PER STABILIRE REGOLE DEL GIOCO PIÙ EQUE

 

di Juan Somavia*

È possibile sognare una globalizzazione di cui possano beneficiare anche i poveri e gli emarginati, che riduca le incertezze e moltiplichi le opportunità per tutti, insomma una globalizzazione equa? Certamente non secondo il modello attualmente prevalente. Ma anche questo modello si può cambiare, se si ammette la necessità di costruire una base sociale per l'economia mondiale, in modo che dei suoi vantaggi possa beneficiare un maggior numero di persone e che il costo degli aggiustamenti non ricada sulle spalle dei più deboli. E sarebbe così possibile adattare o modificare l'approccio puramente economicista sotteso alla globalizzazione. Ma bisogna allora rinunciare all'idea di economie e società aperte?

No, se solo si stabiliscono regole del gioco eque da applicarsi a tutti, tali da permettere un'effettiva uguaglianza di opportunità.

Le regole attuali sono percepite come discriminatorie nei confronti dei più deboli - si tratti di paesi o di singoli individui - il che spiega le reazioni contro le istituzioni che di queste regole sono l'emblema. L'equità che si aspettano gli individui, le loro famiglie e i paesi in via di sviluppo è la chiave di volta della legittimità: senza legittimità sociale, le politiche attuali resteranno fragili.

Un buon punto di partenza Il movimento globale dei cittadini emerso nelle manifestazioni che si sono susseguite da Seattle e a Genova ha contribuito a consolidare la prerogativa di urgenza delle risposte politiche. Occorre adesso impegnarsi per definire quei cambiamenti necessari che, attraverso una serie di obiettivi strategici coerenti e integrati, possano coagulare una coalizione pacifica mondiale il più ampia possibile... In questo senso, il Forum sociale mondiale di Porto Alegre ha costituito un buon punto di partenza. Da parte loro, i governi, le organizzazioni internazionali e le imprese devono rispondere e impegnarsi in un dialogo costruttivo sulle nuove direzioni da prendere. Si tratta di superare violenza e reazioni istintive, siano esse di carattere difensivo o aggressivo. Per progredire, sarebbe opportuno il rispetto per la voce dell'"altro" e la volontà di trovare soluzioni che si fondino su un ampio consenso. Certo, non è sempre facile. Come militante, mi è successo in passato di respirare gas lacrimogeni e di essere arrestato, perché spesso i "poteri costituiti" prestavano attenzione ad un problema solo quando si formava un movimento di contestazione e veniva attratta l'attenzione dei media.

Dietro il dibattito sulla globalizzazione si profilano questioni etiche complesse. I valori umani e spirituali ai quali si ispirano gli individui e le società devono riflettersi nel funzionamento dell'economia mondiale. Dobbiamo essere capaci di dare una risposta alle frustrazioni mute che tormentano molti cittadini e le loro famiglie; non tutti hanno la volontà, la forza o la possibilità di esprimersi nelle piazze, ma sarebbe un grave errore considerare il loro silenzio un assenso.

Il fatto è che il modello attuale di globalizzazione viene contestato in modo sempre più pronunciato, e non solo da quelli che lo mettono attivamente in discussione. Si deve fare qualcosa a breve scadenza per cambiare il corso degli eventi.

In mezzo a tutti i tumultuosi cambiamenti e alle insicurezze che viviamo, il significato del lavoro nella vita di ognuno resta immutato.

Si tratta di un elemento determinante della nostra esistenza, un mezzo per vivere e soddisfare i bisogni fondamentali. È anche un'attività grazie alla quale gli individui affermano la propria identità, sia rispetto a se stessi, sia rispetto agli altri. Dal lavoro dipendono la capacità di esercitare una scelta personale, il benessere delle famiglie e la stabilità delle società. Il lavoro è anche il mezzo più sicuro per affrancarsi dalla povertà.

La soddisfazione che danno il lavoro e il relativo reddito ha un impatto diretto sulla qualità delle relazioni familiari. Nel caso dei genitori, la mancanza di questi elementi alimenta le tensioni, le violenze e i maltrattamenti; arreca danni alla vita scolastica dei figli, che possono avvicinarsi alla delinquenza e alla droga, oltre che - come avviene troppo spesso - al lavoro minorile. Tutti questi fenomeni sono amplificati nelle situazioni in cui vi è un unico genitore.

Essendo al centro della vita delle persone, il lavoro è anche al centro della politica. La sua essenza e la sua qualità costituiscono un prisma attraverso il quale i cittadini giudicano la conduzione delle imprese, il comportamento dell'economia e il modo in cui i governi si assumono le proprie responsabilità.

Perché ci concentriamo sul concetto di "lavoro decente" (si veda il box alla pagina I)? Perché nel mondo c'è un enorme deficit di "lavoro decente".

Innanzitutto, si può constatare una carenza di posti di lavoro: nel mondo vi sono 160 milioni di persone dichiaratamente disoccupate e, se a queste si aggiungono i sottoccupati, il numero diventa esplosivo e raggiunge almeno il miliardo di unità.

Ci sono 500 milioni di "lavoratori poveri", distribuiti in tutte le regioni del pianeta: nei prossimi dieci anni, per poter assorbire le nuove unità che si immettono nel mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione, si dovrebbero creare cinquecento milioni di nuovi posti di lavoro. La creazione di nuove opportunità per i giovani e le donne rappresenta quindi una vera priorità.

Diritti universali In secondo luogo si può riscontrare una carenza sotto il profilo dei diritti. Ci sono milioni di persone che non fruiscono di alcuna libertà sindacale e di organizzazione. Il lavoro coatto, la schiavitù per debiti, il lavoro minorile e la discriminazione sono mali che continuano ad imperversare. Sono ancora circa 250 milioni i minori che lavorano, decine di milioni dei quali sono sottoposti alle peggiori forme di sfruttamento. Presente ovunque, la disuguaglianza tra uomini e donne si esplicita in tutto il mondo con una maggiore carenza di lavoro decente per queste ultime. Vi è poi una carenza di tutela sociale. Sebbene quest'ultima costituisca un'esigenza e un fattore di progresso sociale, l'80% della popolazione attiva mondiale non fruisce a tutt'oggi di una tutela sociale adeguata sotto forma di previdenza, di indennità di disoccupazione o di altre forme di assistenza sociale. In molti paesi a basso reddito, la tutela formale degli anziani e degli invalidi, nonché l'indennizzo per le malattie e le spese sanitarie, riguarda solo una percentuale infima della popolazione. Si possono contare quotidianamente 3.000 "morti bianche" per incidenti sul lavoro o per malattie professionali.

In quarto luogo, si può lamentare un deficit di dialogo sociale.

La tendenza è troppo spesso quella di imporre soluzioni, piuttosto che di ricercare accordi per via negoziale o attraverso il dialogo, anche se l'esperienza dimostra che gli approcci basati sulla cooperazione danno buoni risultati sotto il profilo economico.

Quali sono i cambiamenti politici di ordine strategico che potrebbero avvicinarci all'obiettivo del lavoro decente? Prima di tutto, bisognerebbe riconoscere che gli obiettivi di sviluppo sociale devono essere parte integrante delle politiche economiche. Senza progresso sociale, l'efficienza economica non è politicamente vitale in un sistema democratico; non si possono trattare le persone come merci il cui valore è definito dal mercato. L'unica soluzione davvero possibile a lungo termine è che gli obiettivi di sviluppo economico e quelli di sviluppo sociale procedano di pari passo.

Da questo punto di vista, l'Oil ritiene che alcuni aspetti siano di importanza cruciale.

Nell'ambito dell'economia mondiale è necessario stabilire il principio che chiunque lavori abbia determinati diritti, e che questi non sono vantaggi accessori che si possono conseguire solo quando la congiuntura economica è favorevole. Questi diritti devono costituire una piattaforma.

Nel 1995, il Summit mondiale per lo sviluppo sociale ha definito chiaramente, e per la prima volta, tali diritti fondamentali; essi sono stati incorporati nel 1998 nella dichiarazione dell'Oil sui principi e i diritti fondamentali del lavoro (si legga, nella pagina accanto, l'articolo Un impegno solenne). Si tratta della libertà di associazione e del diritto alla contrattazione collettiva, nonché del diritto di rifiutare il lavoro coatto, il lavoro minorile e la discriminazione. Questi diritti valgono in ogni paese, quale che sia il suo livello di sviluppo, nei laboratori clandestini e nelle periferie più arretrate del Nord, come anche nelle bidonville e nelle zone franche - per l'esportazione - del Sud. Sono diritti universali.

L'esercizio di questi diritti può essere garantito in modi diversi: azione legislativa, accordi internazionali, politiche di sviluppo appropriate, strategie delle organizzazioni sindacali, pressione dell'opinione pubblica, attivismo comunitario... Anche le proposte di politiche e programmi di cooperazione tecnica di tutte le organizzazioni internazionali dovranno rispettare e promuovere questi diritti e, tanto per cominciare, non si dovrebbe attuare nessuna misura che li possa comprimere.

La promozione dei diritti deve essere legata ad uno sviluppo economico sostenuto e durevole, ad un incremento della produttività, nonché a un ambiente favorevole agli investimenti e alla creazione di imprese e posti di lavoro quali mezzi per ridurre lo stato di povertà. Ciò è stato anche affermato chiaramente in occasione del Summit sociale, in cui si è stabilito che l'occupazione e l'integrazione sono i mezzi principali per vincere la povertà e l'emarginazione. Affinché i diritti dei lavoratori siano una realtà, bisogna che ci sia il lavoro. Si tratta di legare concretamente giustizia sociale e progresso economico.

Una globalizzazione "integratrice" Se si prendono in considerazione le politiche per l'occupazione, sono diversi gli aspetti che possono essere migliorati: „ Si insiste troppo sulla difesa del capitale finanziario e in particolare di quei capitali "febbrili" che si spostano rapidamente, con tutti i loro "effetti contagiosi". Occorrerebbe ridurne la volatilità e promuovere l'espansione dei capitali produttivi che creano imprese e occupazione. E quel che si dimentica - troppo spesso, purtroppo - è che bisogna rafforzare le capacità degli individui, cioè il capitale più importante di ogni società.

„ Si insiste troppo sulle grandi imprese e non abbastanza sulle facilitazioni da accordare alle piccole e medie imprese, nonché a quelle piccolissime imprese che oggi creano la maggior parte dei posti di lavoro.

„ Si insiste troppo sulla flessibilità nelle assunzioni e nei licenziamenti; l'esperienza ha mostrato che un'adattabilità negoziata rispetto ai cambiamenti congiunturali del mercato dà migliori risultati sia dal punto di vista dei datori di lavoro che da quello dei lavoratori.

„ Si insiste troppo sul commercio quale motore dello sviluppo dei paesi più poveri, quando l'80 % delle esportazioni di manufatti da parte dei paesi in via di sviluppo riguarda solamente tredici economie, tra le quali non figura nessuno dei paesi più arretrati.

„ Si insiste troppo sulle "prospettive di beneficio" a breve termine di una quotazione in borsa delle imprese, e non abbastanza sulla loro politica sociale e sul loro impatto ambientale, aspetti in relazione ai quali si potrebbero produrre benefici più duraturi. È possibile fare un bilancio dei risultati che riguardano tutti e tre gli aspetti, ma sarebbero necessarie soluzioni arbitrali.

„ Non si insiste abbastanza sul miglioramento delle condizioni in cui si esercita il lavoro autonomo e sull'affidabilità dei mezzi di sussistenza nell'economia informale, situazione in cui lavora la maggior parte delle popolazioni nei paesi in via di sviluppo.

„ Non si insiste abbastanza sulle politiche di stimolo per gli investimenti, lo sviluppo delle imprese e lo spirito d'impresa in tutti i settori dell'attività umana, siano essi a scopo di lucro o meno.

„ Non si insiste abbastanza sulle possibilità di impiegare la forza economica del mercato per finalità sociali - ciò che chiameremo "attivismo del mercato" - per mezzo di fondi d'investimento socialmente responsabili, di iniziative per il commercio equo, di un maggior controllo da parte dei lavoratori sui criteri con cui vengono impiegati i loro fondi pensionistici, del lancio da parte delle associazioni dei consumatori di campagne contro il lavoro coatto e lo sfruttamento del lavoro minorile, nonché di iniziative private volontarie che possano essere controllate in modo credibile.

Perché, se è possibile perseguire obiettivi sociali in ambito nazionale, non è possibile fare altrettanto a livello mondiale? Uno dei motivi è che non disponiamo ancora di una gestione socialmente responsabile dell'economia globale. Molti paesi in via di sviluppo hanno un atteggiamento difensivo o sospettoso nei confronti dei cambiamenti di dimensione planetaria sui quali essi non possono avere influenza o dai quali non possono trarre un beneficio adeguato. Nel mondo industrializzato vi sono anche voci che perorano la causa di una globalizzazione più "integratrice", ma queste posizioni si scontrano con settori dell'opinione pubblica o con interessi specifici più preoccupati delle proprie incertezze e insicurezze.

Esistono già diversi strumenti e istituzioni che agiscono a livello internazionale - e l'Oil è uno di questi. Ma nessuna istituzione può occuparsi di questi problemi da sola. Il ritmo e lo sviluppo dell'economia mondiale, nonché la limitata integrazione degli obiettivi sociali nel quadro internazionale, mostrano chiaramente che l'efficacia del sistema multilaterale delle organizzazioni internazionali ha bisogno di essere migliorata attraverso la promozione della sicurezza umana. Dobbiamo urgentemente orientarci verso un equilibrio fondamentale tra il pilastro economico e quello sociale della gestione politica mondiale. Abbiamo bisogno di istituzioni, di politiche e direttive che, a livello globale, difendano e riflettano la dignità e i valori dell'essere umano.

Nell'economia mondiale l'aggiustamento è inevitabile. In compenso, non lo è un aggiustamento che ricada sulle spalle dei lavoratori.

Con politiche appropriate, si potrebbe attribuire un onere maggiore a coloro che sono in grado di sostenerlo - imprese, classi sociali o stati. Lo stesso discorso vale per il rafforzamento della capacità organizzative degli individui e per le opportunità offerte da quelle positive trasformazioni sociali legate alle nuove tecnologie informatiche.

L'economia mondiale può creare lavoro decente e rafforzare la sicurezza, come fondamento di uno sviluppo duraturo. Per conseguire questi obiettivi, lavoratori e datori di lavoro devono potersi organizzare e contrattare, concepire programmi per la crescita e lo sviluppo nei quali la produttività economica e quella sociale possano procedere di pari passo. Il dialogo sociale può servire a valutare obiettivamente i cambiamenti congiunturali del mercato.

Responsabilità condivisa L'Oil è impegnata su tutti questi fronti. Si tratta di una sfida formidabile, poiché presuppone un'evoluzione e un cambiamento delle attitudini in grado di correlare gli obiettivi e i valori del lavoro decente all'economia mondiale. In questa fase è importante la concertazione.

L'Oil incoraggia la collaborazione tra datori di lavoro, lavoratori e governo ed è aperta agli altri attori sociali. I suoi obiettivi e i suoi valori sono condivisi da molti singoli individui e da organizzazioni: per un reale progresso è infatti necessaria una coalizione mondiale.

La "società civile" dà il meglio di sé quando ispira l'ordine del giorno mondiale e si oppone agli interessi dello status quo. Questo è il modo in cui si è sviluppata la lotta in difesa dell'ambiente, e quella in favore dei diritti dell'uomo e della parità tra i sessi.

Lo stesso può avvenire nel caso del lavoro decente: si tratta di una responsabilità condivisa alla quale ciascuno può fornire il proprio contributo.

Segretario generale dell'Oil.

Fonte: Monde Diplo 12/2001