"BILANCIO PARTECIPATIVO": REALTÀ E TEORIZZAZIONE DI UN'ESPERIENZA RIFORMISTA
materiale utile per la campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare a favore della tobin tax
marzo 2002, DI JEAN-PHILIPPE DIVÈS, DA "CARRÉ ROUGE", N. 20, GENNAIO 2002
La politica del "bilancio partecipativo" messa in atto dal governo del Rio Grande do Sul e dalla municipalità di Porto Alegre, dirette dal Partito dei lavoratori (PT), è divenuto l'oggetto di commenti tanto ditirambici quanto mal informati. È necessario dunque rettificare un po' le cose.
La "democrazia partecipativa" è divenuta, dopo il primo Forum Sociale Mondiale tenutosi l'anno scorso a Porto Alegre, un nuovo paradigma per numerosi settori della sinistra e della stessa estrema sinistra. Paradigma e anche torta alla crema, tanto questa nozione è oggetto di utilizzi e rivendicazioni che vanno al di là dello stesso movimento operaio e popolare.
Essa è stata elaborata a partire dall'"esperienza del bilancio participativo di Porto Alegre", che un anno fa il direttore di Le Monde Diplomatique commentava nei seguenti termini: "Tutti coloro che in un modo o nell'altro contestano o criticano la globalizzazione neoliberista vogliono riunirsi dal 25 al 30 gennaio 2001 in questa città del sud del Brasile dove si tiene il Forum sociale mondiale [...] Perché proprio là? Perché Porto Alegre è diventata da qualche anno una città emblematica. Capitale dello Stato del Rio Grande do Sul, il più meridionale del Brasile, alla frontiera con l'Argentina e l'Uruguay, Porto Alegre è una sorta di laboratorio sociale che alcuni osservatori internazionali considerano con una certa fascinazione".
"Governato in maniera originale da 12 anni da una coalizione di sinistra guidata dal Partito dei lavoratori (PT), questa città ha conosciuto in parecchi settori (abitazione, trasporto pubblico, nettezza urbana, raccolta differenziata, distribuzione, ospedali, fogne, ambiente, alloggi sociali, alfabetizzazione, scuola, cultura, sicurezza, ecc.) uno sviluppo spettacolare. Il segreto di una tal riuscita? Il bilancio partecipativo (orçamento participativo), ossia la possibilità per gli abitanti dei diversi quartieri di definire molto concretamente e democraticamente l'utilizzo dei fondi municipali. In altre parole la facoltà di decidere quale tipo di infrastrutture si devono creare o migliorare, e la possibilità di seguire il procedere dei lavori e il percorso degli investimenti finanziari. Nessuno storno di fondi, nessun abuso è così possibile, e gli investimenti corrispondono esattamente al consenso maggioritario della popolazione dei quartieri". (1)
Il funzionamento delle assemblee che riuniscono migliaia di abitanti, le forme di mandato e di delegazione, il sistema che permette effettivamente una certa dose di controllo e una migliore efficacia della spesa pubblica, sono già stati sufficientemente descritti in altre sedi, perciò non è necessario ritornarci su ora. Viceversa, i limiti non sono mai segnalati, e ciò da luogo a fenomeni di idealizzazione e confusione.
Una realtà meno incantevole
Ben pochi articoli e testi pubblicati in Francia per incensare il bilancio partecipativo menzionano che esso non riguarda che una quota compresa "tra il 10% e il 20% massimo" (2) delle sole spese in bilancio della città di Porto Alegre o dello Stato del Rio Grande do Sul (cioè le somme che sono destinate ai nuovi investimenti). Si dimentica ancor più spesso di dire che le decisioni popolari portate su questa parte di spesa non sono che delle raccomandazioni, di carattere indicativo, l'ultima parola spetta alle autorità elette secondo il classico meccanismo istituzionale della democrazia rappresentativa: sindaco, giunta e consiglio municipale, governatore, governo e parlamento dello Stato (3). Si evita soprattutto di sottolineare che la gestione dell'80-90% della restante spesa, come la totalità delle imposte da riscuotere, rimangono di competenza esclusiva di queste stesse autorità.
L'argomento secondo il quale la democrazia partecipativa avvicina il cittadino al momento decisionale, permettendo di evitare o limitare il processo di burocratizzazione, deve dunque essere ricalibrato e "proporzionato" nel quadro della suddetta realtà: intervento su un 10% massimo del totale delle scelte di bilancio e solo a titolo indicativo. Ciò significa che le grandi decisioni politiche, che si traducono nella scelta generale dell'orientamento del bilancio, sfugge ad ogni forma di intervento diretto dei cittadini. Una democrazia parlamentare in cui i deputati non possano decidere che della destinazione predeterminata del 10% del budget, sarebbe certamente considerata a giusto titolo come una caricatura di democrazia rappresentativa. Per la stessa ragione, parlare della "democrazia diretta di Porto Alegre" costituisce perlomeno una rozza esagerazione.
Quando sono interpellati su questi limiti, gli amministratori del bilancio partecipativo rispondono in generale due cose. Primo, che sono essi stessi limitati nella loro volontà dalle imposizioni della legalità borghese (in parte - non totalmente - è esatto, dal momento che essi rispettano questa legalità in maniera assoluta). Secondo, che non possono aumentare all'infinito la quota degli investimenti, poiché significherebbe diminuire quella delle spese di funzionamento, di cui la parte più rilevante è costituita dai salari dei lavoratori dei servizi pubblici; in questo caso si dovrebbero aumentare le imposte, che rappresentano già un grave peso per la popolazione...
[...]
Per quanto riguarda la politica fiscale, il governo del Rio Grande do Sul e la municipalità di Porto Alegre, guidate dal Partito dei Lavoratori (PT), sono più selettivi di quanto non siano la maggior parte delle altre autorità statali territoriali nella determinazione di esenzioni fiscali in favore delle imprese, come mezzo per "favorire l'occupazione". Essi favoriscono i capitalisti locali (i "gauchos") piuttosto che le grandi imprese multinazionali che corteggiano le altre amministrazioni territoriali. Così se il gruppo automobilistico General Motors vede rifiutarsi le sovvenzioni faraoniche che chiede per investire, sceglie di installarsi nello Stato di Bahia dove tutte le condizioni che pone sono accettate dall'oligarchia locale. Ma la municipalità e il governo del Rio Grande do Sul si guardano bene di chiamare alla collaborazione e alla mobilitazione i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali per lottare contro l'evasione fiscale che l'intero padronato pratica in grande stile. Viceversa, il governo PT ha decretato, tra le sue prime misure, un aumento sensibile dei contributi previdenziali a carico degli impiegati del settore pubblico. Queste realtà sono state evidenziate dai lavoratori della scuola, quando nel marzo-aprile 2000, con il loro sindacato CPERS (86.000 iscritti, il più importante dello Stato, affiliato alla CUT), hanno condotto per 32 giorni il più grande sciopero di questi ultimi anni nello Stato del Rio Grande do Sul, contro la politica salariale del governo di Olivio Dutra (4). Tra gli slogan principali delle loro manifestazioni c'erano: "Olivio, colpisci i frodatori, non i lavoratori", e "Olivio, l'educazione ha bisogno dei denari dell'esenzione".
Non c'è alcuna "democrazia partecipativa" che valga tutto ciò che riguarda il pagamento dissanguatore degli interessi sul debito (pagamento assicurato dal governo federale con il riversamento delle quote-parti su ciascuno Stato), che rappresenta circa il 15% del bilancio del Rio Grande do Sul. Così, non solo la politica del bilancio partecipativo non ha nulla di anticapitalista, ma essa è anche francamente "anti-neoliberista". Sostenere questo è più una constatazione che una critica; allo stesso tempo è un invito pressante ad alcuni a non raccontare balle e ad altri a non prendere lucciole per lanterne. Il Rio Grande do Sul non è estraneo ai rapporti di classe sociali e politici del Brasile industrializzato nel suo insieme. La situazione generale nel sud del Brasile è molto diversa dall'immagine di un paradiso rosso gaucho. I lavoratori e la popolazione del Rio Grande do Sul conoscono le stesse difficoltà di coloro che vivono nel resto del paese: salari da fame, precarietà, disoccupazione (a un tasso del 17%), mancanza di terre per i contadini. Nel motivare le sue dimissioni dal governo di Olivio Dutra nel novembre 2000 e la sua rottura con quell'orientamento politico, un responsabile del PT denunciava tra le altre cose la politica fiscale e sociale delle autorità statali, la chiusura nei confronti delle rivendicazioni degli insegnanti e dello sciopero del CPERS, e l'impiego delle forze di polizia per reprimere l'occupazione attuata dal MST (il Movimento dei Sem Terra) della sede dell'INCRA (Istituto nazionale della colonizzazione e della riforma agraria) situata a Porto Alegre (5).
Razionalizzazione capitalista e ripartizione della miseria
Non solo il bilancio partecipativo non mette per nulla in causa il dominio del capitale, ma in una certa misura aiuta a oliare, a meglio "regolare" il suo funzionamento economico, permettendogli di conseguire meglio i suoi obiettivi, i suoi progetti di investimento. Un altro militante brasiliano segnala che "le stesse imprese si integrano ai progetti del "bilancio partecipativo", dimostrando che tutti "partecipano". Nello Stato del Rio Grande do Sul e nella sua capitale, Porto Alegre, l'importante azienda di telecomunicazioni CRT (Compagnia di telecomunicazioni del Rio Grande) ha deciso che a partire da quest'anno parteciperà alle riunioni delle istanze di questa "democrazia partecipativa". I suoi dirigenti affermano che "la CRT ha ben compreso che queste riunioni costituiscono lo spazio più adeguato per calibrare i piani di espansione dell'azienda [...] È un'iniziativa semplice e di poco costo. Un buon esempio da seguire per le imprese e i governi"" (6).
D'altronde non è vero, o non più, che questo tipo di gestione è appannaggio esclusivo del PT o dei settori della sinistra. "Il Partito dei lavoratori (PT) vuole presentare questa idea come una innovazione, ma in realtà essa non è nuova in Brasile. All'epoca della dittatura militare, le municipalità di Lajes, nello Stato di Santa Catarina, e di Boa Esparança, nello Stato di Espirito Santo, allora nella mani del PMDB, avevano applicato queste iniziative, non con questo nome ma esattamente con gli stessi contenuti [il Partito del movimento democratico del Brasile era allora la principale formazione borghese d'opposizione, NdR]. Poco dopo ci sono stati i casi della città di Diadema, nello Stato di São Paulo, nel 1983 sotto direzione PT, e di Vila Velha (Espirito Santo)."
"[...] Finché si considerano i diversi governi municipali in esercizio tra il 1997 e le ultime elezioni municipali del 2000, ci si accorge che il modello del "bilancio partecipativo" è stato adottato da 140 comuni, di cui 34 erano diretti dai partiti di destra o di centro-destra PFL, PPB, PMDB e PSDB [...] Ci si aspetta che il numero aumenti, non solo nelle municipalità conquistate dal PT (che governa ormai 187 città) nelle ultime elezioni, ma anche perché altri partiti, di destra e centro-destra, hanno già detto che applicheranno questo sistema, indipendentemente dal fatto che in certi casi la sua denominazione sia differente. Nel suo programma di governo, Marta Suplicy, nuovo sindaco di São Paulo, la città più ricca del paese, ha introdotto il "bilancio partecipativo" [...] Ma che nessuno si stupisca, poiché la politica del cosiddetto "bilancio partecipativo" è applicata anche in città degli Stati Uniti, quali Phoenix, in Arizona" (7).
In effetti non c'è nulla di eclatante, dal momento che il PT è un partito riformista e il suo programma di governo non si discosta gran che dall'anti-liberismo moderato sostenuto da Jospin nella campagna elettorale del 1997. Certo, è un partito riformista particolare, che conserva dei tratti "operai" e garantisce la presenza nel suo seno di tendenze che si richiamano al socialismo e alla rivoluzione. È proprio per questa ragione che tali tendenze possono ritrovarsi, in una fase non rivoluzionaria, non caratterizzata da una decisa offensiva dei lavoratori e del movimento di massa, caricate di importanti responsabilità tattiche. In un quadro del genere le contraddizioni e i pericoli sono da considerare nella loro evidenza...
Si è visto che il tipo di compartecipazione popolare prevista dal bilancio partecipativo può dimostrarsi perfettamente funzionale all'attività economica delle "imprese", in altre parole, per dirla un po' crudamente, ai profitti padronali. Allo stesso modo sul piano politico, può servire come strumento di ripartizione della miseria che il capitale organizza nei servizi pubblici. Il governo del Rio Grande do Sul aveva spiegato agli insegnanti, come avrebbe fatto qualsiasi governo borghese, che non poteva aumentare i loro salari perché non aveva i fondi per farlo. Bene, è esattamente la stessa logica che sovrintende la politica degli investimenti! Bisogna intervenire su questa o quella strada? Restaurare quell'edificio scolastico dove il tetto cede o ingrandire quell'impianto scolastico che scoppia per l'aumento degli alunni? Costruire un ambulatorio qui o riparare i canali laggiù? Attraverso gli organi territoriali e tematici del bilancio partecipativo, gli abitanti si trovano così "messi in concorrenza" e opposti gli uni agli altri. Essi sono invitati a elaborare e presentare (con l'aiuto dei tecnici dello Stato o del comune, che hanno dunque interesse a trattare bene...) i "migliori progetti possibili", al fine di imporsi "democraticamente"... sui loro compagni di sventura.
La perversione di una tal inversione di significato che pareva a priori progressista è dovuta evidentemente ai limiti imposti dalla dominazione del capitale e dello Stato... ma soprattutto all'impossibilità e/o al rifiuto di combatterla. Un'assemblea generale dei lavoratori cessa di essere un modello di autodeterminazione progressista se vota l'accettazione dei licenziamenti richiesti dagli azionisti. Allo stesso modo, "la partecipazione cittadina" non può avere un contenuto progressista, quindi rivoluzionario, che in una dinamica di mobilitazione anticapitalista.
L'essenziale non è "partecipare"
Se per un caso straordinario dei militanti rivoluzionari si ritrovassero oggi in Francia (o altrove) alla testa di una municipalità di una qualche importanza (che nella situazione attuale, senza che si producano grandi cambiamenti nella lotta di classe, appare assai poco probabile) senza dubbio applicherebbero alcune delle idee che vengono avanzate per giustificare il "bilancio partecipativo". Ma in ogni caso c'è da sperare che ciò fosse fatto molto diversamente. Non restringendo l'intervento delle masse nella sfera della ripartizione della spesa per gli investimenti, ma invitandole ad appropriarsi della globalità della politica municipale, come a controllare le persone incaricate della sua realizzazione. Vale a dire non a "partecipare" ai margini, ma a decidere realmente ed effettivamente, dunque politicamente.
È solo in queste condizioni che le forme democratiche, estendendosi e divenendo effettive, possono servire al sovvertimento dell'ordine capitalistico e prefigurare, aiutando a prepararlo, un processo socialista. Ma ciò significa abbandonare il terreno della "partecipazione" per entrare in quello della "decisione", passare dalla democrazia "partecipativa" a una democrazia autentica, che combini da principio le espressioni "dirette" con quelle "rappresentative" (mediante il controllo e la revocabilità dei rappresentanti).
Ammettiamo tuttavia, a livello ipotetico, che dei rivoluzionari socialisti vincano le elezioni municipali in città grandi o medie mentre i rapporti esterni restino tali che non si possa andare oltre al tipo di partecipazione messo in opera a Porto Alegre. Come minimo, una municipalità "rossa" spiega chiaramente ai lavoratori e alla popolazione quali sono i limiti imposti alla sua azione dal sistema capitalista e il funzionamento generale dello Stato borghese, e li chiama a mobilitarsi al suo fianco per cercare di modificare le cose. In ogni caso essa non affermerà che il "bilancio partecipativo" nella forma in cui è realizzato rappresenta un'esperienza la cui generalizzazione può condurre al socialismo.
Vale a dire che non farà quel che fa la corrente del PT Democrazia socialista, affiliata alla Quarta Internazionale (Segretariato unificato) e molto influente nelle istituzioni del bilancio partecipativo di Porto Alegre e del Rio Grande do Sul (8). Certi articoli politici redatti in occasione di questo o quell'avvenimento sono più significativi, ma è bene riferirsi per sostenere questa affermazione a un documento "ufficiale" e di carattere programmatico, adottato dal 5° convegno nazionale di Democrazia socialista tenuto nel giugno 1999.
I problemi della rottura rivoluzionaria, dello scontro con lo Stato borghese e della sua distruzione, dell'abolizione del capitale e del salario, sono totalmente vaghi, a volte direttamente negati, sostituiti da una politica graduale centrata sulla "creazione di istituzioni che prendono il posto del mercato capitalista e dello Stato borghese, basate sulla "libera associazione dei lavoratori", sull'attività autonoma, democratica e sovrana della popolazione; istituzioni che intervengono nella gestione della cosa pubblica". In altre parole, il socialismo è la generalizzazione della democrazia partecipativa che conquista progressivamente delle porzioni di potere. Molto progressivamente, poiché è solo "a lungo termine" che "resta valida la formulazione di Marx secondo cui una società realmente libera avrà eliminato la produzione di merci e dunque il mercato", e "sarà riuscita a far sparire lo Stato come apparato politico". Logicamente questo scritto rivisita la vecchia distinzione tra programma minimo (ciò che oggi è "possibile") e programma massimo (il socialismo in un futuro indeterminato): "come prospettiva per l'epoca attuale, come asse di un programma democratico e popolare, la nostra posizione deve essere ben più limitata: sviluppare tutte le forme di auto-organizzazione popolare e di controllo sociale sullo Stato e il mercato". D'altronde "noi non difendiamo come prospettiva immediata né la sparizione dello Stato, né evidentemente la riduzione delle sue prerogative. Ciò che noi perseguiamo è la sua trasformazione...".
Ciò che non è abbandonato è dunque la trasformazione graduale dello Stato borghese, sempre per mezzo della democrazia partecipativa impropriamente qualificata come "auto-organizzazione" o "controllo sociale". Quanto agli "assi di un programma democratico e popolare", programma di governo del PT in caso di vittoria nelle elezioni federali del 2002, le più audaci proposte per dare impulso a un "riorientamento dell'economia" sono "la statalizzazione con controllo sociale del sistema bancario e finanziario" e la "rinazionalizzazione delle aziende strategiche privatizzate". Molto lontano dal ripudio del debito pubblico illegittimo, lo stesso programma giunge a prevedere una "sospensione dei pagamenti del debito estero". In cosa si distingue dai programmi più tradizionali del riformismo storico? Ancora una volta in niente, salvo che per la democrazia partecipativa (principale leva di una "democratizzazione radicale della società") e l'utilizzo della fraseologia "cittadina", falsamente antiautoritaria, che caratterizza il neoriformismo del dopo la caduta del muro di Berlino.
"Bilancio partecipativo" e prospettive internazionali
Un autore influente, già citato, che un anno fa pensava che "il nuovo secolo comincia a Porto Alegre", viene a scoprire che nei fatti ha debuttato a Manhattan con l'abbattimento delle torri del World Trade Center: "dopo gli avvenimenti dell'11 settembre [...] succeduti al ciclo cominciato il 9 novembre con la caduta del muro di Berlino, si apre indiscutibilmente un nuovo periodo" (9). È vero che la situazione internazionale è complessa e che la agitano tendenze contrastanti, in un quadro generale che resta caratterizzato principalmente dall'offensiva capitalista-imperialista. Tuttavia, di fronte a queste interpretazioni mutevoli, ci si sente maggiormente in diritto di avanzare un'altra ipotesi: e se il XXI secolo fosse cominciato il 20 dicembre a Buenos Aires? In altre parole, se la prospettiva per questo secolo fosse quella di grandi azioni dirette dalle masse al di fuori delle istituzioni e contro di esse, dell'impossibilità di alternative vitali all'interno del sistema capitalista e della necessità immediata di lavorare per un esito socialista?
Nel maggio del 2001, i sindaci di Porto Alegre, São Paulo, Belo Horizonte (Brasile), Montevideo (Uruguay) e Rosario (Argentina) s'erano riuniti a Buenos Aires su invito del suo primo magistrato, il politico di "centro-sinistra" Anibal Ibarra (divenuto alla fine dell'anno uno dei principali sostenitori del governo di unità nazionale di Duhalde), per un "Summit dei sindaci delle grandi città del cono sud". All'ordine del giorno c'era un punto: la messa in opera del bilancio partecipativo (10). Dopo questo incontro il progetto non è mai decollato in Argentina. Il fatto è che in questo paese non c'è nemmeno più della miseria da spartire. All'opposto, i piqueteros e i motoqueros ci danno l'esempio di un altro tipo di partecipazione democratica. Non c'è alcun dubbio che sono loro a simboleggiare l'avvenire.
Note
1 "Porto Alegre", editoriale di Le Monde Diplomatique, gennaio 2001
2 Secondo un'intervista concessa il 14 luglio 1999 da Raul Pont, allora sindaco di Porto Alegre, e pubblicata col titolo "Democratizzazione dello Stato: l'esperienza di Porto Alegre", gli investimenti della città si avvicinano in quest'anno al 20%. Testo disponibile sul sito Internet dalla rivista catalana Espai Marx (Spazio Marx), http://www.espaimarx.org/.
3 Il Brasile è una repubblica federale in cui 23 Stati e 3 territori dispongono di ampi poteri statali autonomi, compreso il potere di repressione, mediante polizie "militarizzate" che sono equipaggiate di armi da guerra e carri armati.
4 I lavoratori esigevano che il salario base degli insegnanti passasse da 129 a 377 réais, e quello del personale amministrativo da 121 a 353. Il governo Dutra, che offriva un riallineamento del 10% scaglionato su 6 mesi, si è opposto allo sciopero denunciandone il carattere "corporativo" di concerto con i principali media dello Stato. Il movimento si è concluso con una mezza disfatta: i lavoratori non hanno ottenuto che un aumento del 14%. I quadri dell'amministrazione governativa arrivano a guadagnare fino a 4.500 réais. Il rèal (al plurale réais) vale sul mercato dei cambi circa mezzo euro.
5 "Perché ho lasciato il governo Olivio", di Jorge Santos Buchabqui, avvocato e militante petista, ex segretario dell'amministrazione nel governo di Olivio Dutra. Pubblicato in Esquierda Socialista, n. 1, gennaio 2001.
6 Basilio Abramo, La gauche en débat, 9 giugno 2001, http://www.clasecontraclase.cl/. Le proposte citate della direzione della CRT sono state riprodotte in un articolo intitolato "Téléparticipation", pubblicato il 23 dicembre 2000 dal quotidiano Folha de São Paulo.
7 Testo citato qui sopra. Bisogna ugualmente menzionare, come uno degli studi critici più seri ed equilibrati usati per la redazione di questo articolo, lo scritto di Mariucha Fontana e Julio Flores, due responsabili del PSTU del Brasile, intitolato Bilancio partecipativo: nei limiti dell'ordine borghese (rivista Marxismo Vivo n. 3, maggio 2001; http://www.marxismalive.org/). Ringraziamo numerosi membri della corrente Nuovo Corso (specialmente Dalmo in Brasile, Nora e Roberto in Argentina, Chepa in Spagna) che ci hanno trasmesso su questo argomento numerosissimi testi e documenti.
8 È così che si esprime una serie di articoli, testi e documenti pubblicati regolarmente dalla rivista Inprecor nella sua rubrica "Brasile" (http://www.imprecor.org/). Le tesi di DS citate subito dopo sono apparse nel numero 443/444 di gennaio 2000.
9 Ignacio Ramonet, editoriali di Le Monde Diplomatique, rispettivamente di gennaio e dicembre 2001.
10 Vedi il dossier pubblicato il 14 maggio 2001 dal principale quotidiano argentino, Clarin, dal titolo "Governano grandi città e vogliono che la gente partecipi". L'articolo principale comincia con la frase: "Il concetto è vecchio, va e viene secondo le fasi politiche. È la democrazia partecipativa, che seduce dal centro a sinistra e spaventa dal centro a destra...". L'editoriale di questa stessa edizione, "Le sfide dei governi locali", porta un deciso sostegno a questa iniziativa.
Fonte: www.ecn.org
03/2002