DOPO LE VIOLENZE DI GENOVA
L'ORDINE NEOLIBERALE E LE SUE MALEFATTE
Il G8 di Genova, con il suo tragico bilancio (un morto e più di seicento feriti), ha segnato un'escalation nel tentativo di criminalizzare ogni contestazione alla globalizzazione neoliberale. La macchinazione messa in atto dal governo di Silvio Berlusconi, che ha scientemente lasciato devastare quartieri interi del capoluogo ligure per addossarne la responsabilità alle centinaia di organizzazioni non violente riunite nel Genoa Social Forum (Gsf), non ha tuttavia raggiunto il suo scopo: le innumerevoli testimonianze sugli abusi delle forze di polizia durante il corteo e nel successivo raid negli edifici della scuola Diaz hanno permesso di ristabilire la verità su quanto accaduto a Genova. Rinchiusi nella zona rossa come in un fortino, Berlusconi e gli altri del G8 decidevano intanto di rilanciare nel Qatar, alla prossima riunione dell'Omc prevista per novembre, la "liberalizzazione" del commercio interrotta a Seattle. Una decisione che mostra che le aspirazioni dei duecentomila manifestanti di Genova non sono state minimamente prese in considerazione.
di SUSAN GEORGE*
Dopo il G8 della vergogna di Genova, una questione lancinante angustia le multinazionali, le autorità nazionali e le istituzioni europee e internazionali prese di mira da coloro che i media definiscono, con un'espressione che i diretti interessati rifiutano categoricamente, movimenti "anti-globalizzazione": come screditare, indebolire, manipolare e, se possibile, annientare quel movimento internazionale che, da Seattle a Quebec City, da Praga a Genova, continua a disturbare ogni incontro tra i signori del mondo e ad impedire loro di decidere in tranquillità, da soli, sui destini del genere umano? La situazione è tanto grave che, nel giugno scorso, si è deciso puramente e semplicemente di annullare un importante incontro della Banca mondiale previsto a Barcellona.
Nell'arsenale delle tecniche di contro-attacco, le risposte poliziesche e la repressione diretta sono le armi più utilizzate. Nell'aprile scorso, la primavera in Quebec profumava più dell'odore dei gas lacrimogeni che di quello dei fiori: le stime ufficiali parlano di 4.709 cartucce sparate in aria dalle forze dell'ordine contro i manifestanti anti-Acla (Area di libero scambio delle Americhe) (1), una quantità definita "eccessiva" perfino da una commissione nominata dallo stesso governo del Quebec (2). È tuttavia in Europa che, in questi ultimi mesi, si sta delineando una nuova strategia nell'uso della forza e della manipolazione. Già a Goteborg, durante le azioni organizzate in occasione del vertice dei quindici capi di stato e di governo dell'Unione europea (Ue) a metà giugno, la polizia svedese non ha esitato a sparare veri proiettili sui manifestanti. Il 22 giugno, a Barcellona, dove si stavano tenendo vari forum e manifestazioni per celebrare la pietosa defezione della Banca mondiale, alcuni ispettori in borghese infiltratisi in coda al corteo si sono abbandonati a vari saccheggi e hanno attaccato agenti in uniforme per provocare una reazione violenta della polizia nei confronti dei manifestanti pacifici e dei giornalisti.
A Genova, la polizia italiana si è spinta ancora oltre: un morto, più di seicento feriti, centinaia di arresti arbitrari, ma soprattutto una vera e propria macchinazione politica. Esistono in effetti testimonianze sulla complicità delle autorità con quei gruppi provocatori del "Black Bloc" che hanno devastato alcune zone del capoluogo ligure (3).
Contrattacco ideologico Ma, poiché la repressione fisica non sembra scoraggiare i protestari, si ricorre al maltrattamento giuridico. Una dirigente della Ruckus Society (4), nota per aver insegnato le tecniche di non-violenza a raduni come quello di Seattle, è stata arrestata in strada a Philadelphia, negli Stati uniti, il giorno dopo le manifestazioni contro la convention del Partito repubblicano. Interrogata per sei ore da un agente che avrebbe in seguito ammesso senza problemi di aver ricevuto istruzione di "allungare al massimo la lista delle accuse", si è vista notificare tredici capi di imputazione e - fatto senza precedenti negli annali giudiziari degli Stati uniti per reati minori - si è vista richiedere una cauzione di un milione di dollari! Arresti abusivi, misure di intimidazione e maltrattamenti nei confronti dei detenuti, chiusura "preventiva" dei luoghi di riunione costituiscono ormai la prassi, ogni volta in cui si riuniscono gli oppositori della globalizzazione neoliberista. Per convincersene, basta navigare tra i vari siti di Indymedia, quei centri di media indipendenti e decentralizzati (5) che tanto preoccupano Washington. Lo stesso giorno in cui, a Quebec City, aveva luogo la grande manifestazione anti-Acla, alcuni agenti dell'Fbi e dei servizi segreti americani, si sono presentati alla sede di Indymedia di Seattle, muniti di un mandato del giudice che intimava ai responsabili di comunicare i nomi e i recapiti telefonici di tutti coloro che erano entrati in contatto con il sito nell 48 ore precedenti, ossia diverse migliaia di persone. Questa pratica è con ogni evidenza una patente violazione dei diritti garantiti dalla costituzione degli Stati uniti (6). A Genova, nella notte tra il 21 e il 22 luglio, senza alcun mandato da parte dell'autorità giudiziaria, le forze di polizia hanno fatto un'irruzione nel centro dei media alternativi per tentare di impadronirsi di immagini compromettenti che provavano le loro inflitrazioni tra i gruppi di "devastatori".
I governi europei mostrano ben poco imbarazzo nel prendersi la massima libertà nell'interpretazione delle leggi. Nel dicembre 2000, per tentare di diminuire l'ampiezza delle manifestazioni contro le politiche liberiste dell'Unione europea, in occasione del Consiglio europeo di Nizza, 1.500 cittadini italiani sono stati bloccati alla frontiera, sebbene avessero i documenti in regola. Alcune settimane dopo, nel gennaio 2001, ma questa volta al di fuori dell'area Schengen, le autorità svizzere si sono mostrate altrettanto inflessibili: per garantire con ogni mezzo la serenità dei lavori del Forum economico mondiale, hanno fatto bloccare tutte le vie d'accesso a Davos, trasformando la regione in una vera e propria fortezza militarizzata. Il governo italiano, dal canto suo, ha sospeso puramente e semplicemente la convenzione di Schengen per quattro giorni per tentare - invano - di impedire ai manifestanti degli altri paesi di arrivare a Genova.
Il contro-attacco ideologico è, dal canto suo, in pieno sviluppo.
Come riconquistare credibilità dopo un fiasco come quello di Seattle?
Prima tecnica: definire il proprio avversario "nemico dei poveri".
È il metodo utilizzato sia a Londra, dal quotidiano Financial Times e dal settimanale The Economist, che a Ginevra dal direttore generale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc), Mike Moore ("queste manifestazioni mi fanno vomitare"). Oltre-oceano, Paul Krugman, economista al Massachusetts Institute of Tecnology (Mit) e cocco dei media, non è da meno. Per lui, il "movimento anti-globalizzazione ha già al suo attivo un record di danni inflitti proprio alle persone e alle cause che pretende di difendere", perché i manifestanti di Quebec City, "quali che siano state le loro intenzioni, hanno fatto del loro meglio per rendere i poveri ancora più poveri (7)". Un tema ripreso alla vigilia del summit di Genova dallo stesso George Bush in una dichiarazione resa a Le Monde (19 luglio 2001): "I manifestanti condannano la gente alla miseria".
Fin dal numero successivo agli eventi di Seattle, The Economist avanzava una seconda argomentazione. Di fronte al successo riportato dalle Organizzazioni non governative (Ong), lasciava intendere che esse "rappresentano un pericoloso slittamento di potere verso gruppi non eletti che non devono rendere conto a nessuno delle proprie azioni".
Questa presunta mancanza di legittimità dei manifestanti è diventata un leitmotiv degli ambienti affaristici dopo la pubblicazione, nel settembre 1998, della Geneva Business Declaration, risultato dell'incontro co-organizzato dall'allora presidente della Camera di commercio internazionale Helmut Maucher (amministratore delegato di Nestlé e presidente della Tavola rotonda degli industriali europei) e dal segretario generale delle Nazioni unite. Questa dichiarazione intimava ai "gruppi di pressione attivisti" di interrogararsi innanzitutto sulla propria legittimità. E continuava dicendo che bisognerebbe sottoporli a "regole che ne stabiliscano doveri e responsabilità. Il mondo degli affari ha l'abitudine di lavorare con i sindacati, le organizzazioni dei consumatori e altri gruppi responsabili, credibili, trasparenti che rendono conto delle proprie azioni e hanno pertanto diritto al massimo rispetto. Ciò che critichiamo è la proliferazione di gruppi di militanti che non accettano alcun criterio di auto-disciplina".
Terza tattica: affermare fino alla nausea che i contestatori raccontano fesserie. Le idee e le opinioni veicolate dalle loro organizzazioni sono tanti esempi di "disinformazione", per non parlare delle "evidenti bugie" e delle "dichiarazioni insensate", "opportuniste" o "allarmiste".
Secondo Thomas Friedman del New York Times, coloro che professano tali idee insane sono "da disprezzare" e meritano solo "un paio di schiaffi (8)". Il Financial Times, con un tono vagamente minaccioso, ritiene che, se si vuol porre un freno a questi avversari mal intenzionati della globalizzazione, "è ora di tracciare una linea gialla da non oltrepassare (9)". Ma che fare se l'"autodisciplina" continua a mancare, se le "linee gialle" vengono allegramente oltrepassate e se i contestatori continuano a "raccontare le loro scempiaggini"? Già si stanno eaborando nuove tecniche.
Così, nel marzo 2000, il Cordell Hull Institute di Washington, nato per promuovere la libertà di commercio, ha organizzato un seminario dal titolo "Dopo Seattle: ridare impulso all'Omc". Su una cinquantina di partecipanti - alti funzionari, ministri e ex ministri, consiglieri di grandi società, ambasciatori - soltanto due provenivano dal mondo delle Ong. Uno di loro, scandalizzato, ha descritto la riunione su Internet (10). L'incontro si proponeva soprattutto di studiare i mezzi per neutralizzare gli oppositori all'Omc. L'ex ministro del commercio di Margaret Thatcher, Lord Parkinson, apriva le danze proclamando che non si sarebbe più dovuto tenere queste riunioni sul suolo americano, dove è troppo facile organizzare le contestazioni. Clayton Yeutter, ex segretario all'agricoltura statunitense, rincarava la dose: bisognava scegliere luoghi in cui "possano essere garantiti l'ordine e la sicurezza" e dare l'annuncio il più tardi possibile, in modo da "destabilizzare i contestatori".
Il ministro degli esteri brasiliano proponeva di organizzare la prossima riunione "in mezzo al deserto" - come accadrà effettivamente nel novembre prossimo per la conferenza dell'Omc, che si terrà nell'emirato del Qatar - o su una "nave da crociera". Il prossimo vertice del G8 si terrà nel 2002 in una stazione sciistica di difficile accesso sulle montagne rocciose canadesi. Tra gli applausi dei presenti, lo stesso ministro si metteva a difendere appassionatamente il lavoro di quei bambini che, nel suo paese, guadagnano qualche real per aiutare le proprie famiglie trasportando sacchi di carbone dal deposito all'acciaieria vicina... Un alto funzionario americano suggeriva poi di "dare alle Ong altri gingilli con cui trastullarsi", incoraggandole per esempio a trasferire le loro preoccupazioni sull'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), che non ha alcun potere. Un altro, preoccupato di "delegittimare le Ong", ha proposto di convincere le fondazioni che le finanziano di chiudere il rubinetto e costringerle quindi a porre fine alle proprie attività.
Il dietro front delle fondazioni E, quali che siano i veri motivi, le maggiori fondazioni americane sembrano aver recepito la richiesta. Secondo fonti sicure - che non vogliono essere citate - alle think tank e alle organizzazioni che si oppongono alla globalizzazione liberale si stanno ormai tagliando i viveri. I presidenti delle grandi fondazioni seguono personalmente - fatto assai inusuale - la gestione dei fondi dei responsabili dei vari programmi, se questi hanno in passato finanziato gruppi appartenenti alla "galassia di Seattle". Le fondazioni Ford e Rockefeller privilegiano ormai think tank come l'Economic Strategy Institute che, diretto da un ex consigliere di Ronald Reagan, ha una lista di donatori che sembra un Who's Who delle multinazionali americane (11).
Un'altra potente arma di cui possono disporre questi grandi gruppi è la sorveglianza elettronica (12). La società eWatch esemplifica la formidabile capacità del capitalismo di trarre profitti da qualsiasi cosa, persino dalle attività di coloro che si oppongono al suo dominio.
Questa filiale di una società di pubbliche relazioni propone ai suoi clienti di controllare tutto ciò che viene detto su di loro in Rete, scandagliando persino 15mila forum e 45mila newsgroup. Per prezzi che variano dai 3.600 ai 16.200 dollari l'anno, assicurano: "potete tenere sotto controllo i vostri concorrenti, le agenzie di regolamentezione del governo, le attività dei contestatori e tutto ciò che può avere un impatto sui vostri affari". In ciò, si dirà, non c'è nulla di sconvolgente. Questa è anzi la prova, secondo alcuni, che gli avversari della globalizzazione liberale hanno un impatto reale. Altrimenti i "padroni del mondo" non si occuperebbero tanto di loro. Ciò non toglie, tuttavia, che non bisogna minimizzare l'importanza di questa battaglia per il capitale internazionale.
Il suo odio per la democrazia non si è mai manifestato in modo così evidente. Il capitale internazionale sta cercando di usare ogni mezzo a sua disposizione per consolidare il proprio dominio e proteggerlo da ogni scossa. Le elezioni di George W. Bush e di Silvio Berlusconi sono, a questo proposito, una vera manna. Ancora di più dopo Genova, i movimenti di opposizione devono essere consapevoli che avanzano ormai su un terreno minato...
note:
* Vice-presidente di Attac France, i suoi libri più recenti sono: Remettre l'Omc à sa place, Mille et Une Nuits, Parigi, 2001 e Rapporto Lugano, pubblicato in Italia da Asterios.
(1) Si legga il dossier pubblicato sul numero di aprile 2001 di Le Monde diplomatique/il manifesto.
(2) Toronto Star, 3 maggio 2001, che cita fonti ufficiali.
(3) Il parroco don Vitaliano della Sala racconta di aver visto alcuni Black Bloc uscire da una camionetta dei carabinieri (La Repubblica, 22 luglio 2001, Le Monde, 24 luglio 2001).
(4) Cfr. Bruno Basini, "Avec les maquisards anti-mondialisation", L'Expansion, Parigi, 7 giugno 2001.
(5) www.italy.indymedia.org; www.indymedia.org.
(6) Comunicato del Seattle Indepedent Media Center, 27 aprile 2001.
(7) Paul Krugman, "Why sentimental anti-globalizer have it wrong", International Herald Tribune, 23 aprile 2001.
(8) The New York Times, 19 aprile 2000.
(9) Financial Times, 19 aprile 2001.
(10) Bruce Silverglade, Center for Science in the Public Interest, "How the International Trade Establishment Plans to Defeat Attemps to Reform the Wto", messaggio di posta elettronica del 5 aprile 2000.
(11) Si veda http://www.econstrat.org, soprattutto gli annunci riguardanti i finanziamenti delle Fondazioni Rockefeller e Ford per studi sul commercio internazionale.
(12) EWatch, con sede a Dallas, è una filiale di pubbliche relazioni di Newswire: www.ewatch.com.
(Traduzione di S.L.)
Fonte: Monde Diplomatique 9/2001