
erano stanziati nella II
regione augustea, che comprendeva Apulia, Calabria (= Salento) e Irpinia
6) le testimonianze archeologiche di età sannitica, notevoli nel centro abitato e nel territorio;
7)
la presenza di un municipium in epoca romana.
1)
Dionisio di Alicarnasso menziona la spedizione dei Sanniti contro i
Lucani, loro confinanti. Livio attesta che i Sanniti, fallite le trattative
di un'alleanza militare coi Lucani, avevano invaso il territorio lucano. Come
si può notare, le versioni dei due storici concordano. Il fiume Ofanto, come è
noto, segnava il confine tra l'Irpinia e la Lucania.
2)
Anche la Tabula di Peuntinger, una carta geografica di epoca romana
(circa 250 d. C.), segna sulla via Appia la stazione di Aquilonia (=Capo
dell'Acqua) tra Subromula (= Serroni di Bisaccia) e la mutatio Ponte
Aufidi o Pons Aufidi (= villa rustica di Bosco Siricciardi nell'agro
di Montevrede, AV). In questa guida
stradale, Aquilonia dista da Subromula XI miglia (=VI miglia,
rettificate) e da Ponte Aufidi VI miglia (= XI miglia, rettificate).
Da notare: in questa Tabula il copista,
evidentemente distratto, ha invertito e alterato le distanze.
3)
Nel 293, come abbiamo detto, ad Aquilonia era stata indetta la
mobilitazione generale: il che vuol dire che la nuova capitale del Sannio libero
era Aquilonia. La testimonianza è data dalle monete coniate forse in
4)
Il nome Akerunnia (= Cicogna madre) ricorre anche nelle famose Tavole
di Gubbio. Una epigrafe lacunosa (ha un angolo frantumato), trovata a
Lacedonia, in località Capo dell'Acqua, è custodita nel Museo Diocesano (foto
8). L'iscrizione si presta a letture diverse: 1 ."ECNE(R) ACRIV"; 2.
“ECN(AR) ACRIV..."; 3."EGNA(TIVS) AGRIV...".
La
prima lettura
testimonierebbe l'origine
osca dell'epigrafe:
ECNE. . .ACRIV = EC NE(R) AK(E)RIV = Ecco
il nume: la Cicogna.
Seconda
lettura: EC N(A)R AK(E)RIV = Ecco la sorgente Cicogna. Quale? Capi
dell'Acqua? Proprio qui, in età romana, sulla via Appia era la stazione di Aquilonia
(mutatio): ancora oggi vi è una grossa sorgente d'acqua.
Gellio
Egnazio era il condottiero sannita di cui abbiamo già parlato. Egli,
nel 296 a. C., era stato protagonista di un'azione in grande stile contro Roma:
nel corso della terza guerra sannitica, a capo di un esercito sannita, si era
recato in Etruria per coalizzare Etruschi, Galli Senoni e Umbri e per sferrare
insieme un attacco. Era proprio di Aquilonia quel grande condottiero, caduto
nella sanguinosa battaglia del Sentino
(=Sassoferraìo. AN) ?
Nella
guerra sociale, com'è noto, gli Irpini furono fra i popoli insorti contro Roma:
rivendicavano anch'essi la cittadinanza e il diritto di voto. L'epigrafe
potrebbe riferirsi a Mario Egnazio, protagonista e capo militare in quella
guerra. Mario Egnazio, generale sannita durante la guerra sociale (forse era il
capo dei rivoltosi irpini), unitosi ai Galli, sconfisse presso Camerino la
legione romana del propretore L. Cornelio Scipione Barbato. Mario Egnazio,
citato da Appiano , è incluso nella lista dei generali insorti nella guerra
sociale: egli, dopo aver sconfitto presso Teanum Sùlicinum il console L.
Giulio Cesare, prese per tradimento Venafro uccidendo due manipoli di soldati
romani. Ma nell'89 a. C. Gaio Cosconio, dopo aver devastato i territori di Larinum,
Asclum (Ausculum) e Venusia uccise il coraggioso condottiero sannita.
Era un irpino?
L'epigrafe
citata, probabilmente, risale alla guerra sociale (91-87 a.C.), quando Aquilonia,
inserita nel mondo romano, era già municipium. Il popolo di Aquilonia,
insorto contro Roma, però continuava a parlare la lingua madre, l'osco. La
lingua ufficiale era il latino. Il popolo, dopo tre secoli di dominazione di
Roma, non conosceva più l'alfabeto osco, caduto in disuso.
Perciò
(se è valida questa interpretazione) nell' iscrizione osca sono usati i
caratteri latini. In questo documento epigrafico, Aquilonia, in tal caso,
rivendicherebbe la propria identità etnica, la sua autonomia. Infatti, esalta
il suo nume: la Cicogna. Nel documento, perciò, è usata la lingua madre
(l'osco), contrapposta alla lingua straniera, la lingua latina, imposta da Roma.
5)
In età augustea, gli Aquiloni (= gli abitanti di Aquilonia), erano
stanziati nella II Regione augustea. Plinio il Vecchio elenca
gli abitanti (incolae) di questa regione in ordine alfabetico:
inoltre, nella seconda regione, nel territorio interno (intus )
degli Irpini, vi sono: la colonia di Benevento, che, in segno di migliore
auspicio, mutò il suo nome (un tempo si chiamava Malevento), gli Acculani (
Arianesi ed Eclanesi ), gli Aquiloni ( Lacedoniesi ), gli Abellinati (Avellinesi)
detti Protropi, i Compsani (i Conzani), i Caudini (Montesarchiari),
i Liguri Corneliani e Rebiani..."
La
seconda regione comprendeva "Apulia, Calabria "( Puglia e
Salento ) e l'Hirpinia: l'irpinia però allora era più vasta:
comprendeva una buona parte del Beneventano. La terza guerra sannitica finì nel
290 a. C.
Non
conosciamo le clausole esatte di quel trattato perché il testo originale di
Livio è andato perduto.
6)
Il centro abitato e tutto il territorio di Lacedonia è ricco di
testimonianze archeologiche riferibili ad età sannitica (IV-III secolo a. C.).
Durante i lavori di sterro destinati alle fondazioni della Scuola Media Statale
di via F. De Sanctis furono sconvolti e distrutti vari strati archeologici fitti
di cocciame a vernice nera (si trattava di una discarica d'età sannitica) e le
terme di età romana. Così Lacedonia ha distrutto la sua storia. In tutto il
territorio di Lacedonia vi sono tombe d'età sannitica e romane sconvolte
dall'aratura meccanica.
7)
Tutta l'Irpina, dopo la guerra di Pirro, cadde definitivamente in potere
di Roma. Come risulta dalle epigrafi rinvenute nel suo territorio, Aquilonia
divenne municipium. In genere ( ne abbiamo fatto cenno anche altrove) il
municipio era una città annessa, preesistente al dominio di Roma: era governata
dai propri cittadini che però non godevano diritti politici.
Potevano
conservare una certa autonomia amministrativa, le proprie istituzioni, la
propria lingua. Avevano però precisi doveri (munera):
Di
qui deriva la distinzione fra municipium cum suffragio et sine suffragio (municipio
avente diritto di voto e senza diritto di voto). La
progressiva romanizzazione portò in tutto l'Impero all'unificazione
delle istituzioni municipali che furono modellate su quelle di Roma.
Nel
municipium, in genere, tre erano gli organi municipali : I) l'assemblea
del popolo (comitia) 2) il senato (curia, ordo decurionum); 3) i
magistrati (aediles, quaestores,
duumviri).Tutte queste
istituzioni municipali sono attestate nelle epigrafi di Lacedonia. Dal
III sec. a. C. i municipi benemeriti ottennero man mano la cittadinanza piena
con estensione sia collettiva sia individuale.
Dopo
il 90 a. C., le città italiche, e tra queste Aquilonia (Lacedonia),
ottennero la cittadinanza romana e divennero municipi retti da quadrumviri :
due di questi si occupavano dell'amministrazione (aedilicia potestate) e
due delle questioni giudiziarie(iure dicundo). Nel 44 a. C., in Italia
tutti i municipi avevano già ottenuto la cittadinanza completa.
Intanto,
per poter
ristabilire la
verità storica,
riteniamo indispensabile avviare nella valle del Calaggio una sistematica
indagine archeologica diretta a individuare il luogo esatto della battaglia. La
ricerca va finalizzata anche alla ricostruzione delle fasi della famosa
battaglia e alla dinamica della strage.
Nei
posti, dove sono avvenute battaglie famose, le tracce non scompaiono come la
neve esposta al sole. Negli antichi campi di battaglia, l'aratura meccanica,
anche dopo tanti secoli, fa affiorare reperti che non sfuggono agli occhi di un
esperto archeologo, di un osservatore attento o anche di chi è cultore di
archeologia.
Anche
dopo secoli, un campo di battaglia può restituire testimonianze e oggetti di
epoca sannitica e romana, riferibili all'attività militare: reperti ossei
(resti scheletrici umani, frammenti di calotta cranica, mandibole con denti,
ossa prive di connessione anatomica), catene di carri da rifornimento, frammenti
di oggetti metallici appartenenti al mondo militare (armi da lancio in
frammenti, resti di armature, di cinturoni, pezzi informi di metallo, proiettili
di piombo (glandes plumbeae), pezzi di elmo, frammenti di corazze,
sostegni di pennacchi.
I caduti nella battaglia di Aquilonia furono combusti oppure seppelliti in fosse comuni, ricavate in concavità naturali ? I reperti ossei, gli informi oggetti metallici, portati alla luce dall'aratura meccanica nella valle del Calaggio, appartengono al mondo militare, oppure si riferiscono a necropoli di epoche diverse? Nella pianura che declina verso la riva sinistra del fiume Calaggio, specie nella località detta Serro dello Zimmaro, l'aratura meccanica porta sistematicamente alla luce resti ossei e reperti metallici. Tutta la valle del Calaggio è una zona archeologica di primaria importanza: va sistematicamente indagata per ristabilire definitivamente la verità storica.
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