RIPROVIAMOCI CON MISTER TOBIN
di Lidia Ravera
È buffo, quelli che sono stati di sinistra da piccoli e non sono invecchiati male, non hanno pace. Si innervosiscono di questo governo così prosaico nei suoi orizzonti ben visibili di pochezza morale e intellettuale. Si scocciano dell’America che sostiene e bombarda, ora questo ora quel paese povero, secondo le sue priorità economiche. Se la prendono proprio, come fosse una faccenda personale, che il mercato domini il mondo, chi è ricco ha il suo banchetto e vende, chi può comprare sta zitto e compra, tutti gli altri crepano di fame, ma chi se ne frega, non siamo mica dei santi, non siamo mica onnipotenti, non abbiamo più l’età per sognare.
Noi invece sì. Cioè. L’età per sognare dura fino all’ultimo respiro, se hai il coraggio di modificare il sogno, nel corso dell’esistenza, non perché cambi tu, ma perché cambia il mondo e tu la devi adeguare, la tua fantasia di giustizia. Prendiamo, per esempio, il comunismo: sono stati in tanti a fantasticarci sopra, qualche paese l’ha realizzato, s’è visto che non funzionava, senza burocrazia, senza violenza, senza costrizioni. In tanti ci sono rimasti male e per anni hanno portato il lutto, aggirandosi smarriti per il reale, alla ricerca di altre ricette ideali per la riduzione del tasso di infelicità generale, qualcosa che trascendesse la piccola contabilità quotidiana dei propri affari personali. La sensazione che ho questa mattina, andandomene a piedi verso il Teatro dei Servi, è che il lutto sia stato elaborato, che si possa ricominciare a chiedere l’impossibile e realizzarlo attraverso le opportune mediazioni: sto andando alla presentazione dell’Attac. Lo so, la sigla non è attraente, bisogna farci l’orecchio, lì per lì, sa di azienda dei trasporti, ma provate a spostare l’accento in avanti: Attàc. Già suona meglio. È una associazione fondata da intellettuali (oggi chi continua a pensare e studiare è un rivoluzionario, dati i modelli correnti), in Francia, nel 1998, nei dintorni di "Le Monde diplomatique", e che ormai è presente in 40 paesi.
È un gruppo di autoeducazione, che si propone di elaborare tattiche e strategie che rallentino l’aggravarsi della sperequazione fra ricchi e poveri. Mi piace perché ha un respiro mondiale, ha il fiato lungo di chi affronta la complessità del nuovo millennio. E la affronta con l’allegria spericolata dei sognatori, ma anche con gli strumenti di precisione dei riformisti. Il sogno è che ci sia un mondo solo: non il primo, e il terzo. E di qua l’opulenza con tutti i suoi cattivi odori, e di là la fame con l’ignoranza figlia della povertà. Un mondo solo. Dove chi ha di più si fa carico, spontaneamente, istintivamente, dei problemi di chi ha meno. Perché è buono? No, non necessariamente, anche soltanto perché è lungimirante, e ha paura che cresca a dismisura la rabbia di chi soffre: il terzo mondo è più vasto, più popolato, più giovane del primo. E allora cominciamo pure con la lotta per la Tobin Tax, lottiamo perché venga prelevato lo 0,05 % di moneta da ogni transazione di cambio. Sventoliamo verdi bandiere color dollaro, come dei ragionieri rivoluzionarii, al posto di Marxleninmaotzetung mettiamo mister Tobin, un keynesiano, un economista, un premio Nobel, perché no? Se raccogliamo 50 mila firme, possiamo presentare una proposta di legge che imponga un obolo a chi vive di speculazioni (è per quello che i ricchi diventano sempre più ricchi, se non sbaglio) e si tratta di una stimata elemosina fra i 90 e 100 miliardi di dollari. Proviamo. In Francia ce l’hanno fatta. Proviamo. Sarà il governo a dire no, ma dovrà dircelo in faccia, pubblicamente, ad alta voce. Allora cadranno le ultime fette di salame dagli occhi degli ultimi cittadini di centrodestra in buona fede. E anche questo è un effetto collaterale interessante.
Fonte: L'Unità
24/01/2002