Materiali per Genova

GLOBALIZZAZIONE FASE DUE

Riccardo Petrella

 

Nell'evoluzione della globalizzazione capitalista degli ultimi cinquanta anni, si possono identificare due fasi: la fase dell'affermazione concentrata e la fase del consolidamento diffuso. La prima va dagli anni '50 alla fine degli anni '70, la seconda, in corso, copre l'ultimo ventennio.

Fase uno: l'affermazione concentrata Questa fase si sviluppa in un contesto determinato dalle logiche e dai rapporti di forza imposti dalla `guerra fredda' tra le due superpotenze militari (Stati Uniti e Unione Sovietica) alimentata, anche, dallo scontro ideologico e culturale per la supremazia mondiale tra il sistema capitalista, autodefinitosi libero e democratico (nelle sue diverse configurazioni: dagli Stati Uniti ai paesi scandinavi passando per l'Italia e per l'Olanda…), e il sistema socialista o comunista, autoproclamatosi rivoluzionario e progressita (anch'esso nelle diverse concretizzazioni: dalla Cina all'Urss passando per Cuba e l'Ungheria…).

In questa fase, il sistema capitalista `occidentale' – nato dallo sfacelo causato dalla crisi del capitalismo finanziario statunitense (1929-1932) e dalla seconda guerra mondiale (1940-1945) – è stato mosso soprattutto da due logiche di potenza: quella dell'attore più forte in seno al mondo `occidentale', gli Stati Uniti; e quella degli altri due principali attori dell'`Occidente', l'Europa occidentale e il Giappone.

La logica degli Stati Uniti (lato `poteri pubblici') – confermati dalla guerra come la prima potenza mondiale dell'Ovest, principale simbolo della `bontà' del sistema capitalista (`corretto' secondo le quattro principali varianti dello Stato del Welfare) (nota 1) e presenti militarmente in tutti i continenti del mondo – mira a difendere e a rafforzare le loro `leadership' (nota 2) in seno al mondo occidentale e, forte dell'unità del mondo occidentale attorno al `leader' nella lotta contro il comunismo, a sconfiggere la potenza dell'Unione Sovietica e a evitare che la Cina diventasse un nuovo potenziale concorrente alla leadership mondiale.

La logica del mondo finanziario e industriale degli Stati Uniti è quella di assicurarsi l'entrata senza grandi difficoltà nei mercati europei e giapponesi in via di ricostruzione ed espansione. Gli anni '50 e '60 diventano, in effetti, scenario di un boom degli investimenti statunitensi all'estero e della conseguente multinazionalizzazione delle imprese americane e della loro conquista di posizioni forti sui mercati europei, giapponesi, asiatici e latino-americani. È l'epoca d'oro di Ibm, Procter&Gamble, Gm, Ford, Itt, Esso… La logica degli europei e dei giapponesi (dalla parte dei poteri pubblici e privati) è di recuperare terreno nei confronti degli Stati Uniti. Il Giappone riesce a ottenere notevoli risultati positivi, conquistando negli anni '70 una posizione di leader mondiale in importanti settori di beni tecnologici e di beni di consumo, approfittando delle difficoltà americane causate dal Vietnam. L'intricata natura delle connessioni/integrazioni tra poteri pubblici e poteri privati proprie della società giapponese ha permesso al `capitale giapponese' di partecipare alla globalizzazione capitalista in posizioni sempre più forti. Gli europei occidentali contano soprattutto sull'integrazione doganale ed economica per riconquistare la potenza perduta anche a seguito della decolonizzazione. Malgrado le difficoltà incontrate e le crisi sofferte, l'integrazione economica permette al capitale europeo di rinnovarsi (vedi ristrutturazione dell'industria siderurgica) a costi sociali elevati, e di mantenersi su posizioni di forza (nucleare, aerospaziale, chimica, telecomunicazioni, meccanica di precisione…). Grazie al processo di integrazione, gli europei cercano anche (Convenzione di Lomè) di non perdere il controllo delle loro ex-colonie.

In questo contesto di concordanze quasi totali (lotta contro `l'Est') e, in paritempo, di malcelata opposizione di interessi sul piano militare, economico e tecnologico tra Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone, la globalizzazione capitalista del mondo occidentale avanza sottoforma di `triadizzazione' dell'economia `che conta nel mondo', all'insegna:

a. di una intensificazione dell'internazionalizzazione degli scambi commerciali, dei mezzi di trasporto e delle comunicazioni; b. della multinazionalizzazione crescente delle imprese e delle strutture di produzione; c. (a partire dalla fine degli anni '60 negli Stati Uniti e '70 in Europa) della critica e dell'inizio delle politiche di riforma e smantellamento dello Stato del Welfare e, quindi, della ridefinizione dei rapporti capitale/lavoro (in tutti i suoi aspetti) secondo una logica favorevole al capitale privato; d. di una forte competizione tecnologica e commerciale tra i vari attori del capitale occidentale sullo sfondo di una generalizzazione della strategia della competitività nazionale (tuttora persistente).

Le quattro dinamiche sopraindicate hanno contribuito:

– ad accelerare e intensificare importanti processi di razionalizzazione, ristrutturazione e concentrazione industriale e finanziaria in tutti i settori, tanto che alla fine degli anni '70 si parla della formazione di oligopoli mondiali nell'industria chimica, petrolifera, aeronautica, automobilistica, agro-alimentare; – a far ritenere come inevitabili le spinte in favore della liberalizzazione del commercio, dei mercati e dei flussi finanziari, e della deregolamentazione dello Stato. È il periodo in cui si comincia anche a sentire in maniera pesante la pressione in favore della privatizzazione.

In particolare, la competizione tecnologica come strumento della strategia di competitività nazionale:

– ha rinforzato i processi di multinazionalizzazione delle imprese in una logica di `conquista mondiale'; – ha dato maggiore potere decisionale al capitale privato in materia di fissazione delle priorità economiche e sociali; – ha spiazzato i paesi del Terzo Mondo, appena emersi dal processo di decolonizzazione, amplificando i `terms of trade' sfavorevoli nei loro confronti.

Alla fine della fase uno, lo stato della globalizzazione capitalista è caratterizzato:

a. dall'indebolimento crescente del potere politico formale, nazionale e internazionale. A livello mondiale si cominciano a intravedere i segni premonitori di una crisi del multilateralismo intergovernativo come strumento di organizzazione delle relazioni mondiali; b. dall'affermazione del potere delle imprese multinazionali, specie dopo il crollo nel 1971-73 del sistema finanziario internazionale nato nel 1945 (Bretton Woods); c. dalla scomparsa sul piano ideologico e socio-culturale del `socialismo reale' come effettiva alternativa credibile al capitalismo occidentale; d. dalla ripresa del potere di controllo dei paesi `sviluppati' sul divenire dei paesi considerati ormai `sottosviluppati' (esplosione dell'indebitamento dei paesi `sottosviluppati' e imposizione, a partire dagli anni 1978-1979 delle politiche di aggiustamento strutturale sotto la direzione del Fmi e della Banca mondiale).

Fase due: il consolidamento diffuso La fase due inizia, se così posso suggerire, in coincidenza con l'arrivo al potere nel 1979 di Margaret Thatcher e nel 1980 di Ronald Reagan. Essa vede il consolidamento in tutto il mondo del potere acquisito dal capitale privato negli anni '60 e '70. In questa fase si assiste alla capacità delle forze legate al capitale privato di far accettare alle altre principali forze sociali e di potere i princìpi fondatori e gli obiettivi del capitalismo come princìpi e obiettivi della società contemporanea; ciò con sfumature e gradazioni diverse secondo i paesi, ma in tutti i paesi, compresi il Vietnam e la Cina (ad eccezione della Corea del Nord e di Cuba). La formulazione da parte della Cina della richiesta di diventare membro dell'Omc illustra perfettamente il cammino compiuto dalle forze del capitale nel corso di questa fase ventennale. Ormai in nessun paese i dirigenti pubblici e privati difendono un'altra narrazione del mondo e della società, differente da quella delle società capitaliste di mercato. Si è realizzato il regno, come già alcuni anni fa l'ha definito il direttore di "Le Monde diplomatique", del `pensiero unico'. In alcuni paesi i dirigenti di tradizione socialista, socialdemocratica o cristiana progressista tentano di mantenere qualche distanza e di affermare una parvenza di indipendenza-opposizione al capitalismo argomentando su supposte differenze di sistema tra economie di mercato (che pretendono di rigettare), economia con mercato (che dichiarano di accettare) e società di mercato (che affermano di rifiutare). Resta il fatto che, qualunque sia il contenzioso sulle parole, le politiche da essi applicate sono quelle che hanno condotto dappertutto alla diffusione e al consolidamento della globalizzazione capitalista di mercato.

Il consolidamento diffuso, anzitutto di natura ideologica, della globalizzazione capitalista è visibile per il fatto che le classi dirigenti al potere nel mondo credono nei tre princìpi fondatori della società capitalista, e cioè:

– il primato dell'individuo: la società, si afferma, è basata sugli individui. Essa è un insieme di transazioni inter-individuali dove ciascun individuo cerca, legittimamente, di minimizzare i costi e massimizzare i benefici al fine di ottimizzare la sua utilità individuale. Il mercato è il dispositivo naturale che permette, in maniera più efficace di ogni altro, di regolare le transazioni inter-individuali per assicurare a ciascuno di ottimizzare la sua utilità. Da qui, la `società di mercato'.

– la centralità dell'impresa: l'impresa è l'istituzione che è la più adatta a operare nel mercato e a organizzare le transazioni inter-individuali (tra produttori, investitori, consumatori, azionisti, scienziati, tecnici…) in maniera tale da promuovere la migliore utilità per tutte le parti implicate (i famosi stake holders) grazie alla creazione di nuova ricchezza e di profitto.

– Il capitale come parametro di definizione del valore: come misurare l'utilità? La risposta consiste nel dire che è il capitale finanziario a svolgere il ruolo di paramentro (universale) di definizione del valore. Tutto ciò che contribuisce a creare plusvalore in termini di capitale finanziario è utile. Un bene, un servizio, ha meno valore se è minore il suo contributo alla creazione di plusvalore.

Il consolidamento diffuso è anche osservabile sul piano delle strategie politiche da seguire con l'adesione quasi generale ai `sei comandamenti' delle `nuove tavole della legge' della globalizzazione capitalista, che sono:

Primo: devi diventare globale. Non avrai salvezza al di fuori o contro la globalizzazione; Secondo: liberalizzerai tutti i mercati al fine di creare il grande mercato unico mondiale; Terzo: non lascerai più allo Stato il potere di regolamentazione dell'economia; Quarto: tutto al privato: promuoverai la privatizzazione di tutto ciò che è privatizzabile; Quinto: devi essere innovatore tecnologico senza sosta, ad ogni momento, dappertutto; Sesto: sii il migliore, il più forte; sii il vincitore.

È su queste basi che la fase due ha sacralizzato il Diritto di Proprietà Intellettuale quale principio universale di riconoscimento e di garanzia della proprietà privata del capitale e del potere attribuito al capitale privato di diventare proprietario di qualsiasi bene materiale e immateriale. Nel corso di questa fase, ogni cosa è stata trasformata in merce, la persona umana è stata ridotta a una `risorsa umana'. Il commercio è stato accettato come `il luogo' e il quadro di definizione generale delle regole relative all'insieme delle relazioni economiche, sociali, culturali. Tutto è rapportato al commercio e alle sue logiche. Da qui l'importanza predominante assunta dal Wto (World Trade Organization).

La globalizzazione capitalista fase due è riuscita a far accettare come un fatto `naturale', economicamente comprensibile, che la crescita delle ineguaglianze socio-economiche è inevitabile, e che non è affatto realistico pensare che sia possibile sradicarle. I dominanti attuali affermano che le ineguaglianze possono essere solamente attenuate e ridotte parzialmente e che esse sono legittime e accettabili nella misura in cui il sistema capitalista garantisce l'uguaglianza di opportunità.

Infine, l'acquisizione da parte degli Stati Uniti dello statuto di unica superpotenza mondiale egemonica consacra politicamente la natura di imperium del capitalismo mondiale.

Opportunità e vincoli per i promotori di un'altra mondializzazione.

Che `deve' fare ora il `popolo di Seattle', di Washington, di Praga, di Nizza, di Napoli, di Bangkock, di Barcellona, di Québec, di Göteborg e di Genova?

Da alcuni anni, `questo popolo' – estremamente diversificato, composto da popolazioni molto diverse tra loro, portatrici di concezioni, valori, metodi e comportamenti anche difficilmente conciliabili – è riuscito a vincere due battaglie contro la `mondializzaizone' promossa dalla globalizzazione capitalista; proprio al momento in cui i produttori di questa mondializzazione hanno creduto, sentendosi abbastanza forti, di potere imporre senza più tanti limiti la loro narrazione del mondo.

La vittoria degli oppositori è stata di grande rilievo simbolico perché relativa a due elementi centrali della globalizzazione capitalista: la finanza e il commercio. L'abbandono del progetto Ami (Accordo multilaterale sugli investimenti) nel settembre 1998, sotto la pressione della contestazione popolare, e l'annullamento sine die – a seguito anche dell'opposizione manifestata dai rappresentanti di molti paesi `in via di sviluppo' ( ! ) – dei negoziati del Wto a Seattle (inizio dicembre 1999), hanno rappresentato due sconfitte particolarmente dolorose per i donanti. Soprattutto perché hanno contribuito a de-credibilizzare la `mondializzazione della globalizzazione capitalista' non solo sul piano politico ed economico ma anche sul piano etico, contribuendo, in pari tempo, a credibilizzare le tesi dell'`altra mondializzazione'. Si tratta di un'opportunità considerevole. La presa di coscienza di questa opportunità ha permesso la tenuta e il successo del Forum sociale mondiale di Porto Alegre.

La seconda opportunità, apertasi sempre negli ultimi due-tre anni, è la consapevolezza acquisita dall'opinione pubblica dei vari paesi del mondo, a seguito delle grandi catastrofi tecnologiche (`mucca pazza', pollo alla diossina, Ogm...) e ambientali (cambiamento climatico…) di questi anni, che non è più né umanamente saggio né socialmente ragionevole continuare a usare la (e abusare della) scienza e la tecnologia, così come il Pianeta, al solo scopo dell'arricchimento finanziario dei pochi, `solo per fare più denaro'. In questo caso, si è assistito alla credibilizzazione dell'inevitabilità e dell'urgenza di un `altro' sviluppo, di un'altra economia.

Certo, è bene restare con i piedi per terra e non lasciarsi andare a troppe speranze sul breve termine. La cosa è diversa se si ragiona su un orizzonte temporale di 15-20 anni. In questo caso è legittimo considerare che le opportunità sono potenzialmente significative. Il che significa che è necessario identificare e misurare – in relazione anche all'opposizione al G8 di Genova e soprattutto in vista di Porto Alegre 2 – i vincoli da rispettare e superare per far sì che le azioni intraprese oggi possano far maturare nei prossimi 5-10 anni le condizioni che permetteranno di costruire l'altra economia, l'altra mondializzazione.

A mio parere, i vincoli da assumere, oggi, sono tre:

– il vincolo della narrazione: non si può costruire un altro mondo senza una narrazione della società e del divenire differente da quella bandita dalla globalizzazione capitalista. Il lavoro di ricerca, di dibattito, e di costruzione sulle parole, sui simboli, sulle idee, sui progetti deve essere condotto sistematicamente a tutti i livelli delle nostre organizzazioni e concentrarsi sempre di più sulla definizione di un altro ordine del giorno mondiale; – il vincolo della `Prima Planetaria': è urgente riconoscere che i dominanti, il capitale, sono riusciti a imporre la loro narrazione perché si sono organizzati sul piano mondiale. Si consideri, al contrario, l'esempio dei sindacati dei lavoratori, sempre più `nazionali' e intrappolati nell'accettazione della competitività nazionale. Non vi sarà reale alternativa alla globalizzazione capitalista se le forze dell'opposizione non daranno vita gradualmente e con accortezza a un processo unitario di coordinamento reale con l'obiettivo di far maturare una `Prima Planetaria' il cui compito consisterà precisamente nel favorire l'emergenza di un altro ordine del giorno mondiale; – il vincolo dell'alterità: l'altra mondializzazione non può essere che il risultato del riconoscimento e della valorizzazione della diversità/alterità in quanto dimensione centrale della mondialità della condizione umana.

La mia proposta per quanto riguarda specificamente il vincolo della narrazione è di identificare come assi centrali dell'altro ordine del giorno mondiale, imperniato sul `diritto alla vita per tutti':

– l'acqua per tutti, l'acqua primo bene comune dell' Umanità e della Terra; – l'educazione dappertutto e per tutti, l'educazione primo servizio comune mondiale; – la democrazia mondiale, la nuova `politeia' dell'altra mondializzazione.

Riccardo Petrella è professore all'Università Cattolica di Lovanio, dove tra l'altro tiene un corso su "La mondializzazione dell'economia e della società".

Indirizzo elettronico: riccardo.petrella@cec.eu.int

note:

1 Roosveltiana (Usa), bismarckiana (Germania), keynesiana-Beveridge (Inghilterra) e scandinava.

2 È questo il termine sinteticamente usato dai dirigenti degli Stati Uniti allorché parlano del ruolo del loro paese nel contesto mondiale.

 

Fonte: La Rivista 8/2001