SOTTO LE STELLE DEL FORUM
MANUEL VAZQUEZ MONTALBAN
Rosso e verde. Tutta la gamma del rosso e quasi tutta quella del verde dominano il paesaggio urbano di Porto Alegre, la capitale dello stato del Rìo Grande do Sul, dove il Pt (Partito dei lavoratori) fa le prove di democrazia partecipativa nonostante le limitazioni centraliste imposte dalla Costituzione brasiliana. Lula, il capo del partito, può diventare presidente del Brasile e salutandolo mi felicito per i quarant'anni di battaglia sui fronti più duri della lotta di classe del XX secolo. A Porto Alegre, un milione e mezzo di cittadini approfittano della possibilità di decidere come distribuire il bilancio e si nota. Qui il degrado del paesaggio umano e urbano comune a tutti i paesi sottosviluppati non ti ferisce lo sguardo e cinquantamila attori interpretano la grande rappresentazione del Forum sociale, una replica dei globalizzati e globalizzatori che si riunivano a Davos (Svizzera) e quest'anno lo hanno fatto a New York. In un anno, il Forum sociale ha segnato un'importante affermazione mentre il Forum economico di Davos o New York si è sviluppato all'ombra della destabilizzazione economica e dello scandaloso affondamento dell'esperienza neoliberale in Argentina.
Potremmo parlare di una Teologia neoliberale rivelata da qualche Dio importante in qualcuna delle montagne sacre dell'immaginario capitalista: il Sinai, Davos, il monte Pellegrino? Certo è che la Cnn nell'edizione latinoamericana si è dedicata in questi giorni a esaltare il foro di New York, quello dei ricchi, e a minimizzare quello degli antagonisti, di Porto Alegre, anche se 2.500 giornalisti hanno occupato la città brasiliana, alcuni attratti e alcuni sconcertati, come se fossero venuti a vedere la partita di inizio del millennio della Champions League della Globalizzazione: Globalizzati contro Globalizzatori.
Qui sono stati Ignacio Ramonet, Bernard Cassen, Riccardo Petrella, Francisco Whitaker, Susan George, i frati Houtart e Betto, Leonardo Boff, José Bové, Rosario Ibarra, Gonzàlez Casanova, Noam Chomsky, Rigoberta Menchu, Pérez Esquivel, James Petras, Roberto Savio, il giudice Garzòn, Vidal Beneyo. Una sorta di selezione di professori, intellettuali, attivisti dello spirito che hanno qualcosa da dire al ricettore occidentale, ma anche prime figure della contestazione africana, giapponese o hindu che formano un'assise della critica alla globalizzazione. Qui si sono manifestate organizzazioni che vanno dalle donne contadine del Brasile fino al sempre più potente Attac - il movimento presieduto dal professor Bernard Cassen che chiede l'applicazione della Tobin tax, imposta sul capitalismo speculativo che contribuirebbe a superare il deficit economico del mondo sottosviluppato. Se si parla di Attac come movimento sociale in espansione in tutto il mondo, non si deve dimenticare il suo legame con Le Monde diplomatique, il mensile francese diretto dal gallego-tangerino Ignacio Ramonet che è forse stato il più forte vincolo culturale, quasi organico, dell'antiglobalizzazione.
Sorprendente il numero di politici e parlamentari europei giunti a Porto Alegre per lo stesso motivo per cui il poeta spagnolo Blas de Otere se ne andò in Cina ai tempi del franchismo: "...per orientarmi un po'...". La stampa francese ha scritto che molti dei suoi politici più importanti si sono interessati di Porto Alegre por motivi elettorali, perché il Forum sociale ha superato nelle aspettative il Forum economico. Qui c'era per esempio Hollander, l'erede di Jospin, oltre alla presenza della vedova di Mitterrand con la quale ci salutiamo con una segreta complicità: ci incontriamo in quasi tutti i convegni della via crucis del progressismo globale. Anche Giscard d'Estaing era interessato a inviare osservatori e in cambio gli organizzatori del Forum hanno raccomandato a Castro di non presentarsi, per non tingere di castrismo questo embrione internazionale alternativo ai signori della globalizzazione. Ma tra i 50.000 interpreti di questa festa della sinistra rossa e verde, ci sono quelli che considerano dei loro quanti continuano a praticare la lotta armata, come anche quelli che non vedono altra strada per la sinistra che l'occupazione critica della globalizzazione, qualcosa di simile alla pratica della formula berlingueriana di entrare nelle istituzioni democratiche, ma praticare anche la pressione sociale. Partito di lotta, partito di governo, diceva Berlinguer e ora non si può parlare di Partito perché questa nuova sinistra che passa per Seattle, Porto Alegre, Praga, Barcellona e Genova è plurale e nello stesso tempo post e pre, post comunista o post socialista o post anarchica e il pre sta cercando la parola che lo accompagni, ma senza dubbio è un derivato del verbo trasformare. Un accampamento per giovani universitari coesiste con l'Università cattolica dove si svolgono i principali eventi, e lì è apparso agli uomini Chomsky per comunicare loro che un nuovo bellicismo si avvicina e non per risolvere alcunché, bensì per fornire una via d'uscita all'industria bellica che controlla sempre di più i meccanismi di decisione politica dell'amministrazione nordamericana.
Tra gli invitati le stelle rutilanti erano Chosmky e Saramago e noi altri completavamo il sistema planetario della galassia contestataria. Chomsky appartiene a quella setta di intellettuali annunciati che non arrivano, invece quest'anno si è presentato con il suo look e le maniere da saggio democratico e gioviale che diffonde fiducia e interesse umano. Il suo discorso era simile a quello che ha scritto nel suo ultimo libro sull'11 settembre del 2001, una inquietante profezia sul nuovo bellicismo, che modifica l'opzione tra Davos e Porto Alegre aggiungendo l'elemento di Guantanamo, come metafora di un globo vigilato dalle garitte nordamericane. Sono stato al suo fianco a lato del palco durante la festa di inagurazione e il saggio dal volto pallido assorbiva lo splendore della festa rossa e verde, circondato da un fervore che forse non si aspettava. E' che Porto Alegre ha riflesso soprattutto in questa convocazione del 2002, la rinascita della speranza di quella sinistra plurale che era uscita depressa dal secolo XX e che si è trovata con nuove reti giovani, emancipatrici che si agitano in internet e si mettono in cammino per studiare i limiti del villaggio globale.
Interessante vivere questa esperienza a lato dei gruppi che hanno giocato un importante e insospettato ruolo nella rinascita della fiducia critica, come sono i quasi militanti di Le Monde diplomatique e i sempre più numerosi militanti di Attac. Ottocento riunioni di seminari in quattro giorni hanno affrontato tutto l'inventario dei deficit del mondo che rivelano il fallimento emancipatorio e portatore di felicità che preconizzava la proposta capitalista. Si è detto che all'inizio del XXI secolo il 20 per cento della popolazione mondiale dei paesi ricchi dispone di entrate dell'82 per cento in più dello stesso 20 per cento dei ricchi dei paesi poveri, e stiamo parlando di ricchi assoluti o relativi. Il fatto è che un terzo della popolazione mondiale non ingerisce sufficienti calorie e proteine e si sa che basterebbe utilizzare il 4 per cento della ricchezza accumulata dalle 225 maggiori fortune del mondo perché tutta la popolazione del globo avesse la possibilità di soddisfare le necessità di base: alimentazione, acqua potabile, educazione e sanità. Sono dati delle Nazioni unite ottenuti in questi momenti di riposo nei quali l'Onu si converte in semplice contemplatrice degli eccessi bellici della Nato come ostaggio degli Stati uniti, veri gendarmi della globalizzazione. Scriveva Ignacio Ramonet che nella sua fase ultraliberale, il capitalismo trasforma in merce tutto quello che tocca, disintegra le antiche comunità "... e disperde le esistenti in una moltitudine solitaria...".
50.000 persone arrivate da tutte le parti del mondo - alcuni in autocarro dal Cile - hanno costituito una moltitudine molto unita che protestava e costruiva reti che creano libertà, proposte di cambiamento nelle regole del gioco della globalizzazione e non solo in campo economico, ma anche politico e culturale, in modo particolare nel sapere che si trasmette mediante l'informazione. Per una politica democratica e partecipativa, per una cultura che rispetti le differenze e per una informazione che gerarchizzi i valori delle notizie e non le trasformi in semplici merci. Le necessità come obiettivi, non il mercato come un dio indiscutibile o una patria nella quale la maggioranza non ha altro spazio che i sotterranei.
Se Chomsky è stata la stella invitata che ha dato senso all'inaugurazione, Saramago ha chiuso il Forum a distanza. Attraverso la televisione, il premio Nobel ha parlato alla moltitudine non solitaria ma solidale di Porto Alegre, disposta a essere moltitudine globale capace di convertire le sue certezze in energia storica del cambiamento. Nei dibattiti si è parlato anche di chi è il soggetto storico del cambiamento che eredita le funzioni canoniche della classe operaia e bastava contemplare gli attori di questa rappresentazione, niente meno che l'origine di una nuova internazionale segnata dalla cultura del necessario, per scoprire che il soggetto in fase di costruzione è plurale. E allo scoprirlo, il soggetto plurirosso e pluriverde ha recuperato la fiducia che sia possibile l'azione e la speranza, l'incontro alla fine del regno della libertà e del regno della necessità.
Fonte: Manifesto 6/2/2002