La mia guerra contro l’Impero

Impedire il G8 di Genova. Senza rompere neanche una vetrina. Con armi medievali, provocazioni e fantasia. Per dire no alla globalizzazione

colloquio con Luca Casarini - di Enrico Pedemonte

FONTE: L'ESPRESSO 21 GIUGNO 2001

Se le tute bianche fossero un’azienda, Luca Casarini sarebbe l’"uomo immagine". È lui che il 26 maggio, dal palazzo Ducale di Genova, ha dichiarato guerra ai potenti del mondo. E sempre lui, qualche settimana dopo, ha tranquillizzato la città dicendo che i suoi militanti si impegnavano a non rompere neppure una vetrina. Ufficialmente è il portavoce di questo gruppo, che ha per antenato Autonomia operaia, discende direttamente dai centri sociali, ma che negli ultimi anni, in coincidenza con la rivolta di Seattle, è riuscito a darsi un’immagine postmoderna. Adottando un nuovo linguaggio e indossando buffe tute lunari di garza bianca, scudi di plexiglas, corazze di gommapiuma.

Certo, le tute bianche sono soltanto una minoranza del variopinto popolo di Seattle. Ma con la loro abilità nel gestire la comunicazione sono riuscite a diventarne insieme l’avanguardia di combattimento e il simbolo mediatico. E Luca Casarini, padovano, 34 anni, diploma da perito termotecnico e colorita parlata veneta, è il profeta di questo incredibile movimento che insieme affascina e inquieta. Lo abbiamo intervistato a Padova, nel corso della festa di Radio Sherwood, da anni l’emittente dell’arcipelago dei centri sociali.

Prima il ministro degli Esteri Renato Ruggiero e poi Silvio Berlusconi hanno detto che gli obiettivi del popolo di Seattle sono gli stessi del governo. Cosa sta succedendo?

"Hanno paura. Capiscono che questo movimento è destinato a crescere. Il fatto che a Göteborg, in Svezia, ci fossero 25 mila persone significa che a Genova ce ne saranno 200 mila: solo noi ne porteremo 10 mila pronte ad azioni di disobbedienza civile. E non è solo una questione di cortei. Basta guardare come si moltiplicano, nei supermarket, gli scaffali riservati al cibo biologico, e alla crisi delle aziende legate al transgenico come la Monsanto. Le nostre manifestazioni finiscono sulle tv di tutto il mondo: sono come milioni di cartoline che arrivano nelle case degli sfruttati".

A guardare le vostre ultime mosse vien da pensare che abbiate un ufficio marketing.

"No, niente marketing. Abbiamo degli analisti esperti di comunicazione. Sappiamo che cosa dobbiamo fare perché si parli di noi. Quando un giornalista del "Giornale" mi telefona e mi chiede, implicitamente, di dargli qualcosa da prima pagina, io rispondo: "A Genova dichiariamo guerra ai grandi del mondo". E quelli lo mettono in prima pagina. Oppure tiriamo fuori la storia degli "uomini topo", che sono già al lavoro, sempre a Genova, a scavare nei sotterranei. E loro abboccano".

Avete anche detto che lancerete sacchetti di sangue infetti di Aids?

"No, questa è farina dei servizi segreti. Basta andare a vedere le firme dei giornalisti che hanno scritto per primi questa cosa: gente che ha tradizionalmente rapporti con quel mondo".

Che strumenti userete a Genova?

"Non possiamo svelarlo. Ma saranno armi creative, progettate per bucare la comunicazione oltreché il muro che circonderà la zona rossa. Saranno strumenti talmente assurdi da risultare divertenti".

Vi piacciono le metafore: Genova è una città medievale, e allora ecco l’impero assediato dagli straccioni.

"A Genova abbiamo messo a punto un messaggio fortissimo, basato sulla metafora medievale: ci siamo ispirati a Braveheart. Vogliamo dire che siamo arrivati a un nuovo Medioevo, in cui da una parte c’è il massimo della potenza tecnologica e dall’altra i bambini di sei anni che cuciono scarpe per la Nike nel Terzo mondo. Le metafore sono uno strumento irresistibile. La cosa paradossale è che i nostri avversari ci cascano. Più noi parliamo di fortino assediato, più loro travestono i loro poliziotti da Robocop".

Vi criticano: dicono che usate troppo il linguaggio di Hollywood, cioè quello dei nemici.

"Usiamo i linguaggi vincenti, quelli che arrivano alle persone. Non è un caso che Hollywood vinca. Questa è la società della comunicazione. Non possiamo ignorarne i codici".

State litigando con l’ala più violenta del movimento. E anche in questo caso il problema che vi divide è la strategia di comunicazione.

"La violenza non c’entra. Noi ci stiamo battendo perché la città non sia toccata. Se tu incendi una casa, il proprietario ti odierà, e chiederà alla polizia di essere ancora più dura. Il problema è conquistare il consenso dei cittadini. La discussione violenza-non violenza non ha senso. Noi pratichiamo la disobbedienza civile. Vogliamo impedire lo svolgimento del G8. Vogliamo penetrare nella zona rossa che circonda il vertice. Ma bisogna decidere le azioni in base al messaggio che arriva alla gente".

Quale sarà lo slogan principale a Genova?

"Un’idea ci era stata involontariamente suggerita da Renzo Piano che a Genova voleva costruire una gigantesca sfera di cristallo piena di farfalle: il "farfallario". Se lo avesse fatto avremmo avuto lo slogan per il nostro striscione di apertura: "Liberiamo le farfalle". Quale mente perversa può inventare un simbolo simile? Sarebbe stato un obiettivo per cui valeva la pena di rischiare la pelle. Ma qualcosa ci è scappato in una conferenza stampa e pare che il farfallario sia stato bloccato".

A Göteborg la violenza è salita di tono. La polizia ha sparato. Brutto segno.

"Sì. Quattrocento tute bianche sono state arrestate in modo preventivo e tenute in stato di fermo per quattro giorni. È una vecchia tecnica del fascismo quella di bonificare la zona dai sovversivi prima del passaggio del Duce. E poi la polizia ha sparato a quel ragazzo mentre scappava. È l’inizio di una nuova offensiva, soprattutto politica".

Che cosa significa?

"Prima il ministro dell’Interno tedesco, Otto Schilly, ha detto che bisogna rendere sistematico l’arresto preventivo delle persone pericolose. Poi Tony Blair, parlando di noi, ha cominciato a usare la parola "hooligan". Blair è abilissimo: ha imposto il New Labour come un nuovo logo. E quella che sta tentando su di noi è un’operazione molto sofisticata. Vuole sostituire il termine "popolo di Seattle", che nell’immaginario collettivo ha un’accezione positiva, con la parola "hooligan", profondamente negativo. Poi è arrivato Berlusconi, che ha tradotto "hooligan" con teppisti".

Lei parla di immagine e di comunicazione, ma nei vostri cortei la violenza non è virtuale, sono botte vere.

"L’illegalità di massa è fondamentale per cambiare le cose, fin dai tempi della gente che assaltava i forni. Berlusconi dovrebbe saperlo che la pratica dell’illegalità paga. Se ci saranno delle modifiche al codice sul falso in bilancio lo si deve a una pratica diffusa dell’illegalità e al fatto che qualcuno l’ha rivendicato politicamente. Credo che lui capisca più di altri quello che sta accadendo".

Perché?

"Perché Berlusconi conosce bene il mondo della comunicazione: il suo è il primo esperimento di elezioni vinte grazie a un logo e a una campagna di marketing. Lui dice: il popolo di Seattle sta mandando in giro per il mondo la nostra immagine come quella di imperatori violenti, assediati dalle moltitudini che stanno fuori dal palazzo. Ha ragione. È questa la nostra strategia per combattere l’Impero. Quelli che si chiedono perché a Genova saremo disposti a fare battaglie con la polizia dovrebbero andare a vedere come si vive nel sud del mondo, dove c’è la maggioranza della popolazione mondiale. C’è un miliardo e mezzo di persone che, secondo la Banca mondiale, campa con meno di un dollaro al giorno".

L’intervista all’"Espresso" è finita. Al "Giornale" avrebbe raccontato cose diverse?

"Avrei detto: stiamo organizzando le nostre armate per l’attacco dal mare. Abbiamo una nuova formula di neoprene, per le tute da sub, che non viene individuato dai radar".