WALDEN BELLO: "COMINCIAMO AD ABOLIRE BANCA MONDIALE E FMI"

di Giancarlo Summa

"Deglobalizzare il mondo", è l’invito dell’economista filippino Walden Bello, direttore del Focus on the Global South, probabilmente l’intellettuale più ascoltato, in Asia, nelle lotte dei movimenti no-global. Una voce assai più radicale, la sua, di quanto capiti in genere di ascoltare in Europa o negli Stati Uniti, ma molto rappresentativa delle opinioni diffuse nel Sud del mondo.

Professor Bello, cosa vuol dire deglobalizzare?

"Significa smontare i meccanismi della globalizzazione che ci sono stati imposti, a cominciare dalle organizzazioni multilaterali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del commercio (WTO). È indispensabile abolire queste istituzioni o renderle incapaci di nuocere, per esempio convertendo l’FMI in un istituto di ricerca, con 200 dipendenti invece degli attuali mille e più. Non è facile, naturalmente, ma ormai in tutto il mondo il termine globalizzazione viene associato ad un fenomeno negativo: l’accumulazione di enormi profitti da parte delle corporazioni transnazionali, con tutti gli effetti perversi che questo causa su miliardi di persone. Solamente le élite planetarie e parte dei mass media si riferiscono ancora alla globalizzazione come a qualcosa di positivo".

Lei ritiene l’FMI irriformabile? E quale dovrebbe essere il ruolo delle organizzazioni internazionali?

"Quando furono fondati, FMI e Banca mondiale erano istituzioni abbastanza progressiste, ma col passar degli anni e con gli USA premendo sempre di più per difendere i propri interessi economici, sono diventate assolutamente conservatrici: oggi sono appena strumenti per accentuare il potere dei paesi centrali. All’interno dell’FMI non c’è mai stato un dibattito reale, neanche dopo la crisi asiatica o, poche settimane fa, il crack in Argentina. Loro hanno un’unica prospettiva macroeconomica, che dice: meno regole, minor presenza del governo, più spazio al mercato, eliminazione della distinzione tra economia domestica e globale. Come si rinnova un’istituzione così? È più facile fondarne un’altra. La strada giusta è puntare su associazioni e blocchi regionali, in cui vengano raggiunti democraticamente accordi flessibili, senza diktat di Washington".

Lei pensa all’esperienza dell’Unione Europea?

"Si, o a quella del Mercosul in Sud America. L’Unione Europea ha numerosi limiti, ma produce anche risultati. I paesi del Terzo Mondo hanno bisogno di unirsi per sopravvivere: il regionalismo e la difesa degli stati-nazione non sono affatto un passo indietro della Storia. Dovremmo anche lottare per la creazione di fondi monetari regionali, che possano trovare soluzioni innovatrici. Questo è stato tentato durante la crisi finanziaria in Asia (nel 1997, ndr), ma gli Stati Uniti riuscirono a bloccare tutto. La questione di fondo è che i paesi del Terzo Mondo hanno interessi diversi da quelli ricchi. Gli Usa e l’FMI vogliono imporre il proprio modello, ma io dico: quando si tratta di sviluppo economico, che cento fiori fioriscano".

In tutto il Terzo Mondo sembra crescere un sentimento antiamericano. Perché?

"Gli Stati Uniti sono il potere predominante all’interno dell’FMI e di tutte le organizzazioni multilaterali e allo stesso tempo, come dimostra lo scandalo Enron, sono una democrazia del denaro, ammettendo che ancora siano una democrazia. Loro hanno un potere enorme, terribile, e quando il sistema internazionale che hanno costruito ha una crisi di legittimità – come accade ora, col collasso argentino, con la Enron – reagiscono usando il pugno di ferro. Non sarà facile, ma dovremo creare un potere del popolo, dal basso, per affrontare il potere degli Stati Uniti".

Fonte: Unità 5/2/2002