Le istituzioni della globalizzazione

LEX MERCATORIA

Franco Russo

 

Chi nutre ancora qualche dubbio sui caratteri di vera `rivoluzione' capitalistica indotta dalla globalizzazione, farebbe bene a leggere il volume di Maria Rosaria Ferrarese1. La globalizzazione non è solo il portato dell'innovazione scientifico-tecnologica (dall'informatica alle biotecnologie), che ha impresso un salto alla produttività del lavoro, ma anche la ridefinizione globale dei rapporti tra politica ed economia. Spesso, e in modi ormai piuttosto gergali, si parla di `società del mercato': Ferrarese dà fondamento analitico a questa locuzione. Il trasferimento di poteri dagli Stati ai mercati è il `cuore' della trasformazione nei rapporti tra istituzioni politiche e poteri economici. Lo Stato moderno, sorto per disciplinare e dare sicurezza alle transazioni del mercato intervenendo anche per garantire la complessiva riproduzione sociale – da qui le leggi di sostegno ai diritti e al reddito delle classi lavoratrici – perde la sua centralità, sostituita da quella dell'impresa, in particolare dell'impresa transnazionale.

Il riferimento di Giuliano Amato all'Unione europea come un policentrismo di poteri, e non come Stato sovranazionale, coglie questi nuovi rapporti di potere, in cui l'economia tende ad autoregolamentarsi al di là della mediazione statale. È la lex mercatoria, come agli albori medievali del capitalismo, a dominare; per dirla con Teubner: "La lex mercatoria, il diritto transnazionale delle transazioni economiche, è il più riuscito esempio di diritto globale senza Stato" (Guenther Teubner, La `Bukovina globale'. Il pluralismo giuridico nella società mondiale).

Il richiamo alla lex mercatoria, fiorita nel basso Medioevo, non deve trarre in inganno, inducendo un giudizio su una presunta regressione del capitalismo, ma sta a sottolineare la trasvalutazione, ben nota nel campo del diritto, di vecchi ordinamenti che vengono riadattati dalla permanente capacità innovativa del capitale. Il capitalismo, oltre a inventare nuovi processi e prodotti, rimodella di continuo – come ben chiarisce la Ferrarese – l'impalcatura istituzionale e crea vuoti di autorità politica, riempiti oggi dall'impresa.

Il tratto istituzionale più caratteristico della fase attuale di globalizzazione è la "fuoriuscita dell'economia dal contenitore statale"; l'economia afferma la sua autonomia e autosufficienza, mentre si `opacizza' e frammenta la sovranità statale. Il fatto che gli organi esecutivi – i governi – degli Stati agiscono tramite istituzioni sovranazionali non deve far perdere di vista che nuovi attori accedono alla creazione ed elaborazione delle norme: "Gli Stati perdono, per così dire, l'esclusiva come legislatori e vengono affiancati da nuovi attori istituzionali e da altri attori privati[...]". Anzi, si può affermare che gli Stati, attraverso la verticalizzazione del potere in sede sovranazionale, privatizzano il processo decisionale, immettendolo in circuiti in cui forte è la presenza degli interessi dell'impresa.

Lex mercatoria e centralizzazione delle decisioni sono due aspetti dei processi politici della globalizzazione. Questo rivoluzionamento istituzionale si accompagna al rivoluzionamento della produzione, con l'inglobamento della scienza nell'impresa. Quest'ultima caratteristica – ripresa dall'elaborazione del Marx dei Grundrisse – è centrale nell'analisi della Ferrarese: "Il nesso tra capitalismo e tecnologia è così stretto che non ci permette più di discernere la vicenda economica da quella scientifica e tecnologica, come se la scienza e la tecnologia fossero ormai quasi del tutto inglobate nel mondo della produzione e da questo dipendessero quasi integralmente [...]. Non si è trattato del semplice incontro tra le une e l'altra, ma di un processo di `inglobamento', da parte delle imprese, della tecnica e della sua capacità di rovesciare la società `come un guanto'. L'impresa diviene il luogo privilegiato di `raccolta' dei saperi e dei `mondi esperti', che non riguardano solo la produzione e la distribuzione dei prodotti, ma, svelando una vocazione totalizzante del capitalismo che si scioglie da lacci e lacciuoli, pervadono la sfera giuridica e istituzionale. "Attraverso le figure – così descrive il processo la Ferrarese – dei consulenti e degli esperti, il sapere giuridico, che ha preso ad abitare stabilmente nei `palazzi' del potere economico, non si limita a elaborare quell'insieme di technycalities e nuove modalità di scambio note come lex mercatoria, ma fa di più: cattura pezzi del sistema di legittimazione che è proprio del diritto, incorporandoli nel sistema produttivo. È per questo che nasce l'esigenza di un diritto globale, ossia sufficientemente generalizzato da decontestualizzarsi rispetto ai vari stati".

Con l'autonomizzarsi dell'economia, il legame tra capitalismo e Stato subisce una torsione radicale, per il vero e proprio travaso di poteri verso l'impresa, determinandosi, così, uno slittamento dalla `ragion di Stato' alla ratio economica. Teubner, a conferma di questa diagnosi, parla dei regimi giuridici dell'impresa transnazionale come candidati a diritti globali che, precisa, non sono diritto inter-nazionale ma strumento dei processi socioeconomici globalizzati. Ciò a sottolineare che la politica e il diritto sono sempre meno incentrati sullo Stato, e sempre più sui `settori forti globalizzati': l'economia, la finanza, la scienza, la tecnologia, i media, i sistemi militari. Teubner evidenzia, rispetto alla Ferrarese, la contraddittorietà di questa globalizzazione, dato che vede una moltitudine frammentata di società globali; comune, però, è il giudizio sulla perdita di centralità della `politica'. E secca è l'affermazione di Teubner, ancora in accordo con la Ferrarese, sulla lex mercatoria come diritto globale senza Stato.

Le law firms, le pratiche commerciali, i contratti standardizzati, gli arbitrati, i codici di condotta sono alcuni strumenti della lex mercatoria, che non si configura come un diritto corporativo, ma come diritto globale della società dei mercanti. La modalità operativa della lex mercatoria è la flessibilità, l'adattabilità, vero e proprio diritto à la carte, che opera in diretta combinazione con le transazioni economiche globali. Il diritto – dice la Ferrarese - diventa mimetico rispetto ai bisogni del mercato, per cui si moltiplicano i soggetti legislatori, sempre più privati, mentre le regole divengono sempre più mutevoli e instabili. I grandi affari hanno continuo bisogno di nuove forme giuridiche e il superamento di incertezze e conflitti è affidato a organismi arbitrali: il mercato vuole autoregolarsi, senza interferenze, riducendo al minimo la dimensione e l'intervento dello Stato. L'ordine giuridico è creato privatamente.

La corrente antistatalista del liberalismo – da von Hayek a Nozick – sta vincendo la sua battaglia per una società di mercanti, sembra un ritorno all'origine del capitalismo quando ancora questo non si era impadronito del processo produttivo e utilizzava la produzione artigiana e il Verlagssystem; invece si va compiendo su scala mondiale il processo di trasformazione di ogni essere umano in possessore di merci, e se tale non è in un escluso dal consorzio `civile'. L'interesse – "l'interesse non mente", Ferrarese ricorda questa massima del '500 – è il criterio di regolazione universale, e il suo linguaggio costituisce ed esaurisce l'universo del discorso sociale; l'economia tende a diventare non solo il supporto, ma la manifestazione dell'incivilimento.

Per secoli il discorso del diritto è maturato anche, e forse prevalentemente, negli spazi pubblici per contrastare proprio il peso degli interessi nell'ordinare la vita sociale; oggi il diritto stesso tende a essere accessorio all'economia, alfa e omega della vita sociale. Sono i detentori di capitale ad agire nel mercato e a produrre diritto per regolare tra loro relazioni e conflitti. Hanno anche costruito, insieme alle corti di arbitrato, una propria curia mondiale (quelle medievali erano cittadine), la più rappresentativa delle quali è la Wto. Nel Medioevo il diritto proprio della corporazione dei mercanti era un diritto distinto, speciale, anche se la sua specialità era proprio di essere applicabile universalmente per garantire sicurezza e certezza dei contratti (Francesco Galgano, Lex Mercatoria, Il Mulino 1993). Oggi la lex mercatoria vuole regolare, su scala mondiale, non un settore della vita sociale ma l'intera società, per questo la business community si erge a ordinamento sovrano, come a ragione afferma Galgano. Il sogno degli antichi mercanti di creare una repubblica commerciale sembra stia per avverarsi.

L'utopia liberale di una società senza Stato, composto solo di venditori e compratori di merci, che regolano autonomamente i loro traffici con norme autoprodotte senza l'intervento della legislazione statale, è in via di attuazione nella società globalizzata. La potente intuizione di Marx del capitalismo come di una società reificata di produttori di merci, il cui unico legame sociale è lo scambio nel mercato guidato dall'interesse e la cui libertà consiste nella separatezza dall'altro, manifesta tutta la sua forza euristica proprio in questa nostra epoca.

È un fervente ammiratore di von Hayek, Bruno Leoni, a tratteggiare il disegno teorico di una società di mercato che spezza il legame tra legge e legislazione, sostenendo che "sempre meno persone sembrano realizzare che proprio come il linguaggio e la moda sono i prodotti della convergenza di azioni e decisioni spontanee da parte di un vasto numero di individui, così anche la legge può pure, in teoria, essere un prodotto di una simile convergenza in altri campi" (Bruno Leoni, Freedom and law, Indianapolis 1991). La legge `non legislativa', non prodotta cioè da istituzioni politiche, sarebbe l'unica compatibile con il mercato: si riscopre la valenza antistatale dello jus honorarium, della giurisprudenza del pretore romano accomunata alla common law nell'essere produttrice di norme che risolvono di volta in volta casi concreti; si esalta la capacità autoregolativa del mercato.

Ciò che a Bruno Leoni sfugge nel paragone tra linguaggio e diritto, è che quest'ultimo nella pratica mercantile è un prodotto di una società parziale di esseri umani dimidiati, che stabiliscono tra loro solo un rapporto di scambio di merci – scambio in cui vige un'asimmetria di potere a danno di chi vende solo forza-lavoro; mentre il linguaggio è il regno comune di tutti gli esseri umani senza distinzione, è un prodotto a cui contribuisce anche chi usa gerghi e slang. La creazione del diritto del mercato sta dando vita a nuovi eminentia jura, a nuovi poteri eminenti, tipici dello Stato autoritario, riservati oggi ai soli possidenti. La società senza Stato dei liberali è una società di esclusione, composta di soli `mercanti', di chi produce e vende merci: una società delle élites, che si prefiggono di eliminare gli spazi pubblici, ove anche i non possidenti possono far sentire la propria voce. I mercati votano e solo essi hanno peso decisionale, questa è la realtà che i ricchi vogliono costruire. L'antico e sempre vivo desiderio delle classi dirigenti di neutralizzare la democrazia, dove si ascoltano le voci di tutti, sta per essere realizzato nella società globalizzata.

Da decenni si elabora – e si lotta per – una democrazia costituzionale, in cui la sovranità, intesa come potere esterno agli individui in quanto personificata nello Stato, sia superata mediante sistemi politici in cui vigano procedure decisionali sempre più inclusive; ora i `potenti' mettono in discussione il primato della politica, come spazio pubblico, e teorizzano ma soprattutto praticano la costruzione di un ordine in cui sovrani siano le organizzazioni private, quelle degli imprenditori.

* Maria Rosaria Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Il Mulino, pp. 232, lire 28.000.

 

Fonte: La Rivista 2/2001