LA CITTA'
IL RISVEGLIO DOPO DICIANNOVE SECOLI
Il Vesuvio rimarrà desto per secoli e secoli sino ai giorni nostri; le altre città saranno ricostruite più o meno nello stesso posto, ma Pompei non risorge più quasi per duemila anni. La gente teme il terribile sortilegio incombente sul luogo. Sciacalli e cercatori di tesori trafugano per quanto possibile i resti ancora affioranti, poi Pompei viene dimenticata e se ne perde ogni traccia. Mille-seicento anni passano prima che se ne incontrino le prima vestigia e altri centocinquanta anni perché si abbia la sensazione della scoperta della città. Iniziano così gli scavi sotto i Borboni, ma solo per depredare la città delle opere più interessanti, opere che ben presto formano il grande Museo Nazionale di Napoli. Ai primi dell’Ottocento, scavi ancora affrettati mettono in luce il Foro riducendolo a poco più di un cumulo di rovine. L’eccezionale stato di conservazione viene in parte recuperato con Giuseppe Fiorelli nel 1860. Questi dà inizio a scavi sistematici e accorti ed è il primo a rilevare le impronte colando il gesso nello spazio lasciato dalle sostanze organiche dissoltesi nel lapillo compatto; con questo sistema riprendono forma i corpi degli uomini e degli animali, di piante, di oggetti polverizzatisi millenovecento anni fa. Nei decenni che seguono, l’opera di restauro e di ripristino raggiunge livelli eccezionali e sin dal 1909, con Vittorio Spinazzola, gli edifici sono ripristinati dal tetto alle fondamenta ed ogni cosa, salvatasi per tanti secoli sotto il lapillo, ritorna alla luce. Questo tipo di scavo sempre più perfetto prosegue nella città ancora non scoperta (circa il 25%) e così Pompei, in questi ultimi anni, sembra risorgere miracolosamente, quasi si ridestasse dopo un sonno di diciannove secoli, dove ai vecchi abitanti operosi e appassionati ci siamo sostituiti noi frettolosi visitatori.
LA CITTÀ
Pompei nasce sull’estremità di un’antica colata lavica alta 40 metri, sul mare e sulla foce del fiume Sarno allora molto più vicini alla città. Il primo centro, prevalentemente agricolo, corrisponde all’attuale zona intorno al Foro. Il rinnovamento e l’espansione ha inizio ben presto per mano dei Greci (e per breve periodo anche degli Etruschi) che iniziano un nuovo Foro, cioè il Foro triangolare, e continuano più o meno ordinatamente il tracciato viario. La massima espansione è raggiunta con i Sanniti sì che, all’intervento dei Romani, le poderose mura hanno già il loro definitivo sviluppo di tre chilometri limitanti un centro urbano di 66 ettari. Pompei sannitica alla fine del quarto secolo è già una città considerevole, superiore alle altre vicine ed all’ancor modesta Neapolis; è un centro destinato a superare Cuma, ma l’ingresso nella sfera politica romana rallenta ogni ulteriore espansione. Infatti nei 350 anni che seguono il tessuto urbanistico non viene alterato e il continuo rinnovamento s’innesta perfettamente nella città sannitica. L’intervento di Roma imperiale si accentra sui lavori di sistemazione e aggiornamento: vengono creati alti marciapiedi (con passaggi su grosse pietre sporgenti poiché le strade sono prive di fogne); il traffico viene regolato da una razionale disciplina che determina zone riservate ai soli pedoni (esempio: il Foro) e zone con accessi controllati (esempio: l’Anfiteatro); i bagni pubblici (Terme) sono incrementati e dislocati sui tre nodi di maggior richiesta; i centri cittadini sono integrati e potenziati per tre distinte funzioni sociali. La città sin dai tempi dei Sanniti era divisa in nove zone da due arterie longitudinali (decumani) e due arterie trasversali (cardini); ogni zona o regione corrispondeva all’incirca ad un quartiere con proprie feste rionali, programmi elettorali e caratteristiche economiche e commerciali.
Presso le porte cittadine e attorno al Foro sorgevano alberghi («Hospitia») e rimesse per gli animali («stabula»); sulle vie principali abbondavano osterie («cauponae») e gli antenati dei bar («thermopolia»). Ogni edificio aveva la propria cisterna alimentata dai tetti a compluvio, Roma costruì una deviazione dell’acquedotto augusteo del Senno e l’acqua venne distribuita alle terme, alle fontane pubbliche e alle abitazioni più ricche. Poche erano le fognature e quasi tutte serventi le latrine pubbliche; le abitazioni si servivano di singoli pozzi assorbenti. Pompei aveva circa 20.000 abitanti tra numerosi mercanti, liberti e schiavi, (di origine campana, greca e asiatica) e meno numerose famiglie patrizie (di origine sannitica o di immigrazione romana). Il ceto mercantile andava dilagando sempre più nella città a tal punto che le vecchie residenze si stringevano o scomparivano del tutto invase da nuovi negozi e industrie; come pure i nuovi arricchiti adattavano a ricche residenze le severe case sannitiche, spesso unendo anche due o tre vecchi alloggi. Negli ultimi anni, con la "pace augustea" e il decadimento di ogni necessità difensiva, le costruzioni iniziano ad invadere e a scavalcare le possenti mura. Pompei era governata da due reggenti («duoviri») in carica per cinque anni. Collaboratori erano i due «aediles» (preposti all’igiene, ai pubblici spettacoli, al mercato ed al vettovagliamento della città) e il consiglio supremo («ordo decurionum») formato da cento pompeiani eletti per meriti speciali.
Via dell'Abbondanza
Tutte le notizie interessanti la vita cittadina come elezioni, spettacoli e annunci economici, venivano reclamizzate da apposite scritte e disegni eseguiti da esperti «scriptores» sulle pareti di tutti gli edifici. Ben più numerose troviamo le scritte graffite sui muri; questi ultimi appaiono come un interminabile quaderno d’appunti dove tutti scrivono: bottegai; innamorati; studenti; tifosi sportivi; turisti di quei tempi; ed anche lenoni e lestofanti. E una marea di rapidi appunti con i quali centinaia di creature sembrano ancora parlare con noi di comuni problemi di vita quotidiana in una lingua di duemila anni fa.
LA CASA IDEALE
Pompei offre ancora un tesoro eccezionale per la storia dell’umanità: la casa. Infatti troviamo un’antologia ricchissima e preziosissima della «domus», cioè della casa unifamiliare, che va dal IV secolo a.C. al I secolo d.C. Lo schema base è fissato dai Sanniti evidentemente quale prodotto di lunghe esperienze precedenti. La «domus italica» viene ad avere una corona di servizi attorno ad un asse generato da spazi rigidamente calibrati e concatenati tra toro. Pertanto i locali necessari per le esigenze prevalentemente fisiche, come camere, servizi igienici, servizi di cucina, pranzo, ecc., si snodano ai lati della serie di spazi destinati allo sviluppo della vita culturale e sociale della famiglia. Questi spazi si sviluppano quasi totalmente al coperto («atrium») o quasi totalmente allo scoperto («peristilium»); tra l’atrio e il peristilio s’inserisce l’ambiente più sacro alla famiglia: il «Tablinum». Ogni locale attorno prende aria e luce solo dai due grandi spazi centrali, raramente dall’esterno. Lo schema è tanto valido che i Romani non lo variano per centinaia di anni. Il loro intervento si limita a decorare fastosamente e ad ampliare la domus con nuovi servizi. L’atrio spesso è arricchito da quattro colonne (atrio tetrastilo o corinzio); il giardino all’aperto si adorna di fontane, statue, ninfei. Si aggiungono: locali di riposo e belvedere («exedrae, diaetae»); quartieri riservati alle donne («gynaeceum»), alla servitù; bagni completi come terme private («balneum»); dilagano sopraelevazioni per guadagnare camere e servizi.
TECNICA ED ARTE
Gli stili architettonici impiegati negli edifici sono quelli classici, individuabili per i caratteristici capitelli: dorico (a forma anulare senza decorazioni); ionico (decorato e con grandi volute agli angoli); corinzio (decorato da alte foglie di acanto); composito (fusione del corinzio con lo ionico) che nelle costruzioni pompeiane assumono anche caratteristiche proprie radicate soprattutto nella tradizione sannitica. I tipi costruttivi pure si distinguono nettamente nelle varie epoche denunciando così le date d’inizio e degli ampliamenti o dei rifacimenti di ogni edificio. La prima (IV-III secolo a.C.) e la seconda epoca sannitica (200-80 a.C.) passano dall’opera quadrata e incerta alle costruzioni con blocchi di tufo. Il primo periodo romano (80 a.C.-14 d.C.) realizza costruzioni con pietre irregolari e blocchetti quadrati messi a reticolato diagonale. Il secondo e ultimo periodo romano (14 d.C.-79 d.C.) introduce l’uso del mattone. Gli stili pompeiani per la pittura e la decorazione delle pareti sono il capitolo più interessante della manifestazione artistica di Pompei e sono stati distinti in quattro stili. Primo stile, detto a incrostazione o strutturale, (150-80 a.C.) perché si caratterizza con riquadri e bugne imitanti il rivestimento di marmi colorati (v. Casa di Sallustio, del Fauno). Secondo stile detto architettonico (80 a.C.-14 d.C. circa), perché ha grandi riquadri con composizioni figurate alternate a prospettive architettoniche realistiche (v. Casa di Obelio Firmo, del Labirinto, delle Nozze d’Argento, della Villa dei Misteri). Terzo stile detto egittizzante o ornamentale (inizio circa 14 d. C.) perché vi predomina il gusto decorativo eseguito con perfetta cura dei dettagli e con straordinaria finezza dell’esecuzione e del colore (v. Casa di Lucrezio Frontone, Cecilio Giocondo). Quarto stile detto fantastico (inizio circa 62 d.C.) poiché gli schemi, le architetture e le prospettive diventano del tutto irreali e cariche di elementi ornamentali (v. Casa dei Vettii, degli Amanti, del Menandro, di Loreio Tiburtino).
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