Fonte: Le Monde Diplomatique 4/2001
Ipermercato, iperconsumo
Il carrello dello spreco
Di sabato, gli ipermercati di periferia sono affollati. Per la spesa della settimana, i consumatori arrivano per lo più in macchina. Gli acquisti passano poi dai portabagagli delle macchine ai frigoriferi, surgelatori e altri contenitori e luoghi di stoccaggio. Si tratta di una pratica largamente diffusa, che corrisponde a una modalità di consumo altamente energivora.
Chi fa la spesa in un ipermercato di periferia anziché in un supermercato del centro, a 500 metri da casa, genera quattro volte più inquinamento e nocività (1). E questo, per la semplice ragione che nell'85% dei casi si va all'ipermercato in automobile. L'inquinamento creato da questi spostamenti è tanto maggiore quanto più la macchina è potente.
Per un tragitto in area urbana, un'utilitaria consuma 7 litri di benzina ogni 100 km, che diventano 11 per un veicolo di potenza maggiore e possono arrivare a 30 per alcuni modelli di 4x4, con l'impianto di aria condizionata in funzione.
Al ritorno dall'ipermercato, il consumatore è più carico che all'uscita dal supermercato: 25 kg contro 4,16 (2). Certo, chi si rifornisce in un ipermercato lo fa con frequenza minore. Ma le megastrutture commerciali incitano allo stoccaggio: tre saponette al prezzo di due, latte "a lunga conservazione" in pacchi da 6, e poi le sempiterne offerte di due fustini di detersivo, con raddoppio dell'involucro di plastica. Per lo stoccaggio di tutti questi prodotti basta avere posto in casa; ma per la conservazione dei surgelati si consuma più energia. Dai camion frigoriferi ai banconi refrigeranti, la catena del freddo è particolarmente ingorda; e il consumo è tanto maggiore quanto più si prolunga il tempo di stoccaggio. Chi acquista in grandi quantità per spendere meno finisce per accrescere il consumo del surgelatore, che deve funzionare a pieno ritmo; se quindi realizza un risparmio al momento dell'acquisto, si ritrova poi a pagare di più per la corrente elettrica.
Prodotti "cosmeticamente corretti" Per massimizzare i suoi margini di profitto, la grande distribuzione ha rinunciato da tempo a chiedere un deposito per i vuoti a rendere; e lo stesso hanno fatto i fabbricanti di bibite. La raccolta del vetro usato avviene su basi volontarie, nei cassonetti messi a disposizione del pubblico; ma nel 1998, il tasso di recupero del vetro in Francia non ha superato il 52% (3). Gli autocarri che riforniscono di bibite i punti vendita ripartono vuoti dopo le consegne, dato che non riprendono le bottiglie usate, mentre i veicoli che le recuperano arrivano vuoti per ripartire carichi. In altri termini, un numero di viaggi doppio per tasso di recupero molto minore.
In Danimarca, uno dei pochissimi paesi che cercano di reagire a questo spreco, tutte le bottiglie, in vetro o in plastica, sono soggette a deposito. Le lattine d'alluminio, che comportano un riciclaggio particolarmente inquinante, sono praticamente abolite. I fabbricanti di birra usano esclusivamente bottiglie di vetro, e hanno aderito all'uso di un modello standard, personalizzato soltanto dalle etichette e dalle capsule: possono così recuperare anche le bottiglie di provenienza diversa, e integrarle senza problemi nella propria produzione.
Nella nostra società occidentale, i consumatori si sono abituati a trovare tutto l'anno sugli scaffali ortaggi e frutta che in passato erano disponibili soltanto in determinati periodi dell'anno. Negli ipermercati, la gamma dei prodotti proposti è più ampia che altrove.
I prodotti "cosmeticamente corretti", dai colori brillanti, perfettamente calibrati, fanno dimenticare che d'inverno un cespo di insalata di provenienza europea, prodotta in serra, comporta un consumo di combustibile equivalente a un litro di petrolio; il costo dell'energia incide per il 20- 25% sul prezzo dei pomodori francesi coltivati in serre riscaldate (4). Per la frutta e gli ortaggi di stagione provenienti dal sud della Spagna o dal Marocco non c'è stato bisogno di serre riscaldate; ma è il trasporto di questi prodotti su strada a comportare un elevato consumo di energia. Per le mele cilene, al trasporto marittimo si aggiunge quello stradale.
Alcune primizie (ad esempio i fagiolini dello Zimbabwe o del Kenya), o i prodotti tipici delle festività di fine anno, si spediscono addirittura per via aerea, per farli arrivare in tempo ai supermercati. Non vi sono statistiche per porre a confronto il costo energetico del trasporto aereo e di quello marittimo; si presuppone comunque che su un prezzo di 10-12mila lire al chilo, l'incidenza del trasporto di questi prodotti è del 25% circa. In altri termini, il consumatore paga più che altro una buona quantità di cherosene.
Nelle aree rurali, dove purtroppo gli ipermercati tendono a sostituire le botteghe e i mercati tradizionali, per rifornirsi si percorrono a volte anche 50 km, con un bilancio energetico disastroso. Di fatto, non c'è nulla di meglio di un tessuto urbano ricco di negozi e di supermercati di quartiere, dove la media dei consumatori motorizzati non supera il 9% (5). "Il collegamento tra il tipo di struttura che si frequenta e la modalità di trasporto è evidente, spiega Erwan Segalou, ricercatore presso il Laboratorio dell'economia del trasporti.
Nelle città dotate di un tessuto di negozi di quartiere, il numero degli spostamenti in auto è minore, come dimostra chiaramente un confronto tra Marsiglia e Bordeaux".
Rivivere il proprio quartiere Nella prima di queste due città, la piccola distribuzione alimentare (drogherie, panetterie, piccoli supermercati) rappresenta il 27,3% degli esercizi commerciali, contro il 22,4% della seconda, che con i suoi 49 ipermercati risulta tra le più attrezzate di tutta la Francia.
Ma a Bordeaux si usa l'automobile per il 67% dei tragitti finalizzati agli acquisti, contro il 48% a Marsiglia, dove gli spostamenti a piedi rappresentano il 44% (contro il 28% a Bordeaux). Se è vero che solo il 6% dei marsigliesi usa i mezzi di trasporto pubblici per andare a fare la spesa, a Bordeaux questa percentuale scende al 4%. Quanto alla distanza media degli spostamenti in auto dei consumatori (sola andata), il rapporto è di 9,3 km a Bordeaux contro 6,1 a Marsiglia (6).
Un'alternativa allo spostamento in auto è quella di recarsi a piedi a un supermercato di quartiere e chiedere la consegna a domicilio.
Questo servizio in genere è gratuito, quando la spesa supera un determinato importo. E se i furgoni effettuano le consegne a vari clienti nell'ambito di un solo giro (escludendo quindi i viaggi tra il negozio e il cliente, con ritorno immediato), questa modalità di trasporto presenta un buon bilancio energetico; meglio ancora se si usano veicoli non inquinanti (elettrici, a Gpl o diesel). È l'esatto contrario di quanto avviene ad esempio nel caso delle pizze consegnate a domicilio: per 400 grammi di merce, il ciclomotore usato per il recapito immediato compie un viaggio di andata e ritorno (quest'ultimo a vuoto). Gli acquisti tramite Internet non sembrano costituire un'alternativa più soddisfacente. Certo, il consumatore evita il tragitto in macchina fino all'ipermercato; ma la scelta di prodotti alimentari freschi o di capi di vestiario sullo schermo di un computer resta un'operazione delicata. D'altra parte, lo scopo del commercio via Internet non è certo quello di ridurre l'inquinamento e le nocività; al contrario, questa modalità di comunicazione incoraggia la richiesta di consegne immediate, con conseguente maggior consumo di carburante. "L'aumento degli ordinativi in rete è ancora piuttosto lento, spiega Laurent Taieb, del Centro studi della Cat Conseil Logistiques. Le imprese si servono delle infrastrutture dei servizi postali e usano le eccedenze di spazio dei Tir. In media, la capacità di trasporto dei camion è utilizzata solo al 50%. Ma nel prossimo futuro, l'impatto di Internet sulle consegne urbane sarà notevole, benché per ora questo aumento non sia quantificabile". Tutti i costruttori di autocarri prevedono un incremento della domanda di furgoni di piccole e medie dimensioni, cioè dei veicoli da trasporto più utilizzati nelle aree urbane.
Di fatto, l'ideale è senz'altro andare a fare la spesa a piedi. È un modo per svolgere un minimo di attività fisica, ritrovando il piacere di passeggiare nelle strade commerciali, di guardare le vetrine, di salutare i vicini ... Un modo per far vivere un quartiere.
note:
(1) Sintesi di vari documenti dell'agenzia per l'ambiente e la gestione dell'energia (Agence de l'environnement et de la maîtrise de l'énergie, Ademe), Parigi. Questo rapporto da 1 a 4 si riduce quando il consumatore accorpa i propri spostamenti in automobile: quando, ad esempio, fa gli acquisti settimanali al ritorno dal lavoro.
(2) Formes de distribution commerciale et génération des déplacements, Beauvais Consultants, Tours, dicembre 97.
(3) Fonte: Federazione delle Camere sindacali dell'industria del vetro, Parigi.
(4) Solidarietés agricoles et alimentaires (Solagral), "Les marchés de fruits et légumes dans le monde", Nogent-sur-Marne, 1997.
(5) Ademe. La media del personale occupato nei supermercati dei centri urbani, calcolata in proporzione alla merce trattata, è quasi due volte quella degli ipermercati: 8,95 contro 4,63 dipendenti a tempo pieno ogni 1.000 tonnellate di merce trattata (dati Beauvais Consultants, op. cit.)
(6) Erwan Segalou, "Studio comparativo della mobilità legata agli acquisti in tre agglomerati urbani: Bordeaux, Digione e Marsiglia"; documento di lavoro interno del LET, Lione, febbraio 2000.