Lettera aperta a Piero Fassino, su Genova e sulla sinistra

Lettera di Piero Sansonetti de l'Unità

 

CARO FASSINO, sono iscritto a questo partito da trent'anni. Quando presi la tessera il segretario era Longo, e Berlinguer era ancora il vice. Fu una scelta difficile iscriversi. Avevo scoperto la politica nel movimento studentesco, durante il '68, avevo inneggiato a Mao e a Fidel Castro, consideravo il Pci il partito moderato della sinistra. Mi iscrissi per un motivo molto semplice: ero convinto che il movimento studentesco e i gruppi extraparlamentari non fossero in grado di stabilire un rapporto con la classe operaia e quindi che fosse inutile la loro politica. Io sapevo che per andare a sinistra ci voleva la forza dei lavoratori e della classe operaia, e vedevo sempre più chiaramente che questa forza era organizzata fondamentalmente dal Pci.

Ho militato per tutti questi anni nel partito, sempre persuaso che fosse la scelta giusta, e sempre pieno di dubbi sulla linea politica. Non mi piaceva il compromesso storico, non mi piacevano gli accordi ad ogni costo, il politicismo, la burocrazia lenta e un po' ottusa dell'apparato. Queste cose non piacevano a me, come non piacevano a moltissimi compagni della mia generazione. Non eravamo stalinisti, o nostalgici, o vetero comunisti, lo sai: eravamo troppo giovani per esserlo. Non abbiamo mai avuto il mito dell'Unione sovietica e disprezzavamo i paesi del socialismo reale. Abbiamo imparato nel partito il valore della politica, della pazienza, della mediazione, della lentezza delle conquiste. A differenza di molti altri giovani di sinistra di quell'epoca - compresi tanti che scrivono su questo giornale - noi abbiamo vissuto la seconda metà degli anni '70 come una stagione di grandi vittorie. Il governo di unità nazionale non ci sembrò la capitolazione alla Dc ma la capitolazione della Dc. Considerammo nostre, tutte nostre, quelle conquiste che hanno cambiato l'Italia. La legge sul divorzio , quella sull'aborto, la riforma sanitaria, l'abolizione dei manicomi, l'equo canone, i nuovi patti agrari.

Vedi, Fassino, io non sono mai stato un estremista. Nel 1989, per esempio, mi schierai per la svolta, per il cambio del nome, per la fine del Pci. Non mi pento di quella scelta: credo che fosse giusta, perché la politica si fa così, senza massimalismi, senza nostalgie e non va mai confusa con la letteratura. La politica deve tenere conto del mondo che cambia e delle idee che si modificano, giusto? Il futuro della sinistra - penso - non è quello di sventolare le bandiere ma è quello di conquistare l'egemonia sul piano culturale, e di battere, sul piano politico, le velleità restauratrici dei conservatori, impedendo che il mercato e gli interessi delle classi forti - ti ricordi?, dicevamo della borghesia - diventino una dittatura.

No, non ho mai creduto che la destra e la sinistra fossero sul punto di confondersi. Neppure quando la sinistra, al governo - in America, in Europa, in Italia - si assunse, non so se a ragione o a torto, compiti di risanamento e di difesa dei bilanci che a me sembravano un po' conservatori.

I ragazzi del Genoa social forum

Poco più di un anno fa ero in California, era l'estate del 2000, e assistevo alla Convention con la quale i democratici hanno designato Al Gore per la corsa alla presidenza degli Stati uniti. Mi sono emozionato - ci credi? - e ho applaudito non solo sentendo i discorsi più liberal, di sinistra, quelli di Jessy Jackson, o di Cuomo, o di Ted Kennedy. Mi sono emozionato anche sentendo Clinton e Gore, e la presa straordinaria che avevano su un pubblico di 30 mila persone, e avvertendo la differenza tra le cose che loro dicevano, la società che avevano in mente, e le cose che una settimana prima aveva proclamato Bush dal palco della Convention repubblicana di Filadelfia.

Un anno dopo, nello stesso periodo, ero a Genova. In luglio. Mi sono emozionato molto di più, anche se ormai ho una certa età e in politica bisognerebbe essere più freddi. Mi sono emozionato ascoltando i ragazzi del Genoa social forum discutere per ore e ore e ore, non di cose vaghe, non di slogan estremisti, ma di problemi concretissimi di politica e di economia: le condizioni di vita di un terzo del pianeta, la necessità di una riforma sanitaria mondiale, i drammi dell'Aids, della malaria, della fame e della sete, della guerra, delle armi, la possibilità di provvedimenti economici concreti, la debolezza di un sistema di mercato - loro dicono liberista - che premia sicuramente l'occidente ma che è un lusso ancora troppo grande per circa la metà del genere umano. Un lusso che non possiamo permetterci: dobbiamo combatterlo, questo sistema.

Sono stato travolto dalla rabbia

Sai perché mi sono emozionato? Per due ragioni. Un po' perché quei ragazzi mi ricordavano proprio noi, noi quando eravamo ragazzi e provammo [con un certo successo, per la verità] a cambiare il mondo e la testa della gente. Un po' perché a un certo punto mi sono accorto che lì a Genova stavo ritrovando il bandolo della politica: lo avevo perso da diversi anni e non sapevo più dove fosse andato. Era lì: ce l'avevano loro. In questi anni ho frequentato molte sedi di partito, o di sindacato, convegni, assemblee, forum, dibattiti. Ho letto - e scritto - tonnellate di pagine politiche sui giornali. Ma quei ragazzi erano molto più politici di noi, e conoscevano con molta più precisione e chiarezza di noi le cose delle quali stavano parlando.

E mi sono emozionato ancora di più quando li ho visti scendere in piazza, cinquantamila il primo giorno, centomila il secondo, trecentomila il terzo. Ho avvertito la loro grande forza. Poi sono stato travolto dalla rabbia, quando ho assistito alla ferocia della polizia, che li ha aggrediti in modo così rabbioso, fascista, e sono stato colto dalla disperazione quando la sera, in tv, ho saputo che i Ds avevano ritirato la loro adesione alla manifestazione dopo la morte di Carlo Giuliani. Credo che sia stato un grandissimo errore, Fassino, e anche un'ingiustizia.

Ma non mi va adesso di recriminare sul passato, è inutile, no? Parliamo del futuro. Credimi: questo movimento che sta nascendo, e non solo in Italia, è una cosa seria. Un partito di sinistra non può neanche pensare di fare politica lasciandolo da parte. Non solo rappresenta una generazione, è qualcosa di più: rappresenta un insieme di problemi, di grandi esigenze politiche, di punti di vista. Come si può considerare tutto questo un fatto secondario?

Lo so che un partito ha i suoi compiti, le sue esigenze, le sue scadenze, e deve difendere la propria autonomia. È giusto che sia così. Non penso neppure lontanamente che i Ds debbano essere subalterni al movimento. Però devono confrontarsi col movimento. E confrontarsi, sai che vuol dire? Non vuol dire trattare, negoziare, per accordarsi, per avvicinarsi, per valutare punti comuni. Confrontarsi vuol dire capire: accettare che vengano messi in discussione i nostri programmi e le nostre certezze, e impegnarsi a costruire una politica nuova. Con la vecchia politica restiamo indietro. Lo hai detto tu, no? Hai ragione: "Cambiare o morire". Ma cambiare davvero, non per assomigliare un po' di più a qualcun altro, per esempio a un rispettabile partito socialista. Dobbiamo assomigliare un po' di più soltanto ai tempi in cui viviamo. Anche le nostre parole devono cambiare, sennò nessuno più le capirà.

Vedi, Fassino, dopo essere stato a Genova, e poi ad Assisi, e sabato scorso alla manifestazione pacifista di Roma, trovo che la formula che noi usiamo - quella del "socialismo europeo" - è incredibilmente stretta, fuori tempo: fa una figura misera. Il mondo è uno solo, ed è diviso tra i paesi che ne sfruttano le ricchezze i paesi che pagano il prezzo dello sviluppo. Non esiste nessun socialismo che sia solo europeo, cioè "piccolo e ricco". Il socialismo continua a vivere solo se torna a far vivere l'ideale di sempre: la lotta per redistribuire in modo equo e pacifico il peso del lavoro, le opportunità e le ricchezze. In tutto il mondo, non solo nel nostro piccolo mondo antico. Non esiste nessuna sinistra che possa chiudersi nel suo guscio, e contarsi, e stabilire sulla base dei sui propri conti se ha vinto o se ha perso. Una sinistra che fa così ha già perso. Non credi?

Carta nr. 20

22 novembre 2001