MAGNO CLEMENTE MASSIMO
Nel 383 un pretendente al trono sorge in Britannia: Magno Clemente Massimo;
questi riesce a trarre dalla sua parte i presidi romani dell' isola e si
proclama imperatore, poi opera un audace sbarco in Gallia, sconfigge in qualche
combattimento le truppe di Graziano e si rende padrone di buona parte della
provincia.
Graziano, che non gode troppa popolarità fra i soldati, è abbandonato dai
suoi, che passano al nemico; Graziano allora corre nella Gallia meridionale,
dove spera di poter entrare in Italia per raccogliere un esercito da
contrapporre al rivale. Ma a Lugdunum il magister equitum Andragazio,
dopo averlo ascoltato e invitato ad un banchetto, lo fa trucidare (25 agosto del
383).
Massimo diventa così padrone della Gallia, della Britannia e della Spagna. Suo
desiderio era senza dubbio, di spodestare anche Valentiniano II, ma non osò,
sapendolo ben visto dalle truppe e ben difeso dal generale Bautone. Tentò di
farlo cadere in una insidia, inviandolo con la madre Giustina a Treveri col
pretesto di trattar la pace, ma non vi riuscì.
Teodosio avrebbe voluto portare soccorso a Graziano, ma la fine di costui fu così
improvvisa che l'imperatore dall'Oriente non ebbe il tempo di muoversi e,
siccome temeva una invasione dei Persiani, stabili di non vendicare subito la
morte del collega; anzi con una mossa tattica, riconobbe Massimo come imperatore
delle province usurpate.
A Valentiniano II rimasero l'Italia, l'Africa e le province del Danubio.
Teodosio nel 382 aveva creato angusto Arcadio, il maggiore dei suo figli
che allora contava sei anni; Massimo in Gallia lo imitò conferendo la dignità
augustale al proprio figlioletto Vittore.
La lotta con i pagani
Della morte di Graziano, che era il protettore del Cattolicesimo in Occidente cercarono di trarre profitto i pagani e gli ariani. Roma rimaneva la città del paganesimo e il Senato, in gran parte pagano, era il paladino più forte della religione degli avi.
Pagano ardente era il prefetto del pretorio Vettio Agono Pretestato il quale ruscì a strappare a Valentiniano un editto che lo incaricava di ricercare gli ornamenti di cui erano stati spogliati gli edifici pubblici. Era un tentativo molto abile di far tornare i templi in possesso dei loro oggetti preziosi. Pagano non meno ardente era Aurelio Simmaco prefetto della città, che qualche anno prima era stato mandato a Graziano con una deputazione di senatori per far revocare il decreto che ordinava la rimozione dalla Curia dell'altare della Vittoria. Ma i vescovi Ambrogio e Damaso avevano vivamente protestato e Simmaco non era stato neppure ricevuto. Ora Simmaco per desiderio del Senato, tornò alla carica e ai tre Augusti Teodosio, Valentiniano II ed Arcadio inviò una dotta relazione, in cui, facendo l'apologia del paganesimo, invocava fra l'altro che venisse rimesso nella Curia l'altare. Era l'ultima voce del paganesimo agonizzante contro la quale tuonò Ambrogio, ma quella voce non ebbe eco nel cuore degli Augusti.
Gli Ariani
Anche gli Ariani d'Italia e specialmente quelli di Milano, protetti da Giustina
(madre di Valentiniano) che professava la loro confessione, tentarono la riscossa, chiedendo che per
l'esercizio del loro culto si desse loro la basilica Porzia (S.Vittore ad
Corpus) fuori le mura. Ambrogio oppose un rifiuto. Giustina allora chiese
per gli ariani una basilica dentro la città e a un nuovo e più energico
rifiuto del vescovo, citò il prelato davanti al consiglio imperiale e poi fece
occupare con la forza la basilica. Ma il popolo protestò tumultuando, la
Corte, per evitare una rivoluzione, cedette (Pasqua del 385) e Valentiniano
dovette recarsi dal vescovo per ottenere la conciliazione. Ma l'anno seguente
l'imperatore pubblicò un editto (25 gennaio 386) col quale concedeva agli
Ariani l'esercizio del loro culto. Tornava in campo la richiesta della cessione
della basilica; ma anche questa volta Ambrogio si rifiutò di darla e il popolo
vi rimase in armi per più giorni e più notti deciso ad opporsi con la forza ad
un possibile intervento delle milizie. Ambrogio, minacciato d'esilio, ebbe
l'ordine di recarsi alla corte per sostenere un contradittorio con il vescovo
ariano; ma lui non andò e rispose che non riconosceva, in materia religiosa,
altra autorità che quella dei concili.
Mentre Valentiniano, spinto dalla madre, lottava per rialzare le sorti
dell'Arianesimo, Magno Clemente Massimo faceva una politica apertamente
cattolica. Egli sperava di ingraziarsi i cattolici d'Italia e sbalzare dal trono
Valentiniano. Scrisse difatti a Siricio, nuovo vescovo di Roma, professandosi
difensore del Cattolicesimo e protestò contro il collega di Milano per la
politica contraria ai Cattolici, poi alla testa d'un esercito passò le Alpi.
Valentiniano, impreparato ad una guerra, fuggì con la madre e la sorella a
Tessalonica (ottobre del 387) per chiedere aiuto a Teodosio. Non poteva questi
tollerare che Massimo, dopo avere usurpato il trono di Graziano, usurpasse anche
quello di Valentiniano. D'altro canto difendere i diritti di Valentiniano
significava schierarsi in favore di un principe ariano contro un imperatore
cattolico.
Guerra con
Teodosio
Morta Giustina, Valentiniano - libero dal plagio materno- si
convertì al Cattolicesimo. Teodosio, rimasto vedovo, sposò nello stesso tempo
la sorella e la causa di Valentiniano II e, mandato il cognato a Roma, con un
forte esercito si pose in marcia verso l'Italia.
Magno Clemente Massimo si scontrò con Teodosio a Sciscia (Sisech), nella valle
della Sava, e fu sconfitto; altra sconfitta subì a Petovio (Petau) nella
Pannonia e si ritirò in Emona (Lubiana); ma disperando di potervi resistere per
le numerose diserzioni dei suoi, con le poche truppe rimastegli si diresse verso
Aquileia. La forte città, che aveva eroicamente aveva resistito a Massimino,
non fu certo il rifugio più sicuro per Massimo: nel luglio del 388 le milizie
vittoriose di Teodosio entrarono ad Aquileia, e l'usurpatore, caduto in mano del
nemico, fu messo a morte.
Rimaneva il figlio Vittore che si trovava in Gallia, ma questi non sopravvisse
lungamente al padre: gli diede la caccia, fu catturato e ucciso dal generale
franco Abrogaste, che Teodosio mandò in quella provincia per governarla in nome
di Valentiniano II.
Valentiniano ebbe così nuovamente tutto l'Occidente; ma non contava neppure
diciannove anni e di fatto, se non di nome, era Teodosio ormai padrone di tutto
l'impero.
Il successo della Chiesa Cattolica
Con la morte di Massimo e la conversione di Valentiniano, l'Arianesimo
d'Occidente riceveva un gravissimo colpo e il Cattolicesimo diventava
potentissimo.
Diventava così potente da far dire ad Ambrogio vescovo di Milano:
Imperator
enim intra Ecclesiam non supra Ecclesiam est. L'imperatore è dentro nella
Chiesa non sopra la Chiesa.
La Chiesa cominciava a ingerirsi negli affari dell'impero e per mezzo dei propri
gerarchi cercava d'imporre al principe la propria volontà. Della potenza della
Chiesa cattolica e del principio proclamato da Ambrogio che essa non era al di
sotto dell' imperatore ebbe a fare esperimento Teodosio stesso. A Callinicum,
città dell' Eufrate, il vescovo aveva fatto distruggere una sinagoga.
Poiché il culto ebraico era permesso, Teodosio ordinò che il vescovo
ricostruisse a sue spese la sinagoga e gli autori della distruzione fossero
puniti. A prender le difese del Vescovo di Callinicum insorse Ambrogio che,
scrivendo all' imperatore, così si esprimeva:
Io ti scrivo perché tu mi ascolti nella reggia ed io non sia costretto forse a farmi ascoltare nella Chiesa.
Teodosio non si lasciò intimidire dal linguaggio dell'audace prelato, ma, quando questi sospese per lui le funzioni religiose, cedette.
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