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Al vertice di Johannesburg hanno vinto i potenti. E le imprese private, presentate dall'Onu e anche dalla maggior parte delle Ong come salvatrici del mondo. A conti fatti, nel documento finale si considera accettabile che nel 2015 ci siano più di 3 miliardi di "poveri" con meno di due dollari al giorno. Gli altri impegni sono in gran parte la ripetizione di promesse non mantenute. La Terra è ridotta ad essere vissuta come un grande centro commerciale, dove ciascuno di noi cerca di massimizzare il proprio profitto individuale. Che fare? Cominciamo a disertare vertici come questo. Recuperando lo spirito di Porto Alegre

ROSARIO LEMBO*

RICCARDO PETRELLA**

 

E' nato male e finito peggio il vertice di Johannesburg. Hanno "vinto" i potenti del mondo. Gli Stati uniti, innanzitutto, che ne escono però con una bruttissima immagine. Poi le grandi imprese multinazionali private, che sono riuscite a farsi considerare dagli altri soggetti (Ong comprese) come il partner obbligato ed insostituibile per lo sviluppo sostenibile nel mondo. Ha perso, invece, l'umanità. E con essa i diritti umani e sociali, lo sviluppo sostenibile, lo sradicamento della povertà, la democrazia, la pace, la solidarietà, la gioia del vivere insieme, la libertà. Hanno perso anche le Nazioni unite. Ormai ridotte al ruolo di promotrici di "fiere politiche mondiali", dove i potenti comprano e vendono quello che è nel loro interesse, contrabbandandolo per interesse generale. Ha perso l'Unione europea, la quale malgrado alcuni (deboli) ruggiti e (brevi) momenti di audacia, alla fine si è adeguata. Hanno perso, infine, le Ong le quali, nonostante i successi mediatici ottenuti dalle "grandi" Ong e, talvolta, anche dalle "piccole" come la nostra, sono andate al vertice in ordine sparso.

Johannesburg ha confermato che i potenti rifiutano le regole. Già lo sapevamo. Le regole creerebbero intoppi burocratici. Nessun regolamento dall'alto. Solo autoregolamentazione dal basso. La legge della giungla dove ha ragione il più forte. Per la prima volta un vertice si chiude senza una convenzione o un trattato. Solo un retorico "documento politico" finale che brilla per la miseria dei contenuti e la mancanza di coraggio politico. In più, la maggior parte dei 152 impegni assunti altro non sono che ripetizioni di impegni precedenti non realizzati. E' il caso dell'obiettivo di stanziare lo 0,7% del Prodotto nazionale lordo di ogni paese ricco all'aiuto ufficiale internazionale allo sviluppo dei paesi poveri. Niente da dire. Un vero regresso di fronte a Rio e a Kyoto.

Un caso esemplare: l'obiettivo di dimezzare di qui al 2015 il numero dei poveri e di persone non aventi accesso all'acqua potabile. Le Nazioni unite definiscono "poveri" coloro che vivono con meno di due dollari al giorno: 2,7 miliardi di persone. Quel che non ci dicono è che questo impegno riguarda solo i "grandi" poveri, cioè coloro che "vivono" con meno di 1 dollaro al giorno: 1,3 miliardi di persone. I 189 Stati presenti a Johannesburg si sono, dunque, impegnati a diminuire di 650 milioni di persone il numero dei grandi poveri accettando di continuare a lasciare in povertà, a popolazione mondiale costante rispetto all'attuale (6 miliardi), 2,050 miliardi di esseri umani. Se si aggiunge l'aumento della popolazione mondiale, che ci sarà e che è stimata nei prossimi 15 anni a più di un miliardo di persone (70 milioni di aumento all'anno), e la cui quasi totalità nascerà fra i poveri dell'Asia, dell'America latina e dell'Africa, il vertice di Johannesburg accetta formalmente l'idea che bisogna considerare come inevitabile l'esistenza nel 2015 di più di 3 miliardi di esseri umani "viventi" con meno di 2 dollari al giorno. E questo lo hanno chiamato un passo avanti sulla via dello sviluppo sostenibile e della dignità umana per tutti. Che faccia tosta. Le stesse osservazioni valgono per quanto riguarda l'obiettivo del dimezzamento al 2015 delle persone senza accesso all'acqua potabile sana (1,4 miliardi) ed ai servizi sanitari di base (2,4 miliardi). I potenti del mondo avevano affermato nel 1977, alla prima grande conferenza mondiale sull'acqua a Mar del Plata, che avrebbero assicurato l'accesso all'acqua potabile a tutti gli abitanti della Terra nel 2000.

Assenza di obiettivi cifrati e di uno scadenzario preciso anche per quanto riguarda la riduzione/soppressione dei sussidi all'agricoltura da parte dei paesi ricchi: i sussidi ammontano a 347 miliardi di dollari USA all'anno! Una cifra "sconsiderevole" se si pensa che secondo i dati forniti a Johannesburg dall'Unesco sono necessari, rispetto agli investimenti esistenti, un extra di 9 miliardi di dollari all'anno (per l'acqua potabile) e di 2 miliardi di dollari annui (per i servizi igienici), su un periodo di dieci anni - dunque, un totale di 110 miliardi di dollari - per assicurare a tutti gli abitanti del pianeta l'accesso all'acqua potabile ed all'igiene. Malgrado ciò, il vertice ha riaffermato che il solo obiettivo realista possibile è il dimezzamento del numero delle persone senza acqua e senza servizi igienici.

Niente di sorprendente, anche perché Johannesburg ha consacrato il rigetto esplicito del riconoscimento dell'accesso all'acqua come un diritto umano e sociale, individuale e collettivo, e come bene comune mondiale non suscettibile di appropriazione privata. Addio senso della comunità mondiale. Addio affermazione della mondialità dei problemi e delle soluzioni come quadro di riferimento per le soluzioni locali, nazionali ed internazionali. Addio beni comuni mondiali. Addio regole ed istituzioni democratiche pubbliche mondiali. Largo al Wto, di cui si é tanto parlato al vertice. Largo al commercio. Largo alla soddisfazione degli interessi particolari. L'approccio della convergenza degli interessi su delle azioni particolari, come modo privilegiato nella lotta per uno sviluppo sostenibile mondiale, consacra una concezione dello sviluppo sostenibile come un "menu à la carte" e dà legittimità politica all'attuale tendenza alla mercificazione d'ogni forma di vita. La Terra è ridotta ad essere vissuta come il più grande centro commerciale mondiale, dove ciascuno di noi, venditore e consumatore allo stesso tempo, cerca di convergere, al fine della massimizzazione della propria utilità individuale, con il venditore/consumatore che sembra più appropriato.

Cosi a Johannesburg hanno vinto soprattutto i potenti privati. Anche se niente è fondamentalmente cambiato nelle strategie e nel comportamento delle imprese multinazionali private (vedasi Enron - fra le prime dieci imprese mondiali dell'acqua -, WordCom, Abb, Vivendi...), al di là dei codici volontari di buona condotta delle imprese, rivelatisi un efficace strumento della politica imprenditoriale d'immagine e di comunicazione, le 900 grandi imprese private presenti a Johannesburg sono state trattate, dai poteri pubblici nazionali e dalle organizzazioni delle Nazioni unite, cosi come anche da gran parte delle Ong, con grande rispetto e con tutti gli onori. Al vertice, sono state persino elevate al ragno di "salvatrici" del Pianeta. Il "vangelo di Johannesburg", predicato ogni giorno ed in ogni occasione, è stato il PPP (Partenariato Pubblico Privato). Il PPP è una delle forme di privatizzazione dei servizi pubblici privilegiata fin dal 1993 dalla Banca Mondiale ed, oramai, da questa imposta con successo in tutte le istanze delle Nazioni unite. Il PPP è alla base della "politica detta del dialogo". Coloro che non accettano il PPP sono accusati di rifiutare il dialogo tra i poteri pubblici, le imprese private e la società civile e, quindi, di agire contro lo sviluppo sostenibile. Che bella mistificazione. Le imprese sole possederebbero le risorse finanziarie, l'incentivo, le conoscenze scientifiche e tecnologiche e le risorse umane necessarie per promuovere lo sviluppo. Il cammino da seguire sarebbe dunque la promozione generalizzata del parteniarato con le imprese private. Kofhi Annan ha addirittura sostenuto che per prendere in mano l'iniziativa dello sviluppo sostenibile, il settore privato non deve aspettare l'accordo degli Stati: le imprese devono iniziare anche da sole.

L'addio alla "politeia", alla "politica della polis" ed il benvenuto caloroso alla privatizzazione della politica non potevano essere più esplicitamente affermati. Il cittadino è avvertito: è l'insieme dei paesi, il mondo, che è trattato come un'impresa, il cui governo è meglio assicurato dalle imprese multinazionali mondiali rispetto alle quali "il dialogo" sarebbe lo strumento che garantirebbe la democrazia.

Di fronte ad una tale situazione, è urgente che il cittadino prenda coscienza della necessità della rivolta e della costruzione delle alternative. Da Johannesburg è emersa una chiara conferma della giustezza del processo e dei meccanismi messi in moto da Porto Alegre. Non dobbiamo più partecipare a vertici come quelli di Johannesburg né a quelli del G8.

In tali occasioni dobbiamo pensare ad organizzare massicce forme di disobbedienza civile. Dobbiamo, invece, rafforzare le nostre azioni a due livelli. A livello del metodo "Porto Alegre", continuando a fare dei "Forum sociali" locali, cittadini, nazionali, continentali, mondiali, il luogo collettivo della costruzione della nuova narrazione alternativa e del consolidamento delle alleanze e delle coalizioni tra i vari gruppi e le varie azioni sul terreno. A livello delle battaglie sociali e politiche "locali" - in particolare nazionali -, (ri)centradole sulla difesa e la promozione del diritto alla vita per tutti, sui diritti umani di base (acqua, aria, alimentazione, educazione, alloggio, salute, informazione) e sulla nuova indispensabile architettura del vivere insieme a livello mondiale.

*Presidente del Cipsi

**Presidente del Comitato italiano per il contratto mondiale dell'acqua

Fonte: Manifesto 8/9/2002