Jeremy Rifkin: "Il pianeta di tutti recintato da pochi"

di Luca Landò

ROMA - Il futuro? È tutto per aria. Perché è proprio lì, nell'atmosfera che circonda il Pianeta che si nasconde il grande sogno della globalizzazione: trasformare il mondo, tutto il mondo, in un gigantesco business. A cominciare dall'aria, appunto.

Questo almeno è il parere di Jeremy Rifkin, economista e ambientalista, ma soprattutto "studioso del futuro", come si definisce lui stesso: uno che studia il presente per capire quel che accadrà nei prossimi dieci o venti anni. E quel che potrebbe accadere è la privatizzazione dell'aria. Anzi, delle onde elettromagnetiche che pervadono l'atmosfera.

"Lo so, nessuno di noi dà troppa importanza a queste onde invisibili, eppure dovremmo ricordarci che lo spettro elettromagnetico viene considerato un bene pubblico, controllato e amministrato dai governi dei diversi paesi che, a loro volta, concedono licenze per l'utilizzo delle diverse frequenze radio".

Tutto questo, dice Rifkin, potrebbe cambiare nei prossimi anni perché è in atto il tentativo, da parte delle grandi compagnie, di acquisire il pieno controllo dell'intero spettro di frequenze.

"Lo scorso febbraio, 37 importanti economisti americani hanno chiesto alla Commissione federale per le comunicazioni la possibilità di subaffittare ad altri le frequenze che il governo aveva loro concesso. La lettera è passata inosservata, ma se la richiesta verrà accolta accadrà qualcosa di importante e pericoloso: che le comunicazioni radio non saranno più controllate dallo Stato, ma dai privati". Ed è bene essere chiari, avverte Rifkin: "Se le frequenze radio del pianeta verranno possedute e controllate dai giganti dei media, penso a Aol-Times Warner, Bertelsmann, Sony o Fininvest, come si farà a garantire il diritto fondamentale di comunicare ai miliardi di individui che vivono sulla Terra? Naturalmente, chi può pagare sarà connesso. Ma che ne sarà di quel 62 per cento che non ha mai fatto una telefonata e di quel 40 che non ha nemmeno l'elettricità? E come garantire la presenza di punti di vista diversi se la cultura verrà, di fatto, controllata da poche industrie globali?"

Una visione alla Orwell, ma siamo certi che non si tratti di una preoccupazione tipicamente occidentale?

"Se affrontiamo il tema della distribuzione delle risorse, è istintivo parlare di povertà, di fame, di mancanza di cure e di farmaci. Ma questo è quello che la globalizzazione ha prodotto finora. Visto come vanno le cose credo sia giunto il momento di impegnarci su due fronti: quello che è accaduto e quel che sta per accadere".

Anche perché, dice Rifkin, la globalizzazione è una faccenda vecchia. "Altro che Bush, altro che Monsanto. A mandare in malora il Pianeta sono stati gli inglesi ai tempi dei Tudor".

Prego?

"Prima di allora, l'Europa, tutta l'Europa, era organizzata in maniera comunitaria: i pascoli erano un bene comune, l'agricoltura era gestita in comune, i villaggi una vera comunità. Non era il migliore dei mondi, probabilmente, ma era una forma di vita sostenibile. Durò per oltre sei secoli e avrebbe potuto durare più a lungo".

Invece?

"Invece nel 1500, nell'Inghilterra dei Tudor appunto, ci fu la svolta. Alcuni banchieri e aristocratici decisero che le terre potevano esser utilizzate per altri scopi: non per crescere il grano con il quale alimentare la popolazione locale, ma per allevare pecore da lana. E con la lana avrebbero potuto produrre tessuti, iniziare commerci, avviare esportazioni. Di lì a poco, nei pascoli, comparvero i recinti. Ma quel che è peggio è che, così facendo, si iniziò a recintare il Pianeta".

In questi cinque secoli abbiamo recintato di tutto: la terra, gli oceani, l'aria; abbiamo istituito confini regionali, confini nazionali, acque territoriali, spazi aerei. E non è finita: grazie alle nuove tecnologie dell'informatica e della biologia, siamo pronti a mettere recinti anche al patrimonio genetico e alle onde radio con le quali comunichiamo.

"Per cinque secoli, l'Occidente non ha fatto altro che piantare paletti e alzare steccati. Il risultato? L'avvelenamento del Pianeta. Effetto serra, buco dell'ozono, piogge acide, estinzioni, deforestazioni e desertificazione. Gira e rigira la causa è sempre quella: i recinti che abbiamo piantato".

Abbiamo privatizzato l’ambiente e lo abbiamo sfruttato senza regole e senza limiti.

"Prendiamo l'effetto serra: non è un incidente o è un esperimento malriuscito. È il conto della cena, è quello che dobbiamo pagare alla fine di quel lauto banchetto che chiamiamo era industriale. E come tutti i conti da saldare è un debito: un debito atmosferico le cui cifre sono scritte sopra le nuvole in termini di anidride carbonica, metano, clorofluorocarburi, ossidi di azoto. Certo, le crisi ambientali ci sono sempre state, ma avvenivano a livello locale. Quelle che stiamo registrando adesso, invece, sono crisi globali. Abbiamo fatto un salto di qualità. In meno di 500 anni gli esseri umani hanno mandato in tilt la biochimica di un intero pianeta. Altro che Everest o conquista dei Poli: al di là di ogni giudizio morale, è questa la più grande impresa compiuta dall'uomo".

I risultati li leggiamo ogni giorno sui giornali. Sono quei super-uragani di nuova generazione, cinquanta per cento più potenti di quelli tradizionali e che ogni anno devastano le coste affacciate sugli oceani; è quel buco dell'ozono che, allargandosi, lascia entrare più raggi ultravioletti e aumenta il numero di tumori alla pelle. E ancora, è il ritmo con cui procede l'estinzione della biomassa: ogni minuto, ogni sessanta secondi scompare una specie vivente; entro i prossimi nove anni avremo perso il quindici per cento delle specie animali e vegetali. E' un autentico ecocidio, tanto per citare il titolo dell'ultimo libro di Rifkin.

E la gente che fa?

"Ci sono quattro tipi di reazione. La prima è quella di chi dice: "Non è vero, non succede nulla". La seconda: "Sta accadendo qualcosa, ma è così grande, così potente che non posso fare nulla". La terza: "Non posso fare nulla ma sono sicuro che qualcuno, da qualche parte, farà qualcosa: gli scienziati della General Electric, della General Motors della General Dynamics sanno tutti il fatto loro e troveranno certamente il modo di aggiustare il tutto".

È chiaro che nessuna di queste tre reazioni porterà a qualcosa di utile.

"L'unica alternativa è un autentico salto di consapevolezza o, se preferite, di coscienza, da parte di un’intera generazione. Si tratta di iniziare a vedere le cose da un altro punto di vista: smettere di pensare come singoli, come gruppi, come nazione. Dobbiamo pensare come specie".

Affascinante, ma francamente fa venire in mente i film di Tom Cruise: Mission Impossible.

"Rispondo con una domanda: chi, vent'anni fa, pensava che i mattoni del Muro di Berlino sarebbero stati venduti da Bloomingdale's a dieci dollari l'uno? O che un commediografo sarebbe diventato presidente di una parte della Cecoslovacchia? Gli eventi hanno preso un passo talmente rapido che, l'ultima cosa da fare, è stare fermi a guardare. Bisogna agire. Ma soprattutto pensare in modo diverso, rivedendo alcuni dei concetti alla base della nostra società".

Ad esempio?

"L'efficienza. È un concetto nato in termodinamica alla fine del diciannovesimo secolo: significa massimo risultato nel minimo tempo con il minimo di lavoro e di energia. Un concetto scientifico, dunque, ma che è stato applicato rapidamente al mondo del lavoro, prima da Taylor e poi da Ford. Ed è qui il grave errore, perché il Pianeta se ne frega dei principi di Taylor e di Ford. E i tempi di assorbimento e di riciclo, non possono inserirsi in quella equazione di massimo risultato con il minimo sforzo. Il mondo viaggia con il passo della sostenibilità, che è l'opposto dell'efficienza".

La soluzione?

"Il compromesso", dice Rifkin. Una strada che ci permetta di produrre e di costruire, ma tenendo conto che i tempi da rispettare sono quelli del Pianeta, non quelli di Ford. "Al posto della parola efficienza, dobbiamo usare il termine sufficienza. In Italia avete una splendida metafora ed è rappresentata dalle cattedrali di Roma o dalle case di Siena: sono state costruite impiegando un mucchio di tempo, di lavoro, di energia. E di danaro. Da un punto di vista termodinamico, cioè di efficienza, sono un autentico disastro.

Ma sono ancora lì. E hanno tutta l'aria di durare altri secoli, a differenza di molte costruzioni sorte in maniera "efficiente" nel giro di poche settimane". La filosofia dell’usa e getta non ha più senso, dice Rifkin, anche perché ci ha portati fuoristrada. Ma tornare in carreggiata non è impossibile, anche perché stiamo assistendo a un’importante novità: il risveglio della società civile, che bussa con insistenza alla porta di chi decide. "Fino a pochi anni le decisioni, anche quelle globali, venivano prese a tavoli con due sedie: da una parte l’economia, dall’altra la politica. Dopo Seattle, Praga, Davos le cose sono cambiate e ancora di più cambieranno a Genova. A quel tavolo, prima o poi, dovranno aggiungere una terza sedia".

Fonte:unitàonline