LE TESTIMONIANZE DEI CARABINIERI, LE PERIZIE, L'AUTOPSIA, LE INDAGINI
inchiesta di Beatrice Roberti
DA UN'ANALISI ATTENTA dei verbali del carabiniere Mario Placanica, accusato di aver esploso il colpo che uccise Carlo Giuliani, e del suo collega Filippo Cavataio [l'autista] si notano subito una serie di contraddizioni, incongruenze e "buchi". Andiamo per punti.
1. Nel suo verbale, Mario Placanica sostiene che, a causa dei lacrimogeni, al lancio dei quali era addetto, aveva inalato molto fumo - la sua maschera antigas era rotta ed era stato costretto a salire sul Defender guidato dal collega Cavataio, a bordo del quale c'era solo l'autista. Successivamente, a bordo dello stesso Defender, era salito un altro carabiniere raccolto per la strada, il quale aveva anch'egli avuto problemi a causa dei lacrimogeni, di cui però Placanica "non ricorda bene il nome" al momento del verbale.
Il terzo carabiniere verrà identificato ventiquattro ore dopo come Dario Raffone, di ventiquattro anni.
2. All'inizio del verbale, sia Placanica che Cavataio fanno riferimento a due Land Rover - una delle quali con a bordo Cavataio stesso - che seguivano il plotone di carabinieri a piedi di cui egli faceva parte. A bordo di ciascuna Land Rover ci sono, a detta di entrambi, un autista e il colonnello che li coordinava, e sull'altra un autista e "un altro ufficiale". Quando però si giunge alla descrizione del momento in cui Placanica e l'altro collega, di cui non si fa il nome, vengono accolti sul Defender perché feriti, l'ufficiale che era a bordo con Cavataio è misteriosamente scomparso. Cavataio si limita a dire che "nel frattempo ero rimasto solo sulla Land Rover".
Le domande ovvie sono: dove, quando e perché è sceso il misterioso ufficiale? Com'è possibile che un autista palermitano di ventiquattro anni venga lasciato solo su un Defender, in giro per Genova - città che non conosce, e dove lui stesso dice di essersi perso - al culmine dei disordini del G8? E come mai Placanica e Cavataio si ricordano perfettamente i nomi l'uno dell'altro, ma entrambi hanno un vuoto di memoria riguardo al nome del terzo?
3. Questa è una descrizione dei movimenti all'interno della camionetta che è incomprensibile dal punto di vista pratico e logico. Placanica dice di aver visto in difficoltà il proprio collega e, nel descrivere i suoi movimenti all'interno della Land Rover, descrive così la situazione qualche secondo dopo che Carlo è stato ucciso: [si prega di leggere con, alla mano, la foto Reuters che ritrae il particolare dell'interno della camionetta dal dietro, nell'attimo in cui sta facendo manovra sul corpo di Carlo. La foto mostra un carabiniere coricato prono sul suo collega, e da sotto si vede una gamba piegata, con accanto la mano che ancora impugna la pistola, e l'altra mano che esce da sotto il corpo del carabiniere che è sopra, che chiameremo carabiniere A, che col proprio braccio sinistro ricopre il volto del collega che spara].
Placanica dice: "In quel momento ho visto il mio collega in difficoltà e ho pensato che dovevo difenderlo: l'ho abbracciato per le spalle e ho cercato di farlo accucciare sul fondo della jeep; io scalciavo perché i manifestanti mi tiravano per una gamba …".
Che il carabiniere venisse tirato per una gamba da uno o più manifestanti, non si vede da nessun filmato e da nessuna delle foto che documentano l'intera scena dall'inizio alla fine. Anzi, dal filmato e dalle numerose foto e filmati che documentano l'intera sequenza, si vede chiaramente che i manifestanti - fra cui Carlo - sono almeno a quattro metri di distanza dal finestrino posteriore della camionetta[forse scalciava per spaccare il vetro?].
Se Placanica è quello sotto, come ha fatto ad afferrare il suo collega per le spalle, mentre con una mano [la destra] impugnava la pistola - e lui stesso dice di averla impugnata fin dall'inizio della sequenza - mentre l'altra, la sinistra, visibilmente libera sbuca da sotto il corpo del suo collega? E in ogni caso, che senso avrebbe una dinamica del genere anche se le sue mani fossero state libere? La prima cosa che chiunque farebbe per difendere un collega in una situazione del genere sarebbe, giustamente, coprirlo con il proprio corpo, che, in effetti, è quello che Placanica sosteneva di aver fatto nel primo verbale, cioè nelle sue prime dichiarazioni.
In seguito, siccome è risultato evidente che questa descrizione avrebbe tradito palesemente il fatto che Placanica non poteva essere quello che ha sparato, la dichiarazione è stata goffamente modificata nel modo che riferiamo.[Nelle prime dichiarazioni, inoltre, Placanica dichiarava, in un primo momento, di non ricordare di aver sparato, poi di ricordare di aver impugnato la pistola, poi di aver inavvertitamente tolto la sicura e alla fine che "forse" erano partiti due colpi. Cosa che diviene successivamente ancora più 'oscura' quando si scopre che i due bossoli ritrovati sulla scena, accanto al corpo di Giuliani, non appartengono neanche alla stessa pistola].
4. Placanica dice che, dopo aver superato "l'ostacolo" rappresentato dal corpo di Carlo, la jeep si è "spostata in avanti" e poi si è fermata per far salire un altro collega, e poi un altro: il primo ha offerto loro "protezione con lo scudo, perché il lancio di pietre continuava" e del secondo dice semplicemente che era "un maresciallo".
Perché nomina questi due colleghi? Perché, invece di tenere il verbale il più sintetico, corto ed essenziale possibile, fermandosi al punto in cui la Land Rover riesce a disimpegnarsi, come avviene di solito nei verbali- che sono essenziali e non forniscono informazioni non richieste - sente il bisogno di spiegare la presenza a bordo di altri due uomini, fra cui, guarda caso, un ufficiale? Da dove continuava il lancio di pietre, visto che tutti i manifestanti erano fuggiti sentendo gli spari? Dove si fermano esattamente per far salire questi colleghi, fra cui un ufficiale a piedi che, per puro caso, si trova sulla loro strada? E come mai non corrono direttamente all'ospedale, visto che a bordo ci sono due feriti?
I carabinieri arrivano al pronto soccorso dell'Ospedale di Galliera più di un'ora e mezza dopo la morte di Carlo [ fra le 18,50 e le 19, come dice il referto stesso del Galliera ]; un tempo esagerato, visto che la distanza tra piazza Alimonda e l'Ospedale Galliera è di circa un quarto d'ora, e, anche concedendo un ritardo per blocchi stradali e altri ostacoli dovuti alle manifestazioni, non è plausibile che il Defender con i tre carabinieri feriti- di cui uno, Placanica stesso, in grave "stato di shock" , e l'altro, Raffone, "bisognoso di cure urgenti" - nonostante poi vengano dati solo otto giorni di prognosi a quest'ultimo, e sette al suo collega- abbia veramente impiegato tutto quel tempo per arrivarci.
Forse l'ufficiale di cui parla Placanica era già a bordo; forse era addirittura lo stesso ufficiale che viene nominato all'inizio dallo stesso Placanica e che poi misteriosamente scompare nel nulla, lasciando Cavataio da solo sul Defender, su cui poi - secondo il verbale - salgono Placanica e l'altro collega, successivamente identificato con Raffone, di cui nessuno si ricorda il nome.
Forse stanno semplicemente cercando di tutelarsi, spiegando in anticipo la presenza a bordo della Rover di quattro uomini- se non cinque- invece di tre, in caso qualcuno abbia scattato qualche foto di troppo o visto qualcosa di troppo....
Oltre agli elementi già menzionati in comune con il verbale di Placanica, quello di Cavataio presenta altri interrogativi. Il verbale di Cavataio è visibilmente costruito con meno impegno di quello di Placanica, probabilmente perché la sua posizione è meno delicata, e quindi è pieno di contraddizioni anche logiche e grammaticali oltre che di affermazioni non plausibili.
1. Alla domanda se aveva sentito gli spari provenire dalle sue spalle, Cavataio dice di non aver sentito nulla, se non le invocazioni di aiuto dei colleghi ["Non ho sentito colpi di arma da fuoco, non ho sentito nulla, se non la urla dei colleghi"]. Ricorda però distintamente di aver sentito Placanica - che non aveva mai visto prima - dire di essere ferito alla testa. "L'altro collega" [quello di cui nessuno si ricorda bene il nome al momento del verbale] urlava chiedendo aiuto. Come faceva a sapere chi era ferito e chi chiamava aiuto, dal momento che allora non conosceva nessuno dei due? [I tre non erano compagni di pattuglia; si erano trovati per caso sulla stessa Land Rover e, per quanto ne sappiamo, non si erano mai visti prima].
Alla fine dello stesso verbale, viene riportata un'annotazione di alcune dichiarazioni rese dal maresciallo Amatori, datate 20 luglio 2001 [lo stesso giorno], che riferisce che Cavataio gli avrebbe detto di aver sentito gli spari mentre cercava di fare manovra. Quando a Cavataio vengono chieste spiegazioni, risponde di non ricordare nulla in proposito, e di essere stato comunque nel panico.
2. "Intorno era tutto un lancio di blocchi di marmo". Nei due verbali, sia Placanica che Cavataio riferiscono con grande insistenza delle numerose pietre e sassi che continuavano a piovere dentro alla camionetta. Mai, neanche una volta però, si fa menzione della trave che Monai stava ripetutamente sbattendo con forza dentro al finestrino del Defender. Perché? Perché mai, neanche una volta, nei due verbali si fa menzione dell'asse di Monai, che è senza dubbio la violenza più grande che hanno dovuto subire i carabinieri all'interno del Defender?
Placanica dice di essere stato colpito alla testa con una pietra appuntita che non gli è stata lanciata, ma ripetutamente data in testa da un manifestante, che era riuscito ad entrare con la mano dentro la camionetta. Ancora una volta questo è assurdo, perché è chiaro dalla documentazione fotografica che nessun manifestate si è avvicinato così tanto alla camionetta da poter infilare un braccio.
Parlando dell'assalto alla jeep "isolata", nessuno ha mai spiegato come mai il plotone di carabinieri in assetto anti-sommossa dispiegati con un blindato lungo Via Caffa, osservano la scena inermi senza muovere un dito per aiutare i colleghi in difficoltà. Le foto e i filmati mostrano chiaramente uno dei carabinieri mentre fa cenno ai colleghi di andare ad aiutare gli altri sulla jeep, ma questi non si muovono - fino a quando, dopo aver sentito gli spari, accorrono immediatamente per accerchiare il corpo ormai a terra del ragazzo morto.
3. Cavataio sostiene di non essersi accorto di aver fatto manovra due volte sul corpo di Carlo Giuliani. Poi dice: "Ho fatto retromarcia e non ho sentito nessuna resistenza: anzi, ho sentito un sobbalzo alla ruota sinistra e ho pensato ad un cumulo di immondizia visto che era stato rovesciato il cassonetto".
4. Cavataio fa riferimento a una Rover "dei colleghi" che gli bloccava la strada, mentre dall'altra parte era bloccata dal cassonetto, e quindi gli impediva di fare retromarcia e di allontanarsi dalla piazza. Non si vede dai filmati e dalle foto, nessuna Rover, a parte la loro, in quel momento in piazza Alimonda.
Dopo la morte di Carlo
Carlo muore alle 17,27 del pomeriggio, ma per ore non viene identificato, e i suoi genitori vengono chiamati solo alle 22,30/23 circa, tant'è vero che mentre stanno andando in questura in macchina, il fratello di Giuliano li chiama sul cellulare perché ha sentito in televisione che il ragazzo morto è loro figlio. Si continua a dire per ore che il ragazzo ucciso è uno spagnolo di 19 anni, nonostante Carlo avesse in tasca il telefono cellulare, intestato a suo nome, e con il quale si sarebbe potuto identificarlo immediatamente.
Inoltre, la sorella di Carlo, Elena, telefona a suo fratello proprio sul cellulare verso le sette di sera. L'uomo che risponde le chiede chi parla, e quando lei gli gira la domanda e dice di essere la sorella del proprietario del cellulare, Carlo Giuliani, lui-che chiaramente deve essere stato un poliziotto o un funzionario della questura- mente, dicendo che suo fratello è lì vicino e gli ha chiesto di tenere un attimo il suo cellulare e aggiunge che, siccome in quel momento c'è molta confusione, non glielo può passare e la invita a richiamare più tardi. È chiaro che a quell'ora il corpo di Carlo, con tutti i suoi effetti personali, era già nelle mani delle autorità, che quindi sapevano già chi era - e hanno scelto per qualche motivo di non dire a sua sorella ciò che era successo.
Alcuni membri del personale medico del pronto soccorso dell'ospedale Galliera testimoniano che il corpo di Carlo Giuliani arriva lì verso le 20/20,30, cioè qualche ora dopo aver lasciato piazza Alimonda; un lasso di tempo assolutamente incompatibile con la distanza fra piazza Alimonda e il Galliera- così come inspiegabile è il fatto che i tre carabinieri feriti arrivino al Galliera più di un'ora dopo aver lasciato la stessa piazza.
Che cosa succede durante quelle ore seguite alla morte di Carlo Giuliani? Dove viene portato il suo cadavere, per quasi due ore? E dove vanno i carabinieri, prima di arrivare al pronto soccorso? Perché la sua famiglia viene avvertita dell'accaduto solo dopo che in televisione hanno cominciato a circolare le foto dell'agenzia Reuters che mostrano comeè morto esattamente Carlo?
Non viene richiesta una perizia di parte sull'autopsia, cosa che di solito avviene anche per gli incidenti più banali. L'unica autopsia effettuata è quella disposta dalla magistratura, dopo di che il corpo viene cremato - cinque giorni dopo la morte di Carlo - mentre c'è un'inchiesta per omicidio appena aperta in corso. Nonostante tutte le anomalie che quest'autopsia presenta, il giudice dà l'autorizzazione a procedere per la cremazione.
Queste anomalie sono:
1] Carlo ha una ferita in fronte come se questa gli fosse stata spaccata da una pietra, possibilmente dopo che era morto [forse per avvalorare la teoria del carabiniere che, subito dopo gli spari, rincorre il manifestate urlandogli "L' hai ammazzato tu, con la tua pietra!" - vedi filmati]. Carlo non ha quella ferita nelle prime foto scattate in piazza Alimonda, subito dopo che gli viene tolto il passamontagna.
2] Cosa ancora più ridicola, Carlo non risulta avere un solo osso spezzato nel corpo, neanche una frattura, nonostante sia stato investito due volte dalla camionetta.
3] A Mario Placanica non viene fatta la prova del guanto di paraffina [né agli altri occupanti della Land Rover].
4] Carlo, che in tutte le foto, prima della morte, indossa una canottiera bianca, improvvisamente viene ritratto, dopo la morte, con addosso una giacchetta nera.
Un tentativo di farlo passare per un "black bloc"?
5] Alcuni medici del Galliera riferiscono che quando Mario Placanica è arrivato al pronto soccorso, toccandosi la fondina della pistola vuota abbia esclamato "Che fine ha fatto la mia pistola?".
Massimiliano Monai
Le domande più significative e inquietanti sorgono attorno al caso di Massimiliano Monai, noto anche come "quello della trave".
Inizialmente, quando Monai compare davanti al magistrato, gli viene contestato di aver colpito Mario Placanica alla testa con l'asse di legno [forse la "pietra appuntita" che non gli sarebbe stata scagliata, ma ripetutamente data in testa, di cui Mario Placanica parla nel verbale ?].
Monai nega, dicendo che, se Placanica è quello che ha sparato, non può essere lo stesso che lui ha colpito in testa poiché con la trave non sarebbe potuto arrivare a colpire quello che sparava.
Monai, inoltre, per la prima volta [parlando con me] dice di essere sicuro di non aver potuto colpire in alcun modo il carabiniere che ha sparato perché il carabiniere da lui colpito era completamente tramortito, già da prima, era accasciato sul seggiolino e appoggiato al lato della jeep come uno che si è addormentato viaggiando, e non si è mai mosso, anche quando si sono sentiti gli spari. Mentre con l'asse Monai tentava di danneggiare l'interno della Rover, ricorda di aver colpito inavvertitamente il carabiniere al centro della testa, che era rasata [come quella di Placanica] e indica il punto in cui ricorda di averlo colpito. Quindi, essendosi accorto che aveva colpito il carabiniere già tramortito alla testa con l'angolo dell'asse, ha gettato quest'ultima ed è fuggito. Tutto questo è avvenuto un paio di secondi dopo che si erano sentiti gli spari.
Mario Placanica ha una ferita su cui sono stati dati dei punti nell'esatto posto in cui Monai dice di averlo colpito con l'asse [Monai sostiene di fronte al Pm di aver colpito Placanica, se mai, al petto]. In seguito, essendosi accorti che Monai aveva ragione, e che era assurdo sostenere che Placanica era quello che sparava e quello colpito, la versione cambia: ora il carabiniere colpito da Monai diventa Dario Raffone, e non è stato colpito alla nuca ma alla clavicola.
Le altre assurdità legate al caso sono: la pubblica accusa insiste a minimizzare il danno fatto da Monai, che non ha alcun interesse a sostenere di aver ripetutamente colpito un carabiniere alla testa piuttosto che di aver fatto qualche graffio ad un altro alla spalla, e ovviamente è ben contento di adeguarsi alla loro teoria.
Alla notizia che non tutti i bossoli ritrovati erano stati sparati dal suo cliente, l'avvocato di Mario Placanica insiste che è stato sicuramente il suo assistito a uccidere il ragazzo; un comportamento piuttosto strano per un avvocato difensore.
Il carabiniere Raffone
Dario Raffone è l'ultimo dei tre carabinieri ad essere identificato come uno degli occupanti della Land Rover; il suo verbale è secretato e né Placanica né Cavataio si ricordano il suo nome al momento del verbale, pur ricordandosi i nomi l'uno dell'altro.
Questo è un semplice teorema: nella foto più rivelatrice che si ha ad oggi, si vede un carabiniere ferito coricato sul collega che ha appena sparato, che ancora impugna la pistola, nell'attimo in cui la Land Rover sta facendo manovra sul corpo di Carlo. Il carabiniere sdraiato sopra il collega che spara, di cui si vede chiaramente il profilo, non è Dario Raffone [che siamo in grado di identificare perché abbiamo visto le foto]; né è ferito nel punto in cui Raffone è stato ferito secondo il referto. Somiglia in maniera straordinaria a Placanica, per quel poco che si è visto di lui, e ha una ferita che potrebbe corrispondere alla sua.
Dunque, restano due possibilità
Quel carabiniere è Mario Placanica, che, dopo che Monai ha gettato la trave, si è girato e ha coperto il collega che ha sparato - che, nel frattempo, era caduto all'indietro - col proprio corpo [come aveva dichiarato fin dall'inizio]. Quindi, questa è la prova che Mario Placanica non ha sparato.
Non ha sparato neanche Raffone, che con ogni probabilità non era neanche sulla Land Rover ma è stato scelto successivamente, per la sua giovane età, a sostituire l'ufficiale che ha effettivamente sparato.
Se invece quel carabiniere non è Placanica, allora vuol dire che nella Land rover, sul sedile posteriore erano in tre, come sostengono altri testimoni al momento latitanti. [….]
In questo caso, i tre potrebbero plausibilmente essere: Mario Placanica, che era accasciato su un seggiolino e inerme, tramortito dall'asse di Monai; quello che ha sparato, e il terzo. C'e' un'altra fotografia, che chiameremo Foto 2, da cui si vede chiaramente che, al momento in cui spara, il carabiniere che impugna l'arma ha un collega dietro di sé. Durante la manovra brusca subito dopo gli spari, entrambi cadono all'indietro, uno sull'altro, il che spiegherebbe come mai, nelle immagini successive, il carabiniere che ha sparato, che ancora impugna l'arma, è assolutamente troppo in alto per essere appoggiato sul fondo della camionetta. Infatti, è coricato sul collega che prima era dietro di lui. In quel momento, l'altro carabiniere - forse Placanica - si gira e lo ricopre col proprio corpo, come risulta evidente dalle foto. I tre carabinieri sono ora uno sull'altro, il che spiega come possano essere riusciti a dire che erano solo in due, e a nascondere la presenza dell'ufficiale.
Infine, uno dei testimoni descrive il volto di uno dei carabinieri in un modo incompatibile con Dario Raffone [la cui foto non ha visto] e di Mario Placanica.
Laura Tartarini, Legal forum:
"C'è molto da scoprire"
L'INCHIESTA CHE PUBBLICHIAMO dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che l'"affaire" Genova non è concluso, anzi, più si danno calci al formicaio, più saltano fuori formiche impazzite. E che voler mettere il silenziatore alle violenze, alle violazioni dei diritti e all'omicidio è fatica inutile e sprecata.
Laura Tartarini, trentun anni, avvocato del Foro di Genova e, dal luglio scorso, impegnata a tempo pieno nelle inchieste sulle tre giornate del G8, capo cordata del Genoa legal forum.
Quanto e cosa c'è ancora da indagare? Quanto da capire?
Da capire c'è ancora molto, piazza Alimonda non è il solo lato oscuro della vicenda. C'è da sapere cosa ci faceva il vicepresidente del consiglio, Gianfranco Fini, il 20, nella caserma di Forte Giuliano; cosa ci faceva il ministro Roberto Castelli a Bolzaneto la notte tra il 21 e il 22, perché in piazza Alimonda c'era un Defender senza le grate di protezione, perché venti giorni prima del vertice la Procura della repubblica aveva emesso un provvedimento sulla necessità di differire l'immatricolazione in carcere, di modo da lasciare gli eventuali arrestati per quindici o venti ore completamente isolati, perché, infine, è stato fatto il massacro alla Diaz, cosa è successo a Bolzaneto.Per inciso, giorni fa gli indagati, tra gli agenti, sono saliti a sette.
Quanto più si cerca di insabbiare, tanto più quelle vicende tornano in superficie, quasi non si riuscissero a metabolizzare. E' così anche a Genova e, in particolare, nell'ambiente giudiziario nel quale lavori?
Il nuovo questore sta disperatamente cercando di riavvicinare la polizia alla società, ma quella vicenda non si chiude. Ed è solo propaganda quel sondaggio pubblicato dal Secolo XIX che vorrebbe un 68 per cento di genovesi favorevoli all'assoluzione delle violenze. Quanto al mio osservatorio, credo si sia interrotto in modo irrecuperabile il rapporto di fiducia tra il pubblico ministero e la polizia. È evidente che giudici e avvocati oggi pensano che di una polizia che ha mentito su fatti di una tale rilevanza non ci si può fidare.
Come procedono le inchieste? Hanno molto da accertare, ancora?
Molto. L'inchiesta più veloce è proprio quella su piazza Alimonda: c'erano sei mesi di tempo, prorogati a un anno per via dell'omicidio. E, anche se il pubblico ministero aveva annunciato che, dopo la perizia balistica, si sarebbe potuta avviare a conclusione l'inchiesta, tutto fa prevedere che, invece, resterà aperta ancora a lungo.
Inoltre, bisogna stare ben attenti a non permettere lo svolgimento di processi individuali contro le persone accusate, per lo più, di resistenza a pubblico ufficiale, di danneggiamenti e di associazione finalizzata alla devastazione e al saccheggio. Ecco, per una volta e solo per questa, noi vorremmo un "maxiprocesso" per tutti i quasi 400 che, ingiustamente, sono stati accusati. C'è poi la nostra controffensiva: stiamo per depositare nei prossimi giorni la denuncia contro il responsabile di piazza Manin. Dopo aver saputo il nome, siamo stati in grado di presentare una denuncia collettiva di molti di quelli che sono stati pestati. Complessivamente, saranno 250, le nostre denunce, senza contare le 50 della Pertini. Inoltre, dalla metà di febbraio partirà la prima causa civile contro il ministero dell'interno per il risarcimento dei danni.
Fonte: Carta 01/2002