ARBOGASTE, EUGENIO E MORTE DI TEODOSIO
Mentre l'imperatore si sottomette alla Chiesa e il Cattolicesimo trionfa, il
Paganesimo tenta per l'ultima volta di muovere alla riscossa.
Primi ad iniziarla sono i pagani dell' Egitto. Un tempio di Bacco, con i nuovi
provvedimenti emanati da Teodosio, è stato trasformato in una chiesa cristiana.
È la prima scintilla di un incendio: i seguaci, ancora numerosi, dei vecchi dèi
insorgono e si asserragliano dentro il tempio di
Serapide. Al moto di rivolta
succede la rappresaglia imperiale; i templi pagani dell'Egitto vengono rasi al
suolo e sulle rovine di quello di Serapide viene eretta una chiesa. Né questo
è tutto: l'elemento cristiano scende in campo a render più grave la
rappresaglia del principe e dà origine a tumulti violentissimi. I pagani
reagiscono, le vie di Alessandria si trasformano in un campo di battaglia e il
sangue scorre.
Il paganesimo ha però contro di sé l'imperatore è perciò la lotta è impari.
Ma un avvenimento improvviso gli procura un alleato validissimo. Il 15 maggio
del 392 l'imperatore Valentiniano II viene trovato impiccato ad un albero del
suo giardino di Vienna.. Si crede a un suicidio e non si tratta invece che di un
delitto.
Autore è il generale Arbogaste, uomo autoritario e violento,
che, avuto il governo della Gallia, ha saputo respingere una invasione di
Franchi e, cresciuto la sua ambizione. Forte del prestigio che gode tra i
soldati, venuto in aspro dissidio con l'imperatore, ha dapprima strappato l'ordine col quale Valentiniano gli dava congedo, poi ha fatto sopprimere
l'infelice principe. Compiuto il misfatto, Arbogaste non prende la porpora ma
offre l'impero ad un suo seguace, Eugenio, che viene riconosciuto nella
Spagna, nella Gallia, nella Britannia e, poiché è cristiano, non trova
opposizioni in Italia. Ma il vero imperatore è Arbogaste, pagano, il quale, sia
per rialzare le sorti della religione che professa, sia per trovare tra i pagani
un appoggio nella lotta che inevitabilmente scatenerà a Teodosio, tenta di
guadagnarsi l'animo dei suoi correligionari. Dietro suo consiglio Eugenio
concede ai pagani libertà di culto, ridà ai templi le rendite confiscate e fa
ricollocare nella Curia l'altare e la statua della Vittoria. In Roma si
sospendono per tre mesi tutti i pubblici affari per purificare la città,
tornano ad essere celebrate con solennità le feste pagane e si cerca con la
persuasione e con le minacce di far tornare i Cristiani al Paganesimo.
È così minaccioso l'atteggiamento dei pagani d'Italia e di Arbogaste che il
battagliero Ambrogio, appena sa che Eugenio si prepara a passare le Alpi,
abbandona Milano e si reca a Firenze.
Ma il Paganesimo ed Arbogaste hanno un nemico che non può rassegnarsi a vedere
il rifiorire della religione degli antichi dèi e non può tollerare la
prepotenza del generale franco. Questo nemico è Teodosio, il quale dopo lunghi
preparativi, raccolto un fortissimo esercito in cui sono numerosi Goti, Alani,
Unni, Iberi e Saraceni, si affianca due famosi generali di stirpe barbara., Stilicone
a Alarico, e nella primavera del 394, innalzato alla dignità di Augusto
il figlio minore Onorio, si mette in marcia verso l'Italia.
La linea delle Alpi è debolmente difesa da Flaviano, e viene facilmente passata
dalle milizie di Teodosio. Queste si scontrano con l'esercito di Eugenio, comandato da Arbogaste, il 5 settembre del 394 nella
valle del Frigidus (Vippacco). La giornata, iniziata con uno scontro
sanguinosissimo, e termina con il vantaggio di Eugenio; numerosi Goti giacciono
sul campo, ma l'esercito di Teodosio è ancora in grado di affrontare il nemico.
Durante la notte il passaggio di alcuni corpi di milizie, corrotti dal denaro,
dal campo di Arbogaste a quello di Teodosio annulla i successi del primo. La
battaglia è ripresa il giorno dopo; un vento gelido e furioso (bora) tormenta
le schiere di Eugenio che sono costrette a volgere il viso verso la bufera e
che, indebolite dalla diserzione della notte, vengono sbaragliate.
Eugenio viene catturato e messo a morte; Arbogaste riesce a prender la
fuga, ma due giorni dopo, disperando di fuggire alla spietata caccia che gli
danno i nemici, si uccide.
Sul Vippacco il Paganesimo riceve il colpo di grazia. Esso sarà ancora
professato, ma la sua importanza è finita per sempre e la sua magra vita non
avrà più alcun influsso sulla società.
Il Paganesimo muore, ma non muore solo: Teodosio era affetto già di idropisia,
ma a Vippacco, nell'accalorarsi per gli eventi che si svolgevano davanti ai suoi
occhi, il vento gelido della bora lo avvolse nelle sue spire e quando lo
abbandonò gli lasciò addosso una broncopolmonite.
Per curarsi meglio fu portato a Milano, ma qui il 17 gennaio del 395 Teodosio
muore e con lui scompare l'ultimo degli imperatori cui sia stato concesso
di vedere ancora, prima di chiudere gli occhi, intatti i confini del grande
impero dopo l'unità che era riuscita nuovamente a creare.
Ma con lui la storia dell'impero si chiude. L'unità finisce. Inizia il
periodo tragico dell'agonia, durata ottant'anni e a tratti illuminata da
bagliori eroici, alla quale seguirà la catastrofe.
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