CONTROLLARE LA GLOBALIZZAZIONE
Un’intervista con George Monbiot
Caspar Henderson – openDemocracy ha aperto un dibattito sulla globalizzazione e ha tenuto due openInterviews, prima con Maria Cattaui, che dirige la Camera di Commercio Internazionale, e successivamente una discussione tra Peter Sutherland, fondatore della World Trade Organisation (WTO) ed è ora presidente di BP e dirige Goldman Sachs Internations, e Shirley Williams, politica e studiosa britannica. Essi condividono una visione della globalizzazione che vede istituzioni quali il WTO come parte di un sistema globale, basato su regole. Un sistema che aiuta allo stesso modo ricchi e poveri attraverso la crescita economica. Cosa intendi tu con "globalizzazione"?
George Monbiot – Globalizzazione è un termine problematico che è venuto ad indicare qualunque cosa si voglia. Questa indeterminatezza crea un problema speciale per quello che si chiama movimento "anti-globalizzazione", che viene spesso percepito come qualcosa che non è. Infatti è dipinto, in maniera piuttosto scorretta, come a favore dell’autarchia e della separazione, piuttosto che di quella sorta di internazionalismo che è sempre stato una caratteristica della politica progressista.
Sono rimasto colpito nel leggere le interviste sia di Peter Sutherland che di Maria Cattaui, nella misura in cui entrambi restano intrappolati nei modelli e nelle definizioni correnti – di come il mondo è piuttosto di come potrebbe essere. Sembrano attendersi miracoli da istituzioni che hanno un mandato estremamente limitato.
Prendiamo il WTO, per esempio. Nel 1944, l’intenzione originale della conferenza di Bretton Woods era creare una Organizzazione Internazionale del Commercio i cui obiettivi fossero da un lato favorire il libero scambio, dall’altro aiutare i paesi a raggiungere la prosperità economica grazie a trasferimenti tecnologici, difendendo i livelli sindacali e migliorando la bilancia commerciale. Di fatto, tutte queste funzioni tranne una – il libero commercio – furono escluse a causa delle obiezioni economiche USA. Come risultato, siamo finiti ad avere un Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT) che era intesa come una soluzione ad interim in mancanza di un accordo più ampio.
A quel tempo si riconosceva largamente che la semplice realizzazione di misure a favore del libero scambio senza allo stesso tempo un’azione per generare prosperità nel mondo povero non avrebbe portato la giustizia economica. Questo problema fondamentale deve essere ancora risolto. Il GATT si è trasformato nella World Trade Organization e gli obiettivi originari dell’Organizzazione Internazionale del Commercio (OIC) sono stati dimenticati. La WTO è un meccanismo difettoso per procurare la prosperità ai paesi più poveri – difettoso perché assolve ad una sola delle funzioni che gli si attribuivano all’inizio.
Le fasi dello sviluppo
CH – Ma non esistono punti della tua analisi condivisi da Cattaui e Sutherland? Per esempio, Sutherland parla del bisogno per i paesi avanzati di raggiungere per lo meno lo 0,7% del PNL in aiuti allo sviluppo, come punto di partenza. Il cancelliere britannico, Gordon Brown, invoca un forte incremento dei trasferimenti assistenziali dai paesi industrializzati. Non si tratta di una posizione largamente simile alla tua, secondo cui dobbiamo muoverci verso un sistema globale più progressista, basato su regole?
GM – Sono sicuramente a favore di un aumento degli stanziamenti d’aiuto, anche solo per tappare una parte del buco massiccio lasciato dal fallimento delle istituzioni di Bretton Woods. La visione originale della OIC era quella di un meccanismo regolatore dell’economia internazionale cosicché i paesi poveri potessero sopravvivere e prosperare, piuttosto che affidarsi alle elargizioni del primo mondo. Il fatto che ora, 57 sette anni dopo, stiamo ancora parlando di incrementi all’assistenza al mondo povero dimostra il terribile fallimento dell’affidarsi al libero scambio per creare ricchezza. Il fallimento dei meccanismi di regolamentazione conduce sempre alla spesa pubblica.
CH – Contro questa posizione, Sutherland direbbe che il malgoverno (includendo l’eredità coloniale) in aree come l’Africa ha contribuito ai loro problemi attuali; mentre i sistemi aperti e le regolamentazioni efficaci in aree come il sud-est asiatico hanno contribuito a stabilire una prosperità concreta. Queste sono ragioni sia positive che negative per partecipare ad un sistema aperto di commercio internazionale.
GM – Beh, sarebbe straordinario voler ricondurre il miracolo economico asiatico al solo libero commercio. I paesi che hanno prosperato maggiormente, fino al crash del 1997-98, hanno seguito un processo di sviluppo in tre fasi. Il primo è stato la massiccia riforma agraria e la distribuzione delle terre. Giappone, Taiwan e Corea hanno sperimentato l’effettivo smantellamento del potere feudale terriero per mezzo della guerra, e istituito un programma sistematico di riforma agraria che ha condotto ad una larga redistribuzione della ricchezza. Come secondo passo, la riforma fu accompagnata da aiuti protezionistici per l’economia locale e nazionale. Terzo, solo dopo che questi due fattori ebbero determinato una forte crescita interna, le economie di questi paesi furono esposte ai liberi mercati che Peter propone.
Il problema oggi è che stiamo chiedendo ai paesi poveri di saltare le fasi uno e due e passare direttamente alla fase tre. Ma a meno di non costruire prima la ricchezza delle comunità e del commercio locali, non è semplicemente possibile competere con il capitale multinazionale. Quando quest’ultimo entra in gioco, non esiste terreno di competizione. Così in Russia, per esempio, con la benedizione del Fondo Monetario Internazionale, praticamente tutte le regolamentazioni finanziarie e commerciali di qualche efficacia sono state rimosse e l’economia è caduta nelle mani o del capitale straniero o di mafiosi indigeni.
Il futuro è keynesiano.
CH – Maria Cattaui non concorda forse su questo punto? Afferma: "In tutto il sud-est asiatico i paesi sono più forti che negli anni ’60 a dispetto della crisi finanziaria del ’97-98, ma dimentichiamo che le politiche non erano politiche di tipo laissez-faire. Erano fortemente ispirate dai governi. Più recentemente sono diventate meno orientati ai governi. Perché? Perché sappiamo che il tipo di sussidi che hanno usato alla fine non ha funzionato e ha reso le industrie non competitive. Ora sappiamo che la Corea ha progredito ma il mondo sviluppato ha fatto esattamente lo stesso. Bisogna sempre capire qual è lo scopo di un sussidio". In altre parole, esistono fasi nello sviluppo economico. Questo non significa accettare che si tratta di un processo a più fasi e che i paesi hanno bisogno di entrare in questa economia globalizzata alle loro condizioni?
GM – Trovo straordinario che Maria accetti che questo è il modo in cui quelle nazioni una volta povere hanno ottenuto una ricchezza spaventosa, ma poi non ne tenga conto per i tanti paesi che restano tuttora poveri.
Ma forse, ancor più importante, sia lei che Peter stanno facendo ricadere il peso del cambiamento sui governi locali le cui economie stanno fallendo. Se pure è fuori discussione che molti di questi governi abbiano gestito le loro economie in maniera inadeguata, affermare che tutti i fallimenti dei paesi poveri dipendono dal malgoverno locale è un grottesco insulto ai popoli di quei paesi.
Primo, molti dei paesi che stigmatizziamo per una gestione economica incompetente sono di fatto guidati dall’IMF. La gestione economica ha poco a che vedere con il governo in sé – si è ridotta a dover realizzare le politiche dell’IMF. Se quelle politiche hanno fatto fallimento, è difficile capire perché dovremmo attribuirne la responsabilità ai governi nazionali esautorati.
Secondo, davvero non ci sono molte possibilità per i paesi poveri. Per svilupparsi hanno bisogno di infrastrutture, ma sono bloccati da un ciclo di sotto-investimento. Poiché non hanno buone strade, scuole o ospedali, la loro posizione economica continua a deteriorarsi, ciò che poi rende impossibile generare il denaro per costruirle. La loro unica possibilità è aumentare la spesa pubblica. Però non gli è consentito di incrementarla perché l’IMF e la World Bank glielo impediscono. La loro intera economia è di fatto riorientata, da queste due istituzioni, nella direzione dell’estrazione di risorse e ricchezza allo scopo di pagare il grottesco indebitamento per cui gli stessi creditori dovrebbero essere biasimati e che sono spesso il frutto di corruzione. Critichiamo in tutti i modi i governi corrotti dei paesi poveri, ma non dovremmo forse criticare anche i corruttori?
Dobbiamo riconsiderare non solo il WTO some istituzione ma anche la Banca Mondiale e l’IMF. Sono le istituzioni sbagliate per portare un positivo cambio economico globale, e ciò per due ragioni. Innanzitutto esse sono completamente controllate dalle nazioni creditrici e le nazioni in cui operano non hanno controllo su di esse. Ciò è estremamente ingiusto, un deficit lampante di democrazia. Inoltre il loro ruolo è di fatto presidiare il debito. Fanno le veci dell’economia globale, non operano per ripristinare la bilancia commerciale, ma per rafforzare lo squilibrio.
Ciò di cui abbiamo bisogno è piuttosto qualcosa come l’unione per la compensazione internazionale che John Maynard Keynes propose durante la seconda guerra mondiale, che assegna un egual onere a creditori e debitori per estinguere il debito: un sistema economico globale auto-correttivo, in opposizione ad un sistema guidato dalle nazioni creditrici nel loro interesse.
CH – E come dovrebbe funzionare?
GM – L’idea di Kaynes era semplice. Egli concepì un sistema di commercio internazionale auto-correttivo, in grado di appianare i suoi stessi squilibri. L’idea consisteva nel condurre le transazioni internazionali non in valute nazionali come il dollaro, ma in una moneta internazionale, che denominò bancor.
Quella moneta sarebbe stata emessa da una banca centrale chiamata International Clearing Union (unione per la compensazione internazionale), che avrebbe applicato gli stessi tassi di interesse tanto ai creditori quanto ai debitori. Così se un paese avesse avuto 100 milioni di bancor o a credito o a debito, pagherebbe lo stesso tasso di interesse. La bellezza di questa soluzione è che darebbe alle nazioni creditrici un incentivo o ad aggiustare il valore delle loro monete rispetto al bancor, o a reinvestire massicciamente comprando una quantità molto maggiore del prodotto del paese. In questo modo il debito sarebbe un fenomeno transitorio – non il problema cumulativo e crescente in progressione geometrica che è diventato.
Keynes si presento a Bretton Woods con questa proposta. Predisse che la contraddittoria proposta USA di un fondo per la stabilizzazione internazionale (che ha dato origine all’IMF) e di una Banca Mondiale avrebbe condotto ad un massiccio indebitamento pubblico, all’impoverimento progressivo del mondo povero, e al potere e alla ricchezza crescenti del mondo ricco, in particolare degli Stati Uniti. Gli USA minacciarono la Gran Bretagna di ritirare i loro prestiti di guerra se avessero insistito nell’appoggiare la proposta di Keynes. La Gran Bretagna si tirò indietro e la predizione di Kaynes si avverò. Oggi dobbiamo riesaminare la proposta di Keynes e guardare alle possbilità di rimodellare l’architettura economica globale in maniera radicalissima.
Rendere i potenti responsabili
CH – Come hai detto, Keynes insorse contro la realtà del potere USA agli inizi degli anni 40. Gli USA sono oggi l’economia più potente, con il 25% del prodotto lordo mondiale, programmi militari sconfinati e un potere finanziario enorme. Come si può pensare di scavalcare gli interessi USA laddove Keynes fallì?
GM – Beh, alcune parti del mondo si trovano in una posizione molto più forte oggi di quella della Gran Bretagna nel 1944. L’Unione Europea è un blocco commerciale molto potente e se si combinasse con alcune delle economie in via di sviluppo, verrebbe a disporre di una leva considerevole. Non sarebbe semplice, giacché fronteggiare il potere non lo è mai. Ma questa è la sfida continua di chiunque sia coinvolto nella politica progressista.
CH – Ora manifesti una certa speranza nel potenziale della UE. Ma altrove accusi l’Europa di essere sotto il controllo dei grandi gruppi economici europei. Per esempio, sei stato molto critico nei confronti della Tavola Rotonda degli Industriali. Quindi perché l’Unione Europea dovrebbe fare ciò che gli USA non vogliono?
GM – L’Unione Europea farà ciò che gli USA non vogliono solo se la sua popolazione lo richiederà. I nostri governi sono buoni solo nella misura della nostra disponibilità a criticarli e metterli in difficoltà. Nessun sistema politico garantisce la democrazia e un sistema è buono solo nella misura della libertà dei suoi critici di confrontarsi con esso.
Una nuova voce nel commercio mondiale
CH – A Doha, il WTO ha ottenuto un successo giungendo ad un accordo. È immensamente complesso ma molti osservatori sentono che è significativo per almeno una ragione: che alcuni paesi in via di sviluppo hanno ottenuto qualche guadagno rispetto sia all’Unione Europea che agli Stati Uniti.
Sui diritti di proprietà intellettuale, gli USA sembrano aver concesso terreno importante, non per ultimo a causa dei problemi attuali con l’antrax. L’Unione Europea ha fatto delle concessioni in campo agricolo, apparentemente, ed è possibile che una parte dei suoi sussidi venga smantellata. Ciò sarebbe un vantaggio enorme, giacché il dumping nei paesi in via di sviluppo degli alimenti sovvenzionati dall’UE danneggia fortemente le economie agricole locali.
Nella Realpolitik del potere mondiale, i paesi come l’India cominciano a farsi valere, la Cina è diventata membro del WTO e i Russi vi entreranno. Vediamo il fatto che alcuni paesi in via di sviluppo, o almeno i loro governi, siano ostili al WTO come parte di una soluzione. Ciò potrebbe spostare l’equilibrio del potere, rendendolo più uniforme tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo – o almeno un negoziato reale. Non è un progresso rispetto al WTO?
GM – È fuori discussione che alcuni dei paesi in via di sviluppo, in particolare l’India, abbiano sviluppato una capacità di negoziazione molto più efficace di prima e si sono dimostrati negoziatori capaci ed efficaci. Si sono comportati bene nel rigettare un tentativo brutale da parte del "quad" (USA, Canada, Giappone e UE) di imporre un programma di interesse per il primo mondo ai colloqui sul commercio mondiale.
Ma è troppo presto per predire quale sarà il risultato di questo nuovo round. Molte delle promesse fatte nel corso dell’ultimo round, Uruguay, non sono state mantenute. Dobbiamo ancora vedere quale sarà il vero risultato con l’agricoltura. Forse, ancor più importante, i paesi del primo mondo possono continuare ad aggiungere nuove questioni nel programma – investimento e servizi, per esempio – che rendono ancor più difficile per i paesi in via di sviluppo affrontare le questioni di loro interesse.
Ciò che abbiamo visto a Doha è il mondo povero che ha fatto sentire la sua forza in maniera attiva, forse per la prima volta negli ultimi 50 anni. E ciò è un risultato senz’altro benvenuto. Ma, come ho affermato all’inizio, dobbiamo ricordare che il WTO si sta occupando di un solo aspetto dell’economia globale, ed è istituzionalmente incapace di risolvere lo squilibrio nel commercio.
Che tipo di globalizzazione?
CH – Di fronte a questa critica, le persone vogliono sapere come possiamo arrivare da qui a lì. Prendiamo ad esempio George Soros, che condivide alcune delle tue analisi. La sfida cui i paesi in via di sviluppo si trovano di fronte, ha argomentato in un articolo pubblicato poco prima di Doha sul Project Syndicate Glasgow Herald, "non è davvero il WTO ma la mancanza di istituzioni simili ed efficaci che si occupino di altri obiettivi sociali". Ed egli dice di intendere l’educazione, la sanità e la costruzione del "capitale umano". "L’applicazione di regole" nell’ambito del WTO, continua, "non è appropriata per raggiungere obiettivi sociali perché molti paesi non hanno le risorse per conformarsi agli standard internazionali. Piuttosto che imporre requisiti sarebbe meglio fornire risorse per mettere i paesi poveri in grado di conformarsi su base volontaria invece di introdurre una regola che proibisca il lavoro minorile. Dovremmo garantire l’istruzione primaria universale". Altro punto chiave, "l’ordine di precedenza tra il WTO e le leggi nazionali dovrebbe cambiare, le leggi nazionali dovrebbero avere la precedenza".
Inoltre, argomenta che "il WTO può aver oltrepassato il suo mandato a proposito della proprietà intellettuale" – un punto di vista condiviso da Jagdish Bhagwati, il decano degli economisti del libero commercio. Ed infine Soros crede che l’accordo sugli investimenti legati al commercio dovrebbe essere rinegoziato per consentire il sostegno alle piccole e medie imprese locali.
Se in effetti esistesse una prospettiva condivisa tra Soros e te, come sarebbe possibile sviluppare queste proposte? Che tipo di globalizzazione cerchiamo, accettando i tuoi avvertimenti a proposito del mondo? In che misura il governo dovrebbe cedere la propria sovranità alle organizzazioni internazionali? In che misura dovrebbero conservarla, e quali altri meccanismi sono necessari ai fini di una compartecipazione giustamente democratica?
GM – Bene, mi hai appena fatto otto domande ciascuna delle quali richiederebbe diversi giorni per dare una risposta! Molte delle posizioni di Soros sono corrette, ma discutendo di regolamentazioni dobbiamo superare la regolamentazione del comportamento dei governi per quanto concerne il commercio. Dobbiamo anche parlare della regolamentazione delle corporations.
Un grande errore delle potenze occidentali, che sia l’Unione Europea o persone come Maria e Peter, è stato discutere le questioni ambientali come se i soli governi dovessero essere ritenuti responsabili. Su questioni come l’ambiente, i diritti umani, gli standards sindacali, la difesa dei consumatori, la salute e la sicurezza nei posti di lavoro, dobbiamo essere in grado di tenere sotto controllo anche le multinazionali. Di fatto non sono regolate a livello globale, non sono soggette agli standard in fatto di diritti umani che ci aspettiamo dai governi. Quando realizzano operazioni che implicano responsabilità ambientali o di salute, non gli è fatto pagare il conto.
Se dobbiamo andare nella direzione di riequilibrare il commercio globale, abbiamo bisogno di regolamentazioni efficaci delle corporations. Ciò richiede una specie di WTO speculare il cui scopo sia stabilire ciò che le corporations possono fare e ciò che non possono e ciò può solo funzionare a livello globale. Se si prova a stabilire un alto tasso di tassazione alle multinazionali in un paese, per esempio, le grandi imprese chiuderanno i conti e andranno in Tailandia. Un livello di tassazione globale lo impedirebbe. La stessa considerazione si applica alle regole di protezione ambientale, sanitaria, sicurezza, e di difesa dei consumatori.
Incidentalmente, accanto ad un tasso globale di tassazione per le corporation, mi piacerebbe vedere un salario massimo globale, dove nessuno in una multinazionale possa guadagnare più di otto o dieci volte il salario del membro peggio pagato della forza lavoro o dei sub-appaltatori. Questo sarebbe un incentivo potente all’incremento della paga per coloro che si trovano alla base. Ma ciò dà risposta solo ad una piccolissima parte del vasto campo di questioni. Come George Soros, voglio vedere misure pratiche ma voglio anche un diverso ordine mondiale, piuttosto che il presente messo in condizioni di funzionare un poco meglio.
CH – La differenza è davver così netta? Maria Cattaui concorda sul fatto che le multinazionali non siano di fatto regolamentate in molti mercati, ma indica anche la possibilità che l’opinione internazionale possa essere portata a pesare su di esse. La Shell in Nigeria e la Nike in Indonesia possono essere citate qui. E Peter Sutherland argomenta che il potere delle multinazionali è largamente sovrastimato e pensa che si stia riducendo.
GM – Bene, guardiamo la Gran Bretagna. Sin dagli inizi degli anni 90 abbiamo visto l’iniziativa di credito privato (PFI), un meccanismo che i governi sia conservatori che del New Labour hanno usato per appaltare la costruzione di ospedali e scuole al settore privato in cambio del pagamento di canoni a lungo termine, assegnando un carico finanziario enorme ai cittadini per la prossima generazione e passa. Nelle parole di uno dei suoi ideatori, "questa è la Heineken della privatizzazione, in grado di raggiungere porzioni della macchina governativa non raggiunte dalle privatizzaioni precedenti". Essa comprende un progetto economico di gran lunga più ambizioso di quelli lanciati in Gran Bretagna fino ad ora e sta conducendo alla demolizione dei servizi sociali universali e alla conquista del settore pubblico da parte di grandi erogatori di servizi privati. Ciò rappresenta un potenziamento del capitale delle multinazionali che i grandi gruppi economici potevano solo sognare dieci o venti anni fa. E ciò che vediamo in Gran Bretagna sta avvenendo in tutto il mondo. Suggerire l’idea che il potere delle multinazionali si stia indebolendo è semplicemente risibile.
Un nuovo modello di autorità globale.
CH – Ma almeno Peter Sutherland ha lavorato per la condivisione e la redistribuzione della sovranità all’interno della UE. Quando afferma che ciò richiederà molto tempo a livello globale, non ha ragione di sostenere la necessità di essere realistico circa il contesto in cui si opera? L’ideale di una tassa globale per le corporations è ben lungi dall’essere ottenuta.
GM – Bene, prendiamo in esamo questo termine, "realistici". È realistico aspettarsi che le nazioni povere paghino debiti che a volte eccedono il loro PNL? È realistico pensare che la Banca Mondiale e l’IMF migliorino le economie dei paesi poveri piuttosto che continuare a mandarle in rovina? È realistico che le misure per la liberalizzazione del commercio da sole siano responsabili per l’ulteriore garanzia della giustizia economica? È realistico pensare che i gruppi economici possano regolamentarsi da soli? È realistico che senza un’appropriata autorità globale le voci dei poveri siano significativamente ed efficacemente ascoltate? Se pensiamo a delle misure realistiche dobbiamo trasformare completamente i modelli politici ed economici di autorità globali.
Se il termine "realistico" è inteso nel senso di raggiungibile, allora questi cambiamenti sono di fatto raggiungibili con una volontà politica sufficiente. Ma se guardiamo solo a come possiamo sopravvivere nell’ambito del modello economico attuale, non raggiungeremo proprio niente. Dobbiamo partire da ciò che è desiderabile.
E questo, penso, significa una trasformazione completa nel governo globale. Al momento esiste un deficit di democrazia molto ampio a livello globale. Le decisioni chiave sono prese, informalmente ma pur sempre prese, dal G8. Otto uomini rappresentano il 13% della popolazione mondiale. I cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU, che incidentalemente sono anche i cinque maggiori venditori di armi al mondo, possiedono il diritto di veto sulle decisioni del consiglio. L’Assemblea Generale dell’ONU, che è intesa essere la sede del governo mondiale, è un corpo completamente anti-democratico. Abbiamo appena assistito a proteste qui in GB per il fatto che Blair abbia deciso che i membri della House of Lords siano nominati invece che eletti eppure non sentiamo proteste per il fatto che tutti i nostri ambasciatori presso l’ONU siano nominati e non eletti e che essi tendano a stare vicini ai loro servizi di sicurezza e lontani dalle loro popolazioni.
Ciò di cui abbiamo bisogno è qualcosa di simile ad un parlamento mondiale, con rappresentanti eletti direttamente sulla base della popolazione, cosicché i governi siano scavalcati, e cosicché un residente a Kinshasa abbia lo stesso potere sul piano globale di un residente a Kensington a Londra. Non sto parlando della sottrazione di potere dai governi, sto parlando della democratizzazione dei poteri che già esistono a livello internazionale e che un pugno di governi ha arraffato per sé.
CH – Ma come potrebbe funzionare? Come possono i cinesi pesuadere il loro governo, per esempio, a lasciarli partecipare direttamente ad un parlamento mondiale, scavalcando le strutture e gli organi del partito comunista della repubblica popolare?
GM – Bene, ciò è parte di una grande sfida di democrazia globale ma al momento stiamo solo arraffazzonando le questioni sia di potere che di rappresentanza. Consentiamo a pochi governi di decidere cosa debba accadere in nome del resto del mondo e di nominare persone che governano internazionalmente.
Come scavalcare il governo cinese, o piuttosto il nostro, per stabilire strutture di governo globale a livello internazionale che non poggino sui governi locali? In principio è semplice. Procediamo senza di essi, e gradualmente tentiamo di accumulare autorità morale creando strutture i cui rappresentanti possano essere eletti direttamente. Accumulando autorià morale conseguiamo poi il risultato di sottrarla a coloro che si sono appropriati del potere sul palco internazionale.
CH – Durante la guerra civile inglese, nel XVII sec., Oliver Cromwell, che aveva rovesciato la monarchia inglese, fu deluso dal comportamento venale del parlamento eletto. Lo rimpiazzò con il parlamento dei santi, che era costituito da persone in contatto diretto con la volontà divina – brave persone comuni con nomi meravigliosi come "Praisegod Barebones". Il risultato tu un disastro ed egli finì col diventare, in effetti, un dittatore.
Ciò che voglio dire è che esiste una lunga storia di modelli a fin di bene. In Europa ci sono volute molte centinaia di anni prima che emergesse una popolazione istruita con risorse e coscienza politica sofisticate. E ci risulta tuttora estremamente difficile raggiungere un modello di democrazia a livello europeo. Dichiarare un parlamento mondiale dove tutte le persone buone e giuste possano incontrarsi può essere un obiettivo degno di lode, ma non vengono prima molti passi intermedi? Per esempio, i cinesi non devono conquistare prima un benessere maggiore ed una salute ed una istruzione migliori ed ottenere la democrazia ed una società civile nel loro paese prima di poter effettivamente partecipare al governo internazionale?
GM – Il Parlamento dei Santi è di fatto precisamente ciò che abbiamo ora nella forma di Assemblea Generale dell’ONU. Questi sono tutti i "buoni e grandi" nominati ambasciatori presso l’ONU dai loro governi, senza alcuna credenziale democratica di alcun tipo. Questo è il parlamento disastroso che conduce nei fatti alla dittatura del G8, a causa delle sue evidenti carenze di democrazia.
Penso che un qualche tipo di organismo di rappresentanza di origine popolare potrebbe diventare esso stesso una potentissima forza di democratizzazione. Un organismo veramente democratico a livello mondiale che nasca dal basso e fornisca un’alternativa per mostrare come sarebbe la vera democrazia, avrebbe un impatto immenso. Il popolo cinese, prendendo parte a tutto ciò, non cercherebbe di rovesciare il suo governo democratico in cambio di qualcosa di meglio?
Dopo l’11 settembre
CH – Come porteresti avanti un movimento per la democratizzazione globale nelle condizioni attuali, molto tese sul piano internazionale?
GM – Ciò che abbiamo visto in Afganistan indica il bisogno urgentissimo di rivedere il modo in cui prendiamo le decisioni. È molto grave se metà del mondo crede di essere escluso dai processi decisionali, non rappresentati al consiglio di sicurezza dell’ONU, privo di voce nei negoziati internazionali. Se sente – e ciò è particolarmente vero per il mondo musulmano – che l’occidente ha imposto la sua volontà in maniera antidemocratica ed aggressiva, allora in Afganistan avremmo seminato molti più problemi di quanti ne abbiamo risolti.
E ciò che questo mi suggerisce è che abbiamo un disperato bisogno di riportare le popolazioni escluse nei centri di decisione a livello globale. Al momento questo senso di esclusione ha senza dubbio contribuito a costruire un profondo senso di antagonismo nei confronti dell’occidente.
CH – Ma come può un movimento che miri a cambiare queste condizioni ottenere una legittimazione senza che le persone ne abbiano paura?
GM – Non c’è dubbio che le persone abbiano molta paura di cambiamenti in questo momento; allo stesso modo, i governi hanno molta paura del radicalismo e del dissenso. Ciò non significa che dobbiamo smettere di mettere in discussione e contestare. Di fatto dobbiamo farlo più che mai. È esattamente quando il dissenso diventa più difficile che è anche più necessario.
Abbiamo un disperato bisogno di definire modalità alternative in cui le decisioni siano prese a livello globale. Disperatamente, perché una popolazione così ampia della popolazione mondiale si sente completamente esclusa e ciò contribuisce all’atmosfera di ingiustizia in cui il terrorismo prospera. Così, è nello stesso interesse dell’occidente, come in quello di chiunque sulla terra, che cominciamo a risolvere questi problemi, affinché il rovesciamento dei talebani in Afganistan non diventi il pretesto per un nuovo imperialismo.
In aggiunta dobbiamo spiegare il nostro stesso comportamento. Prima dell’11 settembre il movimento internazionalista (un termine che preferisco a "movimento anti-globalizzazione") aveva i suoi problemi. Si era mostrato meno capace di quello che doveva essere di impedire il tipo di violenza di strada che abbiamo visto a Genova. Ora non c’è dubbio che la gran parte della violenza sia provenuta dalla polizia, ma è anche fuori di dubbio che alcuni dei manifestanti si sono dati al vandalismo più stupido e insensato, ciò che ha fornito alla polizia il pretesto per attaccare i dimostranti pacifici e dato ai leaders del G8 la scusa per neutralizzare gli sforzi di tutti i trecentomila che erano lì.
Come movimento, siamo stati troppo dolci con coloro che affermano di stare dalla nostra parte ma mettono in realtà in forse i nostri sforzi. Abbiamo tollerato un discorso di diversità in cui le persone dicono "voi fate le vostre cose, noi le nostre; la protesta violenta può sopravvivere senza problemi accanto alla protesta non violenta". Questo è completamente privo di senso. Fa in modo che il mondo veda tutti i dimostranti come violenti. Dobbiamo risolvere anche la questione se possiamo continuare ad organizzare grandi dimostrazioni del tipo che abbiamo visto a Genova.
Dobbiamo contare sui molti sviluppi positivi che hanno accompagnato le proteste di strada a Genova, Nizza e Davos. Dobbiamo apprendere da gruppi come il World Social Forum, che ha tenuto incontri vastissimi e ha portato assieme persone da tutto il mondo. L’incontro che organizzò a Porto Alegre, in Brasile, contro Davos fu un inizio. È mia convinzione che essi possano costituire le basi di un parlamento mondiale. Aggregheremmo sempre più persone a cominceremmo a trasformarlo in un processo di genuina rappresentanza democratica. E poi potremmo sviluppare una specie di parlamento mondiale in esilio.
Che il nostro governo, o qualunque altro, sia a favore o contrario è del tutto irrilevante. Ed è mia convinzione che dopo un po’ esso accumulerebbe sufficiente autorità morale perché organismi come la Banca Mondiale e l’IMF ed alcune delle agenzie ONU dovranno rispondergli e giustificare le loro azioni. Poi, in quanto parlamento mondiale, comincerebbe ad accumulare un potere molto significativo a livello internazionale.
CH – Una cosa come il World Social Forum ha chiaramente molto dinamismo. Ma non è solo un immenso agglomerato di ONG, sindacalisti e persone benintenzionate che non sono elette? Si può davvero applicare il termine "parlamento mondiale"?
GM – Questo è quello che dico: all’inizio non sarà un organismo rappresentativo, ma lo diventerà piano piano. Si realizza il movimento verso la democrazia al suo interno, dove le persone vengono prima delegate dalle loro comunità, poi le loro popolazioni ed infine si trasforma in un processo elettivo. Nasce come organismo non rappresentativo, ma che concerne tutte le nazioni della terra e certamente non meno rappresentativo dell’Assemblea Generale dell’ONU in questo momento, e può essere trasformato in un forum genuinamente rappresentativo.
CH – Come sintetizzeresti lo spirito del movimento?
GM – Una delle grandi opportunità che abbiamo è liberarci dagli slogan facili e semplicistici che hanno dominato la politica nel passato, senza escludere i portatori della protesta. Abbiamo il potenziale per costituire un elettorato meglio informato che mai, al livello globale come a quello nazionale. Con l’uso di internet e di altri mezzi di comunicazione moderni, esiste il potenziale per generare il tipo di dibattito informato che è sempre sfortunatamente mancato.
Esiste l’opportunità per cominciare ad applicare analisi complesse e per cominciare a richiedere che i governi agiscano sulla loro base. Uno dei maggiori problemi del mondo è che cerchiamo sempre soluzioni semplici a problemi complessi. Questo deve finire. Dobbiamo affrontare la complessità noi stessi, cosicché sia consentito anche ai governi misurarsi con essa.
CH – Ogni parlamento deve comprendere rappresentanti di tutte le parti. Nel suo scambio con Shirley Williams, Peter Sutherland sostiene di voler vedere un summit sulla globalizzazione con un largo spettro di paesi ed organizzazioni presenti. Non potrebbe essere anche un passo verso il tipo di parlamento mondiale che tu vorresti?
GM – Potrebbe, ma mi piacerebbe vedere le soluzioni emergere dal basso piuttosto che essere imposte, di nuovo, dai governi nazionali e dalle istituzioni globali le cui disposizioni hanno fallito nel passato. Chi deciderebbe chi partecipa al conflitto? Chi dà loro il mandato per parlare in nome nostro? Non ne abbiamo avuto abbastanza di visioni "superbe", olimpiche da questi "summit"? Non sarebbe meglio avere invece "valli" e "colline"?
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Questa intervista ha avuto luogo il 16 novembre del 2001 ad Oxford, Inghilterra.
Traduzione: Sergio De Simone
Fonte: www.zmag.org/italy