Il vertice dell'Ifad e un rapporto Bnl documentano le iniquità dell'economia mondiale
UN MONDO DIVISO IN TRE FASCE
"Interventi subito per evitare che la povertà aumenti"
Giovanni Grasso
Roma. Un quinto degli abitanti della terra vive con meno di un dollaro al giorno, cioè in una condizione di estrema povertà. Se la comunità internazionale non interverrà al più presto, entro il 2015 il numero dei poveri salirà a 2 miliardi. Sono queste le cifre sulle quali si confrontano i delegati di 162 Paesi che partecipano a Roma al 25mo Consiglio dei governatori dell'Ifad, l'agenzia delle Nazioni Unite nata per favorire lo sviluppo nelle regioni rurali. Una riunione che si è aperta nel segno della preoccupazione: il presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo, ha infatti rilevato che l'obiettivo fissato dalla comunità internazionale di dimezzare i poveri del mondo entro il 2015 "rimane ancora un miraggio". "Il permanere dell'estrema povertà in un largo segmento della popolazione mondiale - ha rilevato il presidente nigeriano - a fianco dell'arricchirsi di una piccola minoranza, è un fatto eticamente inaccettabile, socialmente ingiusto e politicamente pericoloso".
E il presidente dell'Ifad, Lennar Bage, ha sottolineato con preoccupazione che "l'investimento e l'assistenza allo sviluppo si sono dimezzati fra il 1988 ed il 1999 nonostante che la povertà fosse al centro dell'attenzione. In parallelo, sono caduti gli investimenti interni pubblici in agricoltura. È stata una dura sorpresa". Alla riunione il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi ha inviato un suo messaggio, nel quale ha sottolineato che il nostro Paese "non vuole essere un testimone passivo della tragedia di centinaia di milioni di esseri umani e di intere parti del globo. La comunità internazionale ha le risorse e la capacità di porvi termine". Mentre il sottosegretario agli Esteri Mario Baccini ha ricordato che la lotta alla fame e alla povertà è una delle priorità del governo italiano.
Roma. La tecnologia come fattore di crescita economica, ma anche di crescente divario tra Paesi ricchi e poveri. La globalizzazione come acceleratore dello sviluppo che, però, lascia fuori un quarto di popolazione mondiale, condannata all'isolamento e alla miseria. È questa la radiografia dell'economia mondiale che emerge, con alcune luci e molte ombre, da un approfondito studio della Banca Nazionale del Lavoro, fresco di stampa, intitolato "Ricchezza delle nazioni, globalizzazione e sviluppo".
Legando e analizzando alcuni parametri, tra cui il prodotto interno lordo pro capite, la dinamica delle esportazioni e la diffusione di televisori, computer o telefoni cellulari, gli esperti della Bnl disegnano un pianeta diviso sostanzialmente in tre fasce: i Paesi più ricchi, le nazioni in via di sviluppo per i quali il progresso tecnologico e la globalizzazione hanno rappresentato una occasione di crescita e che assicurano ai propri cittadini un livello più o meno accettabile di vita e, infine, Stati che, per le loro precarissime condizioni economiche e sociali, sono sempre più esclusi dai nuovi processi produttivi e allargano a dismisura il loro gap con i Paesi più forti.
La situazione del globo all'apertura nel nuovo secolo, è scritto nel rapporto curato da Elio Lanceri, "si presenta con un prodotto lordo totale di 36.000 miliardi di dollari e sei miliardi di abitanti. In termini economici, il Paese più grande risulta essere gli Stati Uniti, con un prodotto lordo di 10.000 miliardi di dollari, pari al 28 per cento del totale. Segue l'Unione europea, con il 25 per cento, il Giappone con l'11, la Cina con il 5. Insieme a Russia, Canada, Brasile e India, questo gruppo di Paesi rappresenta il 76 per cento del totale. All'opposto, vi sono nel mondo ben 45 piccoli Paesi, ciascuno con un Pil inferiore ai 10 miliardi di dollari".
Anche la distribuzione tra ricchezza e popolazione è molto significativa per capire le dimensioni del divario tra le tre diverse fasce di nazioni: per quanto riguarda il prodotto interno lordo pro capite, infatti, vi sono 42 Paesi - con poco meno di due miliardi persone - che lo hanno inferiore a mille dollari l'anno; seguono 76 nazioni in cui il Pil pro capite varia tra i 1.000 e i 10.000 dollari e che raggruppano 3 miliardi e cento milioni di abitanti; infine i 32 Stati di testa, che hanno un Pil pro capite superiore ai 10.000 dollari e una popolazione complessiva inferiore al miliardo.
I dati assoluti sono particolarmente illuminanti: in cima alla classifica troviamo la Svizzera, con un prodotto interno lordo pro capite di 37.406 dollari annuali; in fondo la Repubblica Democratica del Congo con appena 163 dollari, con un rapporto di uno a 230. Nel gruppo di testa delle nazioni di "serie A" troviamo la Norvegia, la Danimarca, gli Usa, la Svezia, il Giappone, la Finlandia, il Canada e l'Olanda. L'Italia si trova al diciannovesimo posto a quota 21.000, preceduta da Germania e Francia (28.000) e Gran Bretagna (22.000) e seguita da Spagna (15.500) e Grecia (11.500). Il gruppone centrale si apre con nazioni Ue come il Portogallo (9.000), l'Europa orientale (Bulgaria, Romania), la Turchia, la Siria, i più grandi Paesi dell'America Latina (Argentina, Brasile, Messico, Cile) e si chiude con la Cina (1.300), le Filippine e la Costa d'Avorio, con poco più di mille dollari.
Infine, la classifica di coda, con quote di poco inferiori ai mille dollari (è il caso dell'India: 755), che si chiude con Stati africani tipo l'Eritrea, il Mozambico, il Burundi, il Ciad e l'Etiopia, in cui il rapporto tra il Pil e il numero di abitanti è minore di 300 dollari annui. Quest'ultima fascia, secondo il servizio studi della Bnl, "rappresenta una grande area di povertà. In alcuni di questi Paesi, per ogni mille persone vi è un solo telefono, una sola auto, nessun computer, per non parlare della situazione delle scuole, degli ospedali e così via". Mentre invece nel gruppo delle 25 nazioni più ricche ci sono in media, per ogni mille abitanti, 550 televisori, 550 telefoni, 450 automobili, 420 cellulari e 320 personal computer.
È interessante notare come l'avvento dell'industrializzazione e della tecnologia abbia contribuito, nel lunghissimo periodo, ad allargare in modo smisurato il divario tra ricchi e poveri: "Nel 1900 il rapporto tra il Paese più ricco (Inghilterra) e il più povero (Ghana) era di uno a dieci...". Ora, come abbiamo visto, è di uno a 230. La situazione, per le nazioni più disastrate, è quella di un cane che si morde la coda: bloccate "a livelli di sussistenza senza alcuna possibilità di progresso", mentre "in cima alla scala la tecnologia continua ad avanzare, la produttività e il reddito aumentano".
Fonte: Avvenire 20/2/2002