L'insicurezza mondiale impone nuove regole per garantire scambi più liberi e sviluppo
Sara Cristaldi
L'effetto guerra ridisegna la globalizzazione
Appuntamento a Doha in Qatar, o altrove per ragioni di sicurezza nei giorni della guerra al terrore? Le prossime settimane scioglieranno il nodo della sede della Quarta conferenza ministeriale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) in agenda per il 9-13 novembre. Ma una cosa è certa: nel nuovo e incerto panorama mondiale tutto sarà fatto, a partire da Usa e Unione europea, per garantire l'incontro tra i 142 Paesi membri che dovrebbe varare l'avvio di un nuovo Round di negoziati commerciali che garantiscano e migliorino il livello di libero scambio raggiunto nell'ultimo decennio. In gioco c'è quella globalizzazione che ha fatto sì le fortune delle multinazionali (e non solo americane, europee o giapponesi), ma ha anche dato ai Paesi in via di sviluppo l'opportunità di entrare nel gioco dell'economia globale con ricadute positive in termini di lotta alla povertà e liberalizzazione socio-politica. Nell'era della guerra al terrorismo, c'è chi parla di un brusco colpo di freno per la globalizzazione. Il nuovo clima di insicurezza mette in crisi il modello vincente degli anni 90 basato sul binomio produttività-bassa inflazione. "Oggi c'è della sabbia nelle ruote dei collegamenti trasfrontalieri. E questo è un grande cambiamento strutturale nel panorama globale", afferma Steven Roach, capo economista della Morgan Stanley. Certo c'è chi auspica la fine della globalizzazione, in Occidente come nelle terre del fondamentalismo islamico, che in essa vede la minaccia della secolarizzazione. Ma il mondo è ormai troppo integrato e non si può tornare indietro. La globalizzazione rallenterà e sarà più costosa. Di qui l'importanza di continuare a garantire il libero scambio, nell'interesse dei Paesi ricchi e di quelli più o meno poveri. A maggior ragione nel momento in cui le statistiche fanno risuonare un campanello d'allarme: dopo il boom del 2000 (+13,4%) il commercio mondiale subisce quest'anno una pericolosa frenata i cui sintomi erano già inquietanti prima dell'attacco alle torri del World Trade Center di New York. E questo sarà il primo anno, dal 1985, in cui gli scambi globali cresceranno meno dell'economia mondiale (vedi articolo a pag.3). Se a questo si aggiunge la pesante contrazione dei flussi degli investimenti internazionali, il quadro appare ancora più fosco soprattutto per i Paesi in via di sviluppo. A questo punto, se già prima dell'attacco all'America servivano nuove regole per ridare slancio al commercio mondiale, garantire scambi sempre più liberi contro i protezionismi dichiarati e nascosti, dare maggiore trasparenza al funzionamento della stessa Wto, oggi tutto questo diventa imperativo. E in questo numero, Mondo&Mercati cerca di chiarire quale è la posta in gioco sulla strada di Doha.
Giovedí 18 Ottobre 2001