Dirigenti senza diretti, socialdemocratici senza società

commento di Marco Revelli

NEL SUO AFFASCINANTE saggio su "L'Italiano", a un certo punto Giulio Bollati inserisce, come una mina innescata, l'immagine dei "due popoli": un "Popolo Antico", irriflessivo e inerte, che vive la modernità come semplice costume, e un "Popolo Moderno", élite pensante, capace di decidere e di agire, soprattutto chiamato a "pensare il sentimento" dell'altro popolo. A dare ad esso una forma e una consistenza storica. Nato per dar conto dell'originaria contrapposizione tra campagna e città, tra un mondo contadino immobile e passivo e un universo urbano, dinamico e attivo, agli albori del nostro processo di nation building; divenuto efficace strumento di interpretazione storica del Risorgimento [opera quasi esclusiva del "primo popolo" sulla testa e talora addirittura "contro" il secondo], il concetto di "doppio popolo" trapasserà anche nel secolo successivo: nel famigerato e grandioso Novecento. Soprattutto nel Novecento "politico", di cui costituisce per molti aspetti una cifra universale, valida cioè ben oltre i confini italiani.

A cosa, se non a quel "doppio popolo", si riferiva il dualismo tra "minoranza governante" e "maggioranza governata" con cui la "teoria dell'élite" di Mosca, Pareto, Michels inaugurò la moderna scienza politica? E a cosa, se non a quella stessa coppia, si riferisce la teoria di Kautsky del ruolo strategico degli intellettuali organizzati in partito nel definire la via rivoluzionaria per le masse inconsapevoli, fonte sia della successiva elaborazione del Lenin del "Che fare?" sulla "coscienza esterna" e l'incapacità della massa dei lavoratori di andare oltre una semplice coscienza tradeunionista, sia della deriva socialdemocratica?

Di quella cultura "duale" è derivazione diretta tutta la visione del gruppo dirigente del Pci fin dalla sua fondazione [dalla elaborazione gramsciana sul ruolo dirigente dell'operaio come "produttore" - il primo popolo - chiamato a dominare sulla sua stessa dimensione di forza-lavoro - il secondo popolo -]. E in particolare l'approdo togliattiano e la sua teoria del partito come unica condizione per emendare le masse, a cominciare dalla classe operaia, dalla loro dimensione di "natura" e portarle, con intervento "esterno", con la formazione dall'alto, l'esempio, la decisione, all'altezza della Storia. E di quella visione duale, ancora, è espressione tutta l'esperienza della social-democrazia europea: l'idea che esista, appunto, un "primo popolo" - un gruppo dirigente, detentore del "sapere" indispensabile alla ricostruzione dell'universo sociale - capace di pensare il "secondo popolo". D'inventarlo, per così dire, secondo criteri di modernità e razionalità, e di formarlo, plasmarlo, ridefinirlo all'altezza delle sfide attuali, ricostruendo, nel partito di massa, il microcosmo sociale adeguato. Il calco destinato a informare di sé l'intera società.

Primo popolo, secondo popolo

Quel modello ha funzionato a lungo, con costi evidenti [una sistematica negazione delle autonomie e delle spontaneità del "sociale" non ricodificabile nei canoni del "primo popolo"]. Ma anche con evidenti virtù, grazie anche al fatto che, nel processo di industrializzazione, il "secondo popolo" andava strutturandosi in aggregati forti, in soggetti collettivi coesi, concentrati nelle fabbriche, organizzati nelle campagne. Poi, di colpo, si è infranto, quando le aggregazioni del "secondo popolo" hanno incominciato a frammentarsi e a disgregarsi. Quando le mura delle fabbriche sono cadute e i processi di lavoro sono dilagati all'esterno, sul territorio. E quando i processi di atomizzazione, scomposizione, individualizzazione competitiva tipici delle forme produttive post-fordiste hanno incominciato a lavorare in profondità nel corpo sociale. Quando, in sostanza, il "secondo popolo" è precipitato in quella che è stata definita la "moltitudine" [usata qui nel senso attribuito al termine da Aldo Bonomi nel suo "Il trionfo della moltitudine"]: massa deprivata della socialità e della coesione che avevano contrassegnato la classe. Nuda vita al lavoro dentro le reti dissipative di un'economia di flussi e non di luoghi. Allora è saltata la logica dei "due popoli". Allora si è usciti dal Novecento. Perché con quel doppio movimento di separazione tra "classe politica" e popolo, da una parte, e di scomposizione del "secondo popolo" in moltitudine, sono finiti sia il modello di democrazia rappresentativa, pluralistica e competitiva del Novecento liberaldemocratico, sia il modello d'ingegneria sociale egualitaria di quello social-democratico.

L'hanno capito, ahimé, assai bene a destra, dove il "primo popolo" si è messo a mimare i vizi della moltitudine, a farsi "plebe" per così dire, riducendo al minimo la distanza, e affidando il meccanismo del controllo alla bio-politica. Controllando direttamente i flussi di risorse destinate a riprodurre la nuda vita [panem et circenses]. Non l'ha capito la sinistra, che continua a replicare in forma di farsa il vecchio meccanismo della "classe dirigente". Una classe dirigente - un "gruppo dirigente", secondo il loro lessico -, sempre più auto-referenziale, vuota di progetto, priva di valori e di ideali, priva soprattutto di referenti sociali [un capo senza corpo], ora che il "secondo popolo" si è dissolto, destinata a "galleggiare" sul vuoto ripetendo formule senza più contenuto: il "riformismo" usato da Fassino più come logo che come programma [un tempo significava "riforme per l'eguaglianza e l'equità", ora che significa?]; la svolta "social-democratica" [per quale socialità? per quale democrazia?]; il culto dell'innovazione [in quale direzione? secondo quali princìpi?].

Se un dato è emerso con forza in questi mesi, sulla parabola dei movimenti, ma anche dentro il tessuto delle nuove forme del lavoro - nelle derive della moltitudine -, è la volontà di "fare da sé", è il bisogno di autonomia [tradotta semplicisticamente con il termine "libertà"], il rifiuto di farsi definire da altri, di farsi "pensare da altri" e dirigere. Questa è stata la forza [in buona misura falsa, ma efficace] della mitologia della new economy, questo è l'elemento che guida la galassia dei lavori giovanili, che rende tollerabile ciò che altrimenti sarebbe del tutto intollerabile, la precarietà, la flessibilità, l'incertezza. Su questo si basa drammaticamente [perché frutto di un'infame menzogna] l'appeal dei berluscones.

Mentre, faticosamente, chi tenta di uscire dalla moltitudine, non lo fa per approdare ad un qualche "primo popolo" - a un ruolo "dirigente", come in parte facevano le aristocrazie operaie di ieri -, bensì per accedere a un "secondo popolo" che non abbia più bisogno del primo. A una rete di autonomie libere da interpreti dall'altro e da decisori esterni.

Questo, il segretario nuovo di pacca dei Ds non l'ha capito. Non l'ha neppure intravisto. In una recente intervista assai ampia, non ha neppure usato una volta il termine "società", men che meno "lavoratore", ma si contano sull'ordine delle decine le diverse varianti del verbo "dirigere" [noi dirigenti, il gruppo dirigente, come dirigente di un grande partito, ecc.]. Per questo resterà un'anima in pena senza corpo. Per questo, credendo di innovare, replica, nella forma più frusta, modelli irrimediabilmente obsoleti.

Carta 20 22 novembre