L'acqua è il petrolio del nuovo secolo. Sta provocando guerre e carestie

[intervista di Emilio Molinari]

Ernesto Galli della Loggia, nell'editoriale del Corriere della Sera di lunedì 15 ottobre, ha definito le parole d'ordine della marcia Perugia-Assisi, "Cibo, acqua, lavoro per tutti", generiche e non politiche, perché chi le sostiene, scriveva, non indica contro chi sono dirette, non individua chi è l'avversario e le modalità della battaglia per conseguirle. Giro la domanda: chi è, per Galli della Loggia, l'avversario, quando si parla di fame e di sete? Forse la pensa allo stesso modo del professor Sartori, che, dalle pagine dello stesso giornale, qualche settimana fa, ha espresso in modo inequivocabile il suo pensiero: gli "avversari" sono i popoli del sottosviluppo, gli stessi affamati ed assetati, "perché fanno troppi figli, incrementano a dismisura la popolazione del pianeta e mettono pericolosamente in forse gli equilibri nel mondo e la coesistenza tra le comunità".

Questa non è una opinione qualsiasi, è il nuovo argomento forte dei liberisti. E a Perugia, a dar loro retta, avremmo dovuto marciare contro i poveri della terra.

Ma se Galli della Loggia avesse assistito al gruppo di lavoro sul diritto all'acqua, tenutosi appunto a Perugia venerdì 12 nell'ambito dell'"Onu dei popoli", avrebbe sentito e capito che, per molti altri, l'avversario è ben individuato: è un modello di sviluppo ingiusto e distruttivo dell'ambiente e delle persone, è la Banca mondiale, sono le multinazionali, il Fmi, i G8, la Wto ed i governi occidentali, primo tra tutti il governo Usa [in questa situazione, fa già paura pronunciarne il nome].

Sono, in definitiva, tutte le istituzioni che da tempo pianificano l'assalto privato alle fonti primarie della vita. Già, perché ai Galli della Loggia sfugge la dimensione determinante del conflitto, e cioè che i nuovi protagonisti del sistema globale, i nuovi signori della Terra, si battono tra loro o si alleano, fanno leggi o le cambiano, al solo scopo di appropriarsi, controllare e governare, le risorse di base della vita: l'acqua, appunto, il gene e il cibo.

Gli interventi o, meglio, le testimonianze del boliviano professor Manuel De La Fuentes e della canadese Aubim, del Comitato per il manifesto dell'acqua, sono stati molto esemplificativi. Da una parte, l'esperienza di Cochabamba, città in cui l'acqua potabile, passata dalla mano pubblica a quella della multinazionale Bekel, ha subìto un aumento insostenibile delle tariffe, e la conseguente rivolta, vittoriosa, della popolazione, ha costretto il governo locale a fare marcia indietro.

In questo caso, a manifestarsi in tutta la sua virulenza è la politica del Fmi, quei piani strutturali che obbligano i paesi poveri ed indebitarsi a privatizzare l'acqua come condizione per l'accesso al prestito. Un inchiesta rivela che, nel 2000, i prestiti concessi dal Fmi a dodici paesi africani poveri hanno avuto come condizione comune la privatizzazione delle risorse idriche: è il caso di Angola, Benin, Guinea-Bissau, Niger, Ruanda, Senegal, Tanzania. Ma anche il prestito al Ghana è stato concesso sotto condizione dalla Bm, e altrettanto sta accadendo in Sud Africa, dove sindacati e movimenti sono impegnati contro la privatizzazione dell'acqua e dei servizi pubblici locali.

I giacimenti del Québec

Dall'altra parte, c'è l'esperienza del Québec, che, in epoca di "petrolizzazione" dell'acqua [e cioè il fatto che l'acqua sta rapidamente diventando un bene raro e prezioso come il petrolio], può essere considerato da questo punto di vista una specie di Arabia saudita, ricco com'è di risorse idriche, e in cui divampa un conflitto politico e sociale contro la Wto e la possibilità che l'acqua venga regolata dai vincoli del commercio internazionale, contro la privatizzazione dell'insieme di questo bene e, dunque, contro la possibilità che l'acqua possa essere venduta ed esportata.

In tutto ciò, non sembra difficile vedere quali siano gli avversari, e quali le alternative, proprio a partire dall'affermazione di un diritto umano inalienabile come quello del diritto all'acqua. A partire, cioè, dalla constatazione che questo diritto è in palese contrasto con la volontà di fare dell'acqua un bene economico, regolato dal mercato e dal profitto, come la Bm ha deliberato all'Aja, nell'assise del marzo 2000.

L'acqua scarseggia: negli ultimi quarant'anni, i consumi idrici del pianeta sono triplicati. Nel 1960 l'umanità disponeva di 17.000 metri cubi di acqua pro-capite al giorno, oggi solamente di 7.000 metri/cubi. Quindi, sostengono gli organismi internazionali e le multinazionali, occorre fermare lo spreco, regolandone il prezzo col mercato.

400mila litri per un'auto

Ma chi ha sperperato tanta acqua? Non certo il sud del mondo, che, oltre ad averne di meno, ne è stato ulteriormente privato dagli iniqui rapporti di mercato. Occorre ricordare che il 20 per cento della popolazione mondiale, quello che detiene l'80 per cento della ricchezza, è anche quello che consuma l'88 per cento dell'acqua prelevata sul pianeta. Non dovremmo mai dimenticare che per costruire un'automobile servono 400 mila litri di acqua, ma che più o meno l'80 per cento del parco macchine esistente è concentrato nel nord del mondo. Che un hamburger "costa" 5.400 litri d'acqua, e che per produrlo si bruciano le foreste dell'Amazzonia in modo da far posto ai pascoli dei bovini, che, macellati finiscono prevalentemente sulle tavole degli occidentali. Che una tonnellata di cereali necessita di 1000 tonnellate di acqua e che, contemporaneamente, il 60 per cento delle terre irrigate del pianeta, che dall'inizio del secolo sono quintuplicate, servono per alimentare l'11 per cento della popolazione.

Un sistema iniquo, oltre che insostenibile.

Una agricoltura che ormai assorbe il 70 per cento dei prelievi d'acqua, totalmente dipendente da fertilizzanti, diserbanti e pesticidi, che coltiva prodotti il 70 per cento dei quali servono ad alimentare gli animali da macellazione mentre inquina irrimediabilmente le falde. Un'industria che non sa ancora cosa fare delle proprie scorie tossiche e che inquina fiumi, laghi, mari e falde, disseminando il territorio di vere e proprie bombe chimiche. Consumi domestici in costante aumento, alimentati come sono da una pubblicità che sospinge a consumare sempre più acqua, per consumare prodotti da bagno, da toilette, per la salute del corpo, ecc.

Acqua, sempre più acqua, mentre l'offerta è sempre più limitata e la domanda sempre crescente. La privatizzazione e la mercificazione dell'acqua sono autentiche follie, che non faranno che accelerare i processi degenerativi di questa basilare risorsa e moltiplicheranno i conflitti. Un israeliano dispone di 270 litri di acqua al giorno, un palestinese solo di 70, e il rubinetto è nelle mani di Israele, che a sua volta prevede per il 2010 un deficit idrico del 15 per cento e, forse, questa previsione ha a che vedere con il conflitto in corso.

E ancora: la privatizzazione non frenerà i consumi e gli sprechi: li renderà ancora più iniqui. Perché il mercato ha le sue regole: occorre vendere sempre di più, e se vendi acqua devi indurre a consumare sempre più acqua. Il Rio Grande divide gli Usa dal Messico e il suo bacino alimenta le falde di entrambi i paesi. Ma a El Paso [Usa], dove l'acqua è privata, si consumano 750 litri al giorno pro-capite, per il 50 per cento destinata ad attività ricreative [piscine, campi da golf, ecc..] o per condizionatori d'aria, mentre a Ciudad Juárez, dall'altra parte, dove l'acqua è pubblica e non c'è l'ostentata ricchezza dei gringos, si consumano solo 250 litri al giorno.

Ma il forum di Perugia ha messo in evidenza altre questioni. Prima tra tutte quanto questo tema dell'acqua sia d'attualità nel ricco nord e in Italia, e quanto divida politicamente, ma anche culturalmente, politici, amministratori, sindacalisti ecc…

La privatizzazione è ormai all'ordine del giorno e la legislazione va tutta in quella direzione. Mentre la Comunità europea delibera la facoltà di mettere in bottiglia l'acqua dei rubinetti e di venderla, in tutte le città italiane le municipalizzate dell'acqua vengono trasformate in Spa a maggioranza più o meno pubblica, messe sul mercato e quotate in borsa. [ Acea a Roma, Agma di Genova, Lyonnaise des Eaux ad Arezzo, Sogea in prospettiva a Milano ecc..]. È evidente che questo è l'inizio del businness e, su questo, emerge palesemente la divisione tra gli amministratori locali.

Privatizzazioni di sinistra

A Perugia, anche a sinistra, la maggioranza degli amministratori, dei tecnici del settore, dei consiglieri delle municipalizzate, dei sindacalisti, pur dichiarandosi a favore della campagna "Acqua diritto umano" promossa dal comitato,hanno sostenuto le ragioni della privatizzazione nella propria città.

Ad esempio di tale posizione, valga per tutti l'intervento di un sindaco ulivista: "Sono d'accordo con lo spirito delle relazioni, però le privatizzazioni, come le avete dipinte, sono cose del terzo mondo, non possiamo applicare simili criteri qui da noi, siamo nel nord, in società complesse, con una economia sviluppata e dove non manca l'acqua, ecc. Non possiamo continuare ad esorcizzare il mercato. Qui dobbiamo e possiamo introdurre un po' di businness e di concorrenza, per ridurre i costi pubblici, migliorare il servizio e l'efficienza degli impianti."

Ecco, forse questo è quel pensiero "generico e senza avversari" di cui parla Galli della Loggia. Le campagne, le battaglie, vanno bene ma se rimangono "culturali", quando riguardano "altri", lontani e diversi, e ci impegnano solo con una firma o una dichiarazione che ci fa sentire buoni ed impegnati. Quando però si tratta di scontrarci qui, con poteri ed "avversari" visibili e vicini, con scelte politiche che ti riguardano direttamente, allora meglio sostenere che da noi è tutto diverso.

Ma il problema dell'acqua non ammette doppie verità. Ci chiede di rovesciare radicalmente i parametri che sorreggono la nostra società e di fare i conti con tutte le culture produttiviste, consumiste, sviluppiste, e anche lavoriste, che ci portiamo dietro.

L'acqua è una risorsa esauribile [questo non è ancora chiaro a tutti]. L'acqua è indispensabile alla vita è quindi un diritto non contrattabile. L'acqua è insostituibile [si può sostituire il petrolio col carbone]. L'acqua è una risorsa strategica, chi la possiede o la controlla, siano essi signori del denaro [multinazionali] o signori della guerra [stati], esercita dominio. L'acqua è perciò di tutti gli esseri viventi e non può che essere amministrata nell'interesse di tutti, in una dimensione di solidarietà universale.

La politica di questo secolo si misurerà con la capacità di realizzare questo obiettivo, riscrivendo le nozioni del diritto universale, le leggi che lo garantiscono e le istituzioni, altrettanto universali, democratiche e rappresentative, in grado di farlo esercitare su tutto il pianeta.

L'acqua deve entrare perciò nella cultura politica della nostra epoca, nell'agenda delle istituzioni internazionali, nazionali e locali ed è ormai tempo che entri con forza e priorità nell'agire del movimento antiliberista. Johannesburg nel 2002 è un appuntamento per tutto il movimento, ma lo sono altrettanto le scadenze locali e vicine di privatizzazione municipale dell'acqua, sulle quali i diversi social forum, i cittadini possono dire la loro.

 

Carta nr. 18

8 novembre 2001