IL RILANCIO IMPOSSIBILE DEL WTO


L’EX PRESIDENTE MESSICANO: DOPO IL SEMIFALLIMENTO DEL ROUND DI DOHA COMMERCI BLOCCATI

ZEDILLO: ANCHE NEL 2004 NESSUN PASSO AVANTI

I semi del fallimento del round di Doha sono stati gettati fin dal momento in cui è stato lanciato nel Qatar nel 2001, quindi alimentati fino al meeting dell'Organizzazione mondiale sul commercio (Wto) a Cancun nel settembre 2003. È stata, per parafrasare Gabriel Garcia Marquez, la cronaca di una morte annunciata. E’ vero, al round di Doha c'era abbastanza entusiasmo per un'autentica cooperazione internazionale, specie dopo la tragedia dell'11 settembre. Lo si era persino battezzato come l'Agenda di sviluppo della Organizzazione mondiale per il commercio. I paesi in via di sviluppo sono stati persuasi a partecipare al round perché, era stato detto loro, rappresentava un'occasione unica per affrontare questioni annose, in particolare lo scandaloso protezionismo agricolo dei ricchi. Tuttavia fin dall'inizio c'erano dei fondati motivi per essere scettici sulla sincerità dell'impegno dei paesi sviluppati perché il round di Doha avesse successo. Da un certo punto di vista, l'Ue e il Giappone hanno accettato le negoziazioni sull'agricoltura solo dopo aver sovraccaricato l'ordine del giorno con altre questioni di minore importanza per i paesi in via di sviluppo e imponendo, per la conclusione dei negoziati, un approccio del tipo "o tutto o niente". Gli Stati Uniti hanno rovinato la propria reputazione liberalistica introducendo dazi sull'acciaio e un disegno di legge per sovvenzionare l'agricoltura, inoltre hanno ulteriormente offuscato la propria leadership commerciale quando nel dicembre 2002 hanno bloccato un accordo mirato a facilitare l'accesso dei paesi poveri ai farmaci essenziali, modificando l'accordo commerciale e i relativi diritti di proprietà intellettuale. Ci sono voluti altri otto mesi per sbloccare l'accordo. Le maggiori delusioni, e in definitiva le cause del fallimento del meeting, sono venute dal fronte agricolo. Delle vere e proprie negoziazioni non hanno mai avuto luogo, né a Cancun, né prima di Cancun. Le nazioni hanno prodotto le loro proposte ma non hanno mostrato nessuna disponibilità ai compromessi. L'Ue è stata il peggiore trasgressore, anche se non l'unico. Solo nel giugno del 2003 ha annunciato alcune tiepide riforme della politica agricola comune; per il resto non ha prodotto nessuna proposta coerente con il mandato di Doha sull'agricoltura. Qualche giorno prima del meeting di Cancun, gli Stati Uniti e l'Unione Europea hanno formato una sorta di coalizione, purtroppo però, per uno scopo sbagliato: perpetuare il protezionismo agricolo. Da una parte la proposta di europei ed americani era molto vaga riguardo la possibilità di accedere ai loro mercati; dall'altra era invece molto precisa riguardo protezioni e massicce sovvenzioni ai propri agricoltori. Non sorprende che questo fronte comune abbia avuto delle conseguenze. Infatti ha dato luogo alla nascita di una coalizione di paesi, capeggiati da Brasile, India e Cina, che ha prodotto una propria proposta sull'agricoltura ed è rimasta monolitica fino quasi alla fine del meeting. Nemmeno un gesto dell'ultima ora da parte dell'Ue, ad esempio la rinuncia agli accordi multilaterali sugli investimenti e sulla concorrenza contenuti nell'agenda di Doha, ha potuto rimettere in carreggiata le negoziazioni. Il guaio potrà essere riparato nel 2004, anno in cui in origine si sarebbe dovuto concludere il meeting? È improbabile, se non impossibile. Ovviamente il round di Doha verrebbe immediatamente resuscitato se i paesi iniziassero a negoziare seriamente la liberalizzazione dell'agricoltura. In primo luogo questo richiederebbe da parte dei paesi ricchi una mossa significativa in direzione di una limitazione dei sussidi agricoli (e del loro svincolamento dalla produzione) e di un significativo abbattimento delle barriere alle importazioni. Richiederebbe inoltre un grande sforzo da parte dei paesi di sviluppo per realizzare riforme commerciali serie e in linea con i loro interessi a lungo termine. I paesi in via di sviluppo hanno giustamente resistito alla combutta tra Europa e Stati Uniti, ma questa resterà una vittoria di Pirro se questi paesi continueranno a vedere il round di negoziati solo come un'occasione per ottenere più concessioni possibile senza doversi ulteriormente aprire agli scambi internazionali. Danneggeranno gravemente le proprie prospettive di sviluppo se continueranno a cercare di ottenere esenzioni dagli obblighi del Wto invece di garantire un accesso più libero a tutti i mercati internazionali. Nonostante gli enormi vantaggi che comporterebbe una liberalizzazione del commercio a livello globale, per il 2004 non dobbiamo aspettarci grandi progressi nelle negoziazioni per l'accesso ai mercati. Sia in Europa che in Giappone le situazioni politiche interne non saranno propizie a una seria riforma dell'agricoltura, e ancor meno lo saranno negli Stati Uniti, date le elezioni presidenziali di fine anno. Inoltre ci vorrà un po' di tempo perché i paesi in via di sviluppo digeriscano i bocconi amari ingoiati a Cancun. Una strategia più realistica e promettente per salvare i negoziati consisterebbe nel ritorno dei membri del Wto per discutere dei principi invece che dei dettagli. Paradossalmente, in un anno politicamente gravido come sarà il 2004, invece di discutere sulle reciproche concessioni di mercato, forse sarebbe più facile mettersi d'accordo su qualcosa di più importante: la visione di un grande sistema di commercio multilaterale, capace di stimolare la crescita e lo sviluppo. Evitando per il momento di negoziare i dettagli, i membri del Wto possono convenire sul fatto che, in tempi ragionevolmente lunghi, il sistema del commercio deve prevedere la completa rimozione delle barriere allo scambio delle merci, una liberalizzazione sostanziale e totale dei servizi e l'applicazione dei principi della reciprocità e della non discriminazione. In questo caso i membri del Wto potrebbero anche concordare sul fatto che una Organizzazione mondiale per il commercio veramente efficiente dovrebbe concentrarsi esclusivamente sulla liberalizzazione degli scambi, senza più occuparsi di altre mansioni di governo dell'economia mondiale, che potrebbero essere più efficacemente svolte da altri enti regionali o multilaterali. Se queste idee verranno adottate, i negoziatori potranno disporre di una bussola per ricominciare a navigare nelle turbolente acque dei negoziati sul commercio. * ex presidente del Messico, direttore del Centro di studio della globalizzazione di Yale copyright La Stampa The Economist


Fonte: La Stampa 27/12/2003