"GOVERNANCE"CONTRO AUTOGOVERNO.

Crisi del liberismo e movimento

di Susan George

È GIUSTO AVERE un atteggiamento di diffidenza quando si sente parlare di "gestione" [governance] da parte dei sostenitori della globalizzazione; si vorrebbe poterla applicare proprio nei loro confronti. Quando la Banca mondiale e il Fmi usano il termine "gestione", per esempio, intendono semplicemente un'altra serie di condizioni da aggiungere alla lunga lista di quelle già presenti nei programmi di aggiustamento strutturale.

Come si può parlare di "gestione" quando la globalizzazione neoliberista, oltre a escludere una larga fascia dell'umanità e a portare avanti una politica che deliberatamente indebolisce il potere statale, comporta il caos economico e la disoccupazione di massa perfino in quelle che furono definite le "tigri asiatiche", cioè paesi come la Corea, la Thailandia o l'Indonesia?

Dove sarebbe la gestione, quando il Fondo monetario pretende di ignorare che i prestiti in valuta forte alla Russia significano depredare quel paese di miliardi di dollari? Nello scorso decennio, sotto la direzione del Fmi e della Banca mondiale, l'economia russa ha subìto un calo nettissimo e il numero degli abitanti in condizioni di povertà ha superato i sessanta milioni, una cifra da capogiro, rispetto ai due milioni del passato. Analoghi disastri sono avvenuti in Asia e in America latina, mentre i cosiddetti "paesi di transizione" sono la dimostrazione che, contrariamente a quanto sostenuto dal mito neoliberista, i prestiti ad alto indebitamento e gli investimenti incontrollati nei fondi comuni portano alla rovina, non certo alla prosperità.

Nonostante tutte le chiacchiere fatte due o tre anni fa sulla "nuova architettura finanziaria" non è stato creato nessun sistema di tutela; al momento in cui sto scrivendo siamo tutti in attesa del crollo finale dell'Argentina, seguito da chissà quali e quanti disastri. Il Fmi ha stanziato 90 miliardi di dollari come operazione di salvataggio, continuando nella solita politica di voler garantire i creditori a ogni costo; il finanziamento non rispetta il principio giuridico del "debito odioso" e costringe i debitori a onorare gli impegni contratti perfino da precedenti regimi, che siano totalitari, militari o apartheid.

Di recente il Fmi ha assunto una posizione più sfumata, ma fino alla crisi economica del 1997-98 la sua idea di "gestione" - a proprio vantaggio - si è limitata al tentativo di cambiare il suo statuto, rimasto inalterato dal 1944, proponendo di eliminare l'articolo VI, 3, che riconosce in modo specifico che "i membri possono esercitare i controlli necessari a regolamentare i movimenti di capitali internazionali": in altre parole, vorrebbe che la totale libertà di circolazione dei capitali divenisse una condizione per entrarne a far parte. Ha, inoltre, ignorato l'articolo VI, 1, che afferma che "un membro non può utilizzare le risorse del Fondo per far fronte a una grossa o perdurante fuga di capitali" - una clausola che in realtà ha costretto molti paesi membri a fare esattamente il contrario.

In questo modo, i creditori occidentali, anche se avventati o avidi, hanno ottenuto le loro garanzie. Il flusso di capitali senza alcuna restrizione e la fluttuazione delle valute in qualsiasi situazione politica ed economica rappresentano un paradiso per gli speculatori ma invariabilmente un danno per la gente comune.

Da parte sua, il movimento dei cittadini chiede con forza una nuova architettura economica che sia veramente tale. Gli investitori imprudenti dovrebbero essere obbligati ad assumersi la responsabilità dei loro atti: non è forse vero che il capitalismo significa rischi e responsabilità? Il Fondo dovrebbe tornare a essere come lo intendeva Keynes: un meccanismo di aiuto ai paesi che si trovano temporaneamente con dei problemi nella bilancia dei pagamenti. Dovrebbe fornire consulenze su come evitare di contrarre debiti futuri in valuta forte e impedire il protrarsi del pagamento dei debiti oltre la scadenza, cancellando quelli dei paesi più poveri - e tutti i debiti odiosi - e aprendo procedure di bancarotta e di riduzione per molti altri. Se non è possibile una riforma del Fmi, allora il Fondo monetario internazionale va senz'altro abolito, istituendo al suo posto un nuovo organismo per i prestiti internazionali. Potrebbe anche essere necessario istituire più Fondi locali, come proposto dal Giappone per il continente asiatico nel corso della crisi economica, ma gli Stati uniti hanno immediatamente bloccato l'iniziativa giapponese e il Fondo obbedisce alle loro direttive.

Contro il debito

Le campagne contro il debito sono quelle che proseguono da più tempo. Il G8 ha riconosciuto il movimento e non può certo sostenere di non essere stato informato dei temi su cui questo dà battaglia. E quali sono state le sue reazioni riguardo al debito del Terzo mondo? Nonostante anni di attività e l'impegno di centinaia di migliaia di persone, che hanno raccolto letteralmente decine di milioni di firme, una sensibile riduzione del debito per i paesi più poveri o un suo alleggerimento per quelli appena più ricchi resta una vaga speranza che sembra allontanarsi sempre di più. A una conferenza sulle politiche sul debito tenuta a Lima nel 1988, il noto economista peruviano Javier Iguiniz osservò con quella che sembrava una battuta: "Non cancellate quello che non stiamo pagando!". E finora "l'alleggerimento del debito" tanto strombazzato dai G8 ha significato in gran parte proprio la cancellazione di quello che non è stato pagato. Poiché la maggior parte dei paesi poveri, nonostante gli enormi sacrifici delle loro popolazioni, non sono tuttora in grado di ripagare gli interessi teoricamente dovuti, questi vengono sommati al resto; cancellarli significherebbe che il debito cresce più lentamente, non che gli oneri sono diminuiti anno dopo anno. Finora, secondo la Banca mondiale e il Fmi, solamente cinque paesi hanno meritato un alleggerimento in base alle rigide condizioni dell'Hipc [Highly indebted poor countries, paesi poveri fortemente indebitati]. In generale è stato cancellato meno del 5 per cento del debito totale.

Le regole del commercio

Chi lavora da anni sull'argomento è arrivato spesso alla conclusione che il debito non è affatto un problema finanziario o economico, ma semplicemente politico: è il miglior strumento di controllo del nord nei confronti del sud [e ora dell'est] che sia mai stato escogitato, di gran lunga superiore al colonialismo, che richiede un esercito e una pubblica amministrazione e suscita le critiche della stampa. Il controllo per mezzo del debito non solo non ha bisogno di infrastrutture, ma costringe addirittura la gente a pagare per essere oppressa. I programmi di aggiustamento strutturale sono spesso a vantaggio delle locali élites di potere, liete di collaborare perché viene loro offerta l'opportunità di pagare salari ridottissimi e acquistare a buon prezzo gli enti privatizzati. Il debito ha inoltre ulteriormente frammentato politicamente i paesi indebitati, rendendoli molto meno pericolosi per gli interessi del nord. Organizzazioni un tempo importanti come il G7 o iniziative come il "Nuovo ordine economico internazionale" portate avanti dai paesi del Terzo mondo in ambito Onu, sono ormai morte o moribonde.

Il movimento dei cittadini considera l'annullamento del debito una condizione essenziale per stabilire rapporti più equi tra nord e sud; secondo l'opinione di molti, dovrebbe essere accompagnato dalla restituzione della ricchezza sottratta al sud da decenni se non da secoli. Gli istituti bancari privati e i creditori pubblici - multi e bilaterali - dovrebbero essere obbligati a partecipare: sono già stati ripetutamente ripagati.

Per quanto riguarda il commercio internazionale, il movimento è deciso a trasformare la Wto. Contrariamente a quello che si ritiene sia tacitamente ammesso, tutti concordano sul fatto che è necessario stabilire delle regole per il sistema di commercio internazionale. Il problema è chi le stabilisce e a beneficio di chi. È fin troppo facile dimostrare che sono a vantaggio delle società transnazionali e a detrimento di tutti gli altri settori della società.

L'Accordo sul commercio nel settore dei servizi General agreement on trade in services, Gats] è ritenuto particolarmente pericoloso perché offre ampie possibilità alle multinazionali di diffondersi anche nella sfera civica. Le grandi società attive nei settori dei servizi considerano l'istruzione pubblica, la salute, i trasporti, i servizi ambientali come dei giganteschi mercati, non come dei diritti e dei beni pubblici. La Wto è preoccupata, ora che un sempre più ampio numero di persone si è reso conto della posta in gioco, e accusa i suoi critici "ostili e male informati" di "diffondere fandonie per provocare il panico". Resta il fatto che i servizi essenziali, per cui le passate generazioni hanno lottato a volte anche a costo della vita, sono sotto attacco e, nelle circostanze attuali, non possono essere garantiti in maniera duratura. Il Gats limita i servizi pubblici non soggetti alle sue regole a quelli "non forniti su base commerciale né in competizione con uno o più fornitori", mentre il Consiglio dei servizi ha stabilito che questo articolo [I,3,c] "debba essere interpretato restrittivamente".

I cittadini sono diventati estremamente diffidenti nei confronti del Gats e della Wto in generale, non solo in base a questi fatti ma anche per tutta una serie di questioni quali le normative che limitano i sussidi, gli attacchi alla regolamentazione statale in molti paesi perché pone "inutili barriere al commercio", il rifiuto di prendere in considerazione il "principio cautelativo", il peggioramento del livello di qualità nella salute pubblica e nei controlli alimentari, la brevettazione delle forme di vita e dei farmaci essenziali per salvare molte vite umane [protetti per venti anni], i pericoli dell'irreversibilità e molto altro ancora. L'organismo della Wto preposto a dirimere le controversie opera in segreto e non ha obblighi nei confronti di alcuna normativa internazionale al di là delle sue proprie regole - nemmeno verso la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, o gli accordi multilaterali sull'ambiente o le convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro: la Wto è assolutamente indipendente dalle Nazioni unite e di conseguenza non è soggetto ad alcuna delle sue direttive.

Un Piano Marshall

Stranamente, mentre il mondo sprofonda sempre più nella recessione, i leaders politici non sembrano avere alcuna proposta per uscirne. La soluzione fu trovata da Keynes più di cinquant'anni fa, che la prospettò per un contesto nazionale; dopo la seconda guerra mondiale fu applicata con successo alla sfera internazionale. Si trattava del cosiddetto Piano Marshall, che rimise in piedi l'Europa facendola ridiventare un possibile partner commerciale degli Stati uniti.

Al giorno d'oggi, due sono i modi per far ripartire l'economia mondiale secondo le proposte di Keynes. Uno è investire in maniera massiccia a livello internazionale per la conservazione e la salvaguardia dell'ambiente; l'altro è smettere di escludere dall'economia mondiale i miliardi di persone lasciati fuori dalla globalizzazione delle multinazionali. Il Programma di sviluppo delle Nazioni unite sostiene che basterebbero all'incirca 90 miliardi di dollari l'anno per garantire un livello di vita minimo - un'alimentazione sufficiente, acqua pulita, abitazioni, servizio sanitario e istruzione di base - a tutta la popolazione del pianeta. Diciamo pure che il programma minimo più alcuni progetti di protezione ambientale costerebbero 200 miliardi di dollari l'anno per dieci anni. Nel mondo di oggi rappresenta una cifra irrisoria.

È inutile sperare che gli Aiuti ufficiali allo sviluppo [Official development aid, Oda] possano fare qualcosa in merito: quelli da parte dei paesi dell'Ocse sono precipitati al 5 per cento l'anno, dimostrando che le preoccupazioni del nord per il sud erano più che altro un corollario della guerra fredda - adesso certi interessi strategici non esistono più. L'obiettivo dell'Onu di arrivare allo 0,7 per cento è una pia speranza: secondo il Comitato di assistenza allo sviluppo dell'Ocse, gli Oda attualmente rappresentano un mero 0,22 del Pnl dei paesi membri. Gli aiuti totali da parte del G8 sono diminuiti di un ulteriore 5 per cento nel corso del 2000. Dobbiamo smettere di far finta che le cose cambieranno davvero quando arriveranno i contributi stanziati dai bilanci dei vari paesi e andare a cercare i soldi dove sono veramente, cioè nei mercati finanziari internazionali, nei paradisi fiscali e nei forzieri delle società multinazionali.

Un secolo fa, un pugno di ardimentosi sottopose all'attenzione pubblica le ingiustizie esistenti nei paesi ora divenuti ricchi. La situazione della sanità e dell'istruzione pubblica, l'analfabetismo, le drammatiche condizioni abitative, la criminalità, il tasso di mortalità infantile nei quartieri poveri di Londra e New York, erano paragonabili sotto ogni aspetto a quelli che ritroviamo al giorno d'oggi in molti paesi del Terzo mondo. Alla fine, fu riconosciuto che situazioni del genere non erano solo scandalose ma rappresentavano un vero e proprio pericolo per tutta la società, inclusi i ceti privilegiati. Tra questi ultimi, molti fecero fuoco e fiamme sostenendo che la fine del mondo era vicina, tuttavia fu introdotta una graduale tassazione sui redditi per permettere la ridistribuzione della ricchezza e la partecipazione di tutti alla vita sociale.

Ora ci troviamo allo stesso crocevia: i soldi per cancellare le diseguaglianze tra nord e sud ci sono ma - e questo è nell'interesse di tutti - dovranno uscire dalla tassazione interna. Gli attuali miliardari, come la ricca New York un secolo fa, opporranno resistenza, naturalmente, ma ciò non è affatto un buon motivo per diminuire la pressione.

Movimento, non partito

Il movimento dei cittadini vuole rimanere esattamente quello che è: un movimento. Finora non ha sentito alcuna tentazione di trasformarsi in un partito politico, tanto meno in un partito "rivoluzionario"; i suoi membri provengono da un'ampia gamma di schieramenti, spesso non hanno neppure una caratterizzazione politica, e condividono la tacita scommessa che sia ancora possibile operare all'interno delle strutture esistenti. Nessuno può indovinare quanto dureranno queste convinzioni.

La continua perdita di fiducia nel modo convenzionale di fare politica è un fatto che suscita un'enorme preoccupazione. Per questo, spero di essere riuscita a esprimere almeno in parte l'urgenza di affrontare i problemi posti dal movimento: se non vengono risolti al più presto, assisteremo alla nascita di ulteriori e più profonde divisioni sociali, a un aumento della sfiducia nelle cosiddette istituzioni democratiche, a un irrigidirsi delle posizioni, a un'escalation degli scontri violenti, soprattutto da parte dello Stato. Avrà avuto ragione chi sostiene che l'attuale sistema mondiale non è capace di autoregolarsi e di riformarsi.

Genova è stata una lezione che gli attivisti hanno imparato bene. Abbiamo già visto calpestare i diritti democratici dei cittadini e impedire con una brutalità mai vista la libera espressione delle proprie idee. I governi europei che avevano giustamente protestato contro l'elezione di Joerg Haider in Austria, e momentaneamente boicottato quel paese, non hanno detto nulla sul comportamento fascista della polizia a Genova e sulle violenze commesse per ordine di un governo del G8.

Non è possibile prevedere le conseguenze del diffondersi della sfiducia nel sistema politico e nei governanti. Chi, come me, lotta per evitare che si prenda la via della repressione, della rivolta, della violenza e del caos e propone soluzioni concrete; chi spera non in una astratta "rivoluzione" mondiale ma in una specie di Welfare state universale - un obiettivo perfettamente realizzabile - sarà emarginato e trattato da estremista.

Il discredito della politica

I membri del movimento, in particolar modo i giovani, sono arrabbiati, questa è la verità. Nel sistema attuale di potere non riescono a scorgere il minimo segno di comportamenti responsabili, nemmeno un indizio che vi sia una qualche consapevolezza dei problemi di importanza vitale che minacciano gli esseri umani e la terra stessa: né da parte dei governi del G8 o della Commissione europea, né da parte di istituti multilaterali come la Banca mondiale, la Wto, le società multinazionali, i mercati finanziari e le loro numerose lobbies che predominano in tutto il mondo.

Quello che il movimento vede è l'avidità più sfrenata, il dominio del capitale sul lavoro e dei ricchi sui poveri, le regole stabilite per garantire la libertà di commercio per tutti i beni e i servizi a spese di ogni valore umano, le privatizzazioni rampanti, la demolizione dei servizi pubblici e lo smantellamento del Welfare state laddove questi esistono e l'approvazione di politiche che li impediscano nei paesi che ne sono privi, la rapida e massiccia distruzione del pianeta, del suo clima e delle creature che lo abitano. Tutto ciò in nome di una fraudolenta "efficienza", di un aumento nei profitti e nel cosiddetto "valore dell'azionista".

I membri del movimento vedono dei governanti che, una volta eletti, diventano ciechi e sordi ai bisogni dei cittadini, ma attentissimi a quelli delle grandi società; vedono una classe politica mondiale sempre più screditata e insieme diffondersi il discredito della concezione stessa della politica; vedono che lo stato è pronto a usare le armi contro di loro, oltre alle forze di polizia, i cani e i gas lacrimogeni. Vedono tutto questo, provano tanta rabbia e sono pronti a combattere.

Sto cercando di spiegare alle persone di buona volontà perché il movimento non scomparirà; perché il potere delle multinazionali di stato si irrigidisce e continuerà prevedibilmente a reprimere, infamare e criminalizzare i cittadini che esercitano i loro diritti democratici. L'idea di poter "dialogare" con un simile avversario si fa ogni giorno più difficile. Finora abbiamo assistito a un "dialogo" che continuerà fintanto che quelli che sono al potere ne stabiliranno i termini, indicheranno i partecipanti, decideranno gli argomenti da discutere e quelli da evitare e in generale rimanderanno ogni possibilità di cambiamenti reali.

La cristallizzazione della rabbia e della sfiducia, insieme alla nuova consapevolezza acquisita dal movimento, sono alla base del fenomeno "post Seattle". La rabbia è legittima quando, in un'epoca di ricchezza e di abbondanza, la vita continua a essere misera, disumana e breve per miliardi di persone; allo stesso modo è legittima la sfiducia nei governanti, che nel migliore dei casi sono timorosi di tutto, nel peggiore sono frivoli, presuntuosi e d'animo meschino.

Le loro ripetute affermazioni di voler "aiutare i poveri" suonano sempre più vacue. La proposta del G8 di Genova di stanziare una cifra irrisoria come 1,5 miliardi di dollari per la lotta all'Aids, la malaria e la tubercolosi è stata particolarmente infelice, anche perché solo poche settimane prima Kofi Annan aveva chiesto alla comunità internazionale dai 7 ai 10 miliardi di dollari soltanto per la lotta all'Aids. La comunità internazionale guidata dal G8 ha finora respinto qualsiasi possibilità di intervento in qualsiasi paese, dando ascolto a una piccola minoranza.

Così una nuova generazione, non tutta composta di giovani, anzi "transgenerazionale", che non si differenzia né per età né per genere né per classe sociale né per nazionalità, sta insorgendo in tutto il mondo.

Chi ha le conoscenze, la consapevolezza, i numeri giusti e le organizzazioni adeguate, è in grado di disfare quello che alcuni hanno fatto. Il nostro movimento ha fatto una scoperta storica e ha rivelato una pericolosa verità: il colpo di stato delle multinazionali, la vittoria dei ricchi sui poveri, del mercato sulla società, dell'avidità sui valori umani non è affatto inevitabile. E noi ci faremo sentire.

Fonte: Carta 01/2002