NEGRI SU LA STAMPA: PORTO ALEGRE TRISTE IMPERO
Alla vigilia del World Social Forum, che si svolgerà dal 31 gennaio al 5 febbraio a Porto Alegre, abbiamo intervistato il filosofo padovano Toni Negri, condannato per insurrezione armata e attualmente agli arresti domiciliari.
Numerosi rappresentanti del movimento contro la globalizzazione liberale hanno fatto di "Impero", il saggio che lei ha scritto con Michael Hardt, il loro "libretto rosso". EŽ dŽaccordo con le loro idee?
"Porto Alegre non è la Comune di Parigi! Comunque il World Social Forum è un momento importante, un luogo dove stanno per confluire generosità e capacità militanti fuori dal comune. Sono dŽaccordo con lo spirito e gli obiettivi del movimento: costruire, a livello mondiale, unŽopposizione al liberalismo e sviluppare unŽalternativa possibile, nel quadro della globalizzazione. EŽ una tappa fondamentale, nella costruzione di un contro-Impero. Il movimento antiliberale, dŽaltra parte, esprime molte posizioni differenti. E non sono dŽaccordo con tutte".
Allude allŽantiamericanismo che tenta alcuni componenti del movimento?
"Ho lŽimpressione che siano gli avversari del movimento a fare questi accostamenti. Essere antiamericani è totalmente idiota. Bisogna superare la falsa visione che fa del governo americano il solo nemico. Il governo americano è il più importante fra i poteri da contestare, ma non è il solo. Non esisterebbe se le classi dirigenti del capitalismo mondiale non gli accordassero il loro completo sostegno. La battaglia più importante, per il movimento antiliberale, è riuscire a mobilitare i lavoratori americani".
Con quali posizioni prende le distanze?
"Con il fatto che occorre davvero rompere - e Porto Alegre deve farlo - con il Terzomondismo. Il Terzomondismo è unŽillusione perniciosa: non ha lottato contro il capitalismo perché non lo ha mai considerato una cosa sola a livello globale. Se si vuole mettere in piedi un forum mondiale e unŽorganizzazione mondiale dei lavoratori bisogna avere a che fare con questa coscienza molto precisa: non esiste più una frattura Nord-Sud, perché non ci sono più differenze geografiche tra gli Stati-Nazione".
Come spiega allora la presenza di una corrente che appoggia la sovranità nazionale, e la sua presenza a Porto Alegre nella persona di Jean-Pierre Chevènement?
"Credo che tutta la debolezza del movimento sia precisamente lì. Una debolezza che coltiva lŽillusione di arrivare a unŽera pre-globalizzazione. Lo Stato-nazione è sorpassato. La globalizzazione non è stata provocata dalla volontà tracotante del potere americano. Inoltre, il vero antiamericanismo è quello dei fautori della sovranità nazionale. LŽImpero, la globalizzazione, deriva dal fatto che gli Stati-nazione non possono più controllare allŽinterno dei loro confini i movimenti del capitale e i contrasti. Per tre o quattro secoli lo stato-nazione è stato un luogo formidabile per lo sviluppo del capitale e per regolare la società. Questa situazione storica è superata perché nemmeno gli americani riescono a conservare la forma di Stato-nazione. Ci si ritrova nella paradossale situazione in cui il presidente degli Stati Uniti è eletto con finanziamenti stranieri: i capitali dei petrolieri sauditi è talmente integrato con il governo degli affari americani che non si può davvero più dire che lo Stato-nazione funziona ancora".
La lotta intrapresa in tutti gli stati occidentali contro il terrorismo rischia di criminalizzare il movimento antiglobalizzazione?
"Lo temo molto. Ciò che accade in questo momento non è né una guerra né unŽoperazione di polizia. Potrebbe essere una nuova forma con cui si esercita la forza dellŽimpero. EŽ una guerra che diventa sempre meno distruttrice e sempre più ordinatrice e costituente. EŽ evidente che si avrà unŽestensione delle leggi liberticide. Detto questo, sono abbastanza ottimista, perché cŽè una resistenza da organizzare, dei contro-poteri da opporre a questo fenomeno".
La lotta dei contestatori di Porto Alegre inaugura quello che chiamate "una nuova fase della battaglia degli sfruttati contro il potere del capitale?
"Credo di sì, in ogni caso lo spero. Ma il problema non è solo combattere il capitale, è anche di organizzarsi. Spero che Porto Alegre lo permetterà. Bisogna dire che non vogliamo vivere in un mondo come questo, che vogliamo sottrarci a un potere che cerca di manipolare anche le nostre vite, i nostri affetti, i nostri desideri. Oggi gli sfruttati non sono solo i lavoratori manuali, gli operai, ma le moltitudini sociali: operai, certo, ma anche studenti, precari, disoccupati, immigrati, donne, chi lavora in nero, interinali. EŽ importante aver chiara coscienza che ci troviamo davanti a nuovi soggetti politici. La nuova sinistra non può che emergere dal movimento antiliberale".
Perché?
"In Italia, ad esempio, la rinascita della sinistra non verrà che dal movimento: sempre più ex militanti del partito comunista italiano si avvicinano ad esso".
Ma ci sono gruppi, come Attac, che rifiutano di diventare movimento politico.
"Credo che il movimento non abbia alcuna intenzione di limitarsi alla contestazione: è un movimento di contro-potere. Certo non subisce il fascino del potere, e liberarsi da questa lusinga è stato molto doloroso. Ma il potere devŽessere nondimeno sovvertito. Come? Un tempo si distinguevano varie fasi: prima una resistenza sindacale e operaia, quindi la fase insurrezionale e infine quella costituente. Oggi non cŽè più distinzione né transizione, cŽè semplicemente il movimento. Il nuovo soggetto politico che il movimento incarna è via via un soggetto di resistenza e costituente, soggetto di lotta e creatore. Si oppone proponendo alternative. Scegliendo di sottrarsi al potere disegna un altro mondo. Quel mondo è possibile, ma la moltitudine deve organizzarsi".
Il movimento è quasi consustanziale a Internet. EŽ la sua arma migliore?
Internet è uno strumento, certo prezioso ma che può cadere sotto il controllo del sistema capitalista. Su questo terreno, oggi, la lotta è evidente. Ma non cŽè solo la questione del controllo, cŽè quella della proprietà, nel caso di Internet quella delle licenze, dei diritti intellettuali. Tra i militanti di mia conoscenza il problema è sempre più non solo quello solo quello della proprietà privata o pubblica, ma il definire un nuovo bene comune. La gente comincia a pensare che tutti i servizi - educazione, sanità, trasporti, protezione sociale - debbano essere considerati beni collettivi, anche quelli legati al lavoro intellettuale".
Copyright Le Monde traduzione di Carlo Grande Stéphane Mandard
Nota: La Stampa, sezione Cultura pag. 19
da www.rekombinant.org"