PITHECUSA
Nell'antichità
l'isola d'Ischia venne indicata con nomi in relazione alla sua natura vulcanica.
I Greci dell'Eubea la chiamarono Pithecusa secondo alcuni isola delle
scimmie (i malefici Cercopi, mitici abitatori delle terre vulcaniche),
secondo altri dei vasi per l'industria dei vasi di creta o per il culto
ad Apollo Pizio. L'attuale denominazione deriva da una corruzione di Ischra che
nelle lingue semitiche significa isola nera.
La storia naturale dell'isola è una storia di terremoti e di eruzioni. L'isola
è la parte emersa di un campo vulcanico formato dal monte Epomeo e da numerosi
altri centri eruttivi non sempre riconoscibili in quanto distrutti o ricoperti
da successive eruzioni. Il monte Epomeo è costituito dai prodotti di diversi
apparati vulcanici. I prodotti più antichi sono di età superiore a 130.000
anni. Tra i 130.000 e i 100.000 anni fa si formò un vasto apparato vulcanico
che copriva un'area più estesa dell'attuale isola. Seguì un periodo di
quiescenza che durò alcune decine di migliaia di anni. Circa 55.000 anni fa
l'attività riprese con una spaventosa eruzione dalla quale fu originato uno
strato di tufo verde, presente in gran parte dell'isola. A questo periodo seguì
un nuovo periodo di quiescenza, al quale subentrò, tra i 40.000 e i 33.000 anni
fa, una nuova fase eruttiva. In questo periodo lungo la costa tirrenica si
verificò la più grossa eruzione esplosiva mai registrata nell'area. L'evento
ebbe il suo epicentro nei Campi Flegrei. Seguì ancora una fase di riposo che si
protrasse fino a circa 28.000 anni fa. A quest'epoca iniziò un nuovo ciclo che
durò fino a 15.000 anni fa. In questo intervallo di tempo l'attività eruttiva
si concentrò nella parte sudoccidentale dell'isola e nel settore sudorientale,
dove i fenomeni vulcanici furono molto più vistosi. Infine la parte centrale
dell'isola si mise in movimento: lo strato di tufo verde e le rocce sovrastanti
si sollevarono a causa della risalita di una massa magmatica fusa, che si arrestò
ad alcuni chilometri di profondità. La risalita del magma impresse una forte
spinta a un consistente blocco di tufo verde che si sollevò come un pistone:
nacque così il monte Epomeo. Durante il sollevamento si crearono numerose
fratture ad andamento nord-sud ed est-ovest che racchiusero il monte in un
quadrato col lato di circa 4.000 metri. Lungo queste fratture si manifestarono
sia fenomeni vulcanici che sismici: in particolare, lungo la fascia di frattura
ad est dell'Epomeo si sviluppò un'intensa attività eruttiva che iniziò circa
10.000 anni fa e continuò fino ai tempi storici.
Durante la preistoria ed in particolare nel neolitico (4° e 2° millennio
avanti Cristo) ci sono stati i primi insediamenti umani, dei quali sono stati
trovati frammenti di vasi di macine da frumento eccetera. I primi visitatori
d'Ischia furono i Fenici prima ancora dei Greci che scoprirono le coste di
Pitecusa (Ischia). In Pitecusa piantarono la prima colonia, perché l'isola era
la più vasta incontrata nel mar Tirreno ed era adatta alla navigazione ed al
commercio a causa della sua posizione e delle sue spiagge.
Gli antichi scrittori greci Esiodo, Pindaro e Strabone fanno risalire la
presenza umana ad Ischia fin dall'Età del Bronzo: ai piedi della collina del
Castiglione, a Casamicciola, sono stati rinvenuti infatti i resti di un
villaggio di palafitticoli, inoltre frammenti di ceramica di età micenea,
databili tra il XV e il XIV secolo a. C. Nella prima metà dell'VIII secolo a.C.
coloni euboici, calcidesi ed Eretriesi approdarono nel luogo, l'attuale Lacco
Ameno, dove sorse Pithecusa, prima colonia greca dell'Italia meridionale
ed estremo limite occidentale dell'espansione greca: circondata dal mare su tre
lati e quindi ben protetta, alla base del promontorio di Vico due rade di
approdo rendevano agevoli le attività marinare e commerciali della nuova
colonia, il promontorio di monte Vico ne costituì l'acropoli, le insenature di
San Montano e di Sotto Varule ospitarono il porto commerciale e quello militare,
mentre la valle di San Montano fu la necropoli. Pithecusa fu costituita
prevalentemente da artigiani, commercianti, mediatori d'affari e contadini ed
ebbe un'importanza notevole: resti di mura elleniche, blocchi basamentali di un
tempio, elementi di abitazioni private, fornaci, ceramiche, cocci e metalli
lavorati sono testimonianza della ricchezza e della varietà delle attività
commerciali e manifatturiere inoltre la diversa provenienza dei reperti
appartenenti a varie culture (greca, egiziana, siriaca, etrusca) conferma il
ruolo commerciale di Pithecusa, per il cui tramite le popolazioni della
Campania assimilarono molti elementi della cultura greca, dall'alfabeto all'arte
del tornio, alla coltivazione della vite e dell'olivo. I Greci introdussero la
lavorazione della creta che alimentò un fiorente commercio con le altre
popolazioni costiere del Mediterraneo. La materia prima per la primitiva
industria della terracotta era fornita dal vicino monte Epomeo, ricco di
argilla. Vasi, tegole e vasellame sono venuti alla luce in zone collinari.
Intorno all'VIII-VII secolo a.C. risale l'insediamento greco a Sant'Angelo,
quando i coloni greci si stanziarono nell'attuale Cava Grado che offriva un
facile approdo, una preziosa sorgente di acqua termale e un fertile terreno
agricolo particolarmente adatto alle colture fondamentali della vite e del
grano. Intorno al VI secolo questo villaggio scomparve per cause naturali, forse
per una caduta di materiali alluvionali. Intorno al VII-VI sec. a.C. risale
l'insediamento di Calcidesi di Eretria a Casamicciola. La fondazione di Cuma
sulla costa campana frenò lo sviluppo di Pithecusa che continuò
tuttavia a svolgere un ruolo di rilievo grazie alla fioritura di un ricco
artigianato che lavorava terrecotte e metalli ed eccelleva nella produzione di
monili. Tuttavia dopo un lungo periodo di sconvolgimenti tellurici come
l'eruzione del Montagnone alla fine del VI sec. a.C., i Calcidesi e gli
Eretriesi lasciarono la zona e furono costretti a fuggire sulla costa campana.
Quando nel 474 a.C. Gerone di Siracusa, chiamato in aiuto dai Cumani, vinse in
battaglia navale gli Etruschi, occupò Ischia e le isole vicine, lasciandovi un
presidio militare e facendo costruire sull'isolotto davanti all'attuale città
di Ischia un castello. A questo periodo risale anche l'insediamento greco nella
zona di Forio: furono i siracusani infatti che vi eressero un tempio dedicato a
Venere Citerea, la cui memoria sopravvive nella denominazione della spiaggia di
Citara. Il presidio siracusano fu messo in fuga dall'eruzione del 470 a.C. Il
tramonto di Pithecusa fu determinato da cause diverse, tra cui le
violente eruzioni dell'Epomeo e lo sviluppo della colonia greca di Neapolis:
l'isola fu infatti occupata dai Napoletani.
Quando tra il 450 ed il 420 a.C. la Campania viene occupata dai Sanniti intorno
al 420 a.C. anche Cuma viene conquistata e diviene una città osca. Soltanto
Neapolis si salva dagli invasori e occupa Pithecusae che rimane per altri tre
secoli greca.
Nel 322 a.C. Ischia fu conquistata dai Romani, attratti dalla bontà del clima e
dalle acque termali. In epoca romana s'impose il nome di Aenaria, dai
floridi vigneti o dalla voce ionica ainós, cioè terrificante.
Nell'87 vi riparò per breve tempo Mario e all'epoca di Cesare, i siciliani,
vantando diritti di discendenza dai siracusani, vi si sarebbero ristabiliti. Nel
6 d.C. Augusto la restituì a Napoli in cambio di Capri e Ischia divenne luogo
di villeggiatura dei Romani: sull'area della scomparsa Pithecusa sorse un
insediamento residenziale che ebbe il nome di Heraclion; altre ville
s'affacciavano a mezza costa su monte Vico; altre testimonianze sono venute alla
luce a Mezzavia e a Capitello. Tra il II e il III secolo d. C. i romani si
stanziarono in località Fundera e sulla collina della Gran Sentinella dove ci
sono ritrovamenti archeologici, tra cui anche i resti di una villa. I Romani
posero le terme di Casamicciola sotto l'alta protezione di Apollo e quelle di
Lacco Ameno erano vegliate da Ercole mentre le fonti di Buonopane vennero invece
affidate alle ninfe Nitrodi e quelle di Citara addirittura a Venere.
dall’epoca di Augusto fino a quella di Diocleziano, l’isola è stata
flagellata da numerose eruzioni vulcaniche, oltre che da frane, colate fangose e
terremoti.
La fine del IV secolo è caratterizzato dalla decadenza dell’Impero romano e
dalle continue invasioni barbariche; in quella di Alarico, re dei Visigoti,
anche Ischia subisce le devastazioni di quella invasione.
Anche per i primi secoli del Cristianesimo a Lacco restano tracce di un
persistente e vitale insediamento. Gli scavi hanno messo in luce i resti
di una piccola Basilica paleocristiana risalente al III-IV secolo edificata
utilizzando elementi strutturali di un preesistente tempio pagano; lavori di
scavo hanno individuato, nell'area circostante, una Necropoli cristiana
nettamente distinta da quella pagana che consente di spostare all'indietro
l'epoca della penetrazione della fede cristiana nell'isola e di precisare il
sito della prima traslazione delle reliquie di Santa
Restituta da Cartagine a
Lacco. La leggenda della santa africana vittima delle persecuzioni vandaliche
del IV secolo avvalora l'esistenza di una comunità cristiana già presente sul
posto dove approdò miracolosamente la barca con il corpo della santa, patrona
dell'isola, e dove furono sepolte le reliquie. Queste sono state poi traslate a
Napoli agli inizi del IX secolo. Lo stesso abitato di Lacco, troppo esposto agli
attacchi, si spostò sulle alture circostanti di Mezzavia, Cementara, Casa Monte
e monte Vico.
Con la caduta dell'Impero romano, Ischia subì poi invasioni barbariche e il
dominio degli Eruli, degli Ostrogoti e dei Greci e nel 588 l'imperatore
bizantino Maurizio la pose sotto il dominio diretto di Napoli mentre dal 661 fu
governata di un conte dipendente dal duca di Napoli.
Nell’ 813 alle incursioni barbariche si sostituiscono quelle dei Saraceni che
si protraggono per oltre trent’anni, fino a quando una piccola flotta di
Sorrentini libera Ischia assalendo le navi corsare dei Saraceni che avevano
cercato rifugio nell’isola da loro stessi devastata.
Nell'alto Medioevo non ci furono eventi particolari nell'isola, se si escludono
le incursioni saracene dell'813 e 847 che devastarono l'abitato e depredarono più
volte gli isolani. La posizione stessa rendeva questa zona esposta alle
invasioni e ciò spinse la popolazione, nel corso dei secoli, da un lato ad
erigere torri di difesa, dall'altro a spingersi all'interno verso zone più
elevate per cui il tessuto insediativo di tutta l'isola subì profonde
lacerazioni, improntandosi all'emergenza e alla provvisorietà.
Fino al XIII secolo la popolazione isolana gravitava attorno alla Fortezza
d'Ischia, l'attuale Castello aragonese che offriva un rifugio più sicuro contro
gli attacchi dei Normanni, degli Svevi, degli Angioini e contro le incursioni
piratesche anche se piccoli centri abitati erano sparsi un po' per tutta
l'isola. Nel 1004 l'isola fu occupata da Enrico II detto lo Zoppo o il Santo ed
il quel secolo a Casmicciola si formarono due nuclei abitativi nelle località
allora chiamate Cala e Sala e fu eretta una chiesetta dedicata a San Severino,
mentre verso il promontorio di San Pietro, sui resti di un antico abitato, si
insediò un convento di monaci basiliani. Nel 1130 Ischia passò sotto Ruggero
II Normanno e nel 1135 e nel 1137 fu depredata dai Pisani poi passò sotto il
dominio svevo e dal 1266 sotto quello angioino.
Nel 1228 una terribile scossa di terremoto sconvolse l'isola
Una serie di terremoti sconvolse l'isola tra il 1225 e il 1275, tanto da indurre
gli Angioini a ridurre i balzelli sui prodotti locali. La benevolenza del
sovrano non impedì ad Ischia di ribellarsi nel 1282, anno dei Vespri Siciliani,
a Carlo I riconoscendo Pietro d'Aragona: riconquistata dagli Angioini l'anno
dopo, nel 1284 fu riconquistata da Ruggero di Lauria, ammiraglio della flotta
aragonese e, solo il 4 luglio 1299, dopo una vittoria sull'armata siciliana
Carlo II d'Angiò riuscì a riconquistarla definitivamente. Fra i casali
dell'isola già nel 1270 si ricordano Fontana e Serrara, due villaggi in origine
abitati da pastori ed agricoltori insieme al casale di Noja. Il 18 gennaio del
1301 un terribile cataclisma sconvolse la vita degli abitanti dell'isola: sulle
pendici del monte Trippodi si aprì un profondo cratere, l'Arso, dal quale
fuoriuscì un'enorme colata lavica. Il fiume incandescente, dopo aver travolto
la cittadina di Geronda, proseguì la sua corsa verso il mare dove formò la
cosiddetta Punta Molino. La lingua di lava, larga 750 metri e lunga 2
chilometri, appare oggi ricoperta da una rigogliosa pineta impiantata dal
botanico di corte Giovanni Gussone tra il 1853 e il 1855. L'eruzione durò per
mesi, decretò l'abbandono dell'isola costrinse le popolazioni trovarono rifugio
a Baia e a Capri e tornarono nella loro terra solo quattro anni dopo
raccogliendosi nell'isolotto del Castello.
Nel 1305 i superstiti che si erano rifugiati per due anni a Procida e sulla
costa napoletana rientrano ad Ischia al cui governo è designato Cesare Sterlich,
ex ambasciatore di Carlo II presso la corte pontificia, il quale con energia ed
umanità opera la ricostruzione.
Nel 1320 Roberto d'Angiò con la moglie Sancia visitò Ischia e fu ospitato nel
castello da Cesare Sterlich, governatore dell'isola dal 1306 e allora quasi
centenario. nel Trecento Giovanni da Casamicciola, medico di Carlo d'Angiò,
studiò per la prima volta le virtù terapeutiche delle acque termominerali
anche se esse erano conosciute fin dal periodo della colonizzazione greca e
rinomate in epoca romana.
Dall'epoca angioina fino a tutto il Cinquecento il centro economico e sociale
dell'isola restò il Castello di Ischia mentre i nuclei abitati contigui
rimasero in secondo piano: la zona fu nuovamente e densamente abitata,
soprattutto per le garanzie di sicurezza che la posizione geografica offriva.
Insieme alle abitazioni vennero così trasferiti dalla "terra plana"
all'isolotto, il cosiddetto "Gerone", la Cattedrale, sorta sull'isola
già nel 1239 secondo la bolla pontificia del 1243, e la sede vescovile.
La vita dell'isola soffrì molto gli andamenti tumultuosi della storia del Regno
napoletano e fu molto dura nel periodo delle lotte angioine-durazzesche: nel
1382 fu presa da Carlo di Durazzo, nel 1385 da Luigi II d'Angiò, nel 1386 da
Ladislao di Durazzo, nel 1410 fu saccheggiata dalla flotta dell'antipapa
Giovanni XXIII (1410-15), comandata dal fratello Gaspare Cossa, nel 1411 fu
presa di nuovo da Ladislao, nel 1422 Giovanna II donò l'isola al figlio
adottivo Alfonso d'Aragona, ma, quando questi cadde in disgrazia, se la riprese
con l'aiuto dei Genovesi (1424); nel 1438 Alfonso I fu l'artefice di un
incredibile episodio. Cacciò tutti gli abitanti maschi e introdusse una colonia
di catalani che presero in moglie le vedove e le figlie degli espulsi, inoltre
fece aprire un più comodo accesso al Castello mediante un ponte che l'unì
all'isola e scavare nella roccia una galleria, tuttora esistenti.
Nel 1442 Alfonso donò il castello e l'isola alla sua favorita Lucrezia d'Alagno
la quale ne affidò il governo a suo cognato Giovanni Torella, ma questi alla
morte di Alfonso (1458), alzò la bandiera angioina, Ferrante I ordinò ad
Alessandro Sforza di cacciare dal castello il Torella e donò nel 1462 l'isola a
Garceraldo Requesens e, nel 1464, dopo un breve trionfo del Torella, a Marino
Caracciolo.
Nel febbraio 1495, alla venuta di Carlo VIII, Ferrante II sbarcò nell'isola e
s'impossessò del castello, uccise di sua mano il castellano sleale Giusto di
Candida, lasciandovi a guardia Innico D'Avalos, marchese di Pescara e del Vasto
che resistette valorosamente agli attacchi della flotta francese ed ebbe il
dominio dell'isola. Con lui c'era la sorella Costanza, donna di virile
ardimento. Incominciò così ad Ischia la signoria dei D'Avalos.
Le incursioni piratesche furono molto frequenti, tanto che, nel 1433, Alfonso
d'Aragona fece rafforzare le strutture fortificate del Castello e proteggere le
zone più esposte dell'isola: la sola Forio contava ben nove torri e, secondo la
tradizione, il Torrione di Forio fu realizzato nel 1480 dall'Università e
utilizzato anche come luogo per la raccolta delle munizioni mentre le altre
torri furono realizzate da privati come rifugio e per custodire i prodotti
agricoli.
L'epoca aragonese fu caratterizzata dalla concessione di privilegi volti a
sottolineare la condizione di "terra libera" dell'isola d'Ischia.
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