CONSENSO DI REGIME

Di FRANCESCO INDOVINA

  

Bisogna mettere assieme tutti gli avvenimenti per capire il blocco economico e sociale che il Polo sta costruendo o rinforzando. La "nuova" riorganizzazione del potere economico, che rafforza gli "amici" e permettere "vendette" interne al capitalismo, riafferma il blocco storico del capitalismo italiano, mentre gli emergenti (i tanti osannati "piccoli") è bene che apprendano a stare al loro posto. Un mio caustico amico mi diceva: "Berlusconi è molto generoso, è bastato che Agnelli si esprimesse, durante la campagna elettorale, a suo favore per regalargli la Montedison", mentre a chi ha evitato di schierarsi contro ha permesso di pagare dieci (Bell) e controllare cento (Telecom).

Tuttavia nessuno deve potersi lamentare, così una bella manciata di migliaia di miliardi di opere pubbliche (utili, inutili, prioritarie e non); una torta che si spartiranno in molti, sia del blocco edilizio storico sia di qualche nuova entree. Il mercato, tanto proclamato e richiesto, in realtà risulta una spartizione di aree di influenza e una divisione di spoglie pubbliche.

A se stesso, ma anche ad altri amici, Berlusconi si è regalato, oltre che il tentativo (che riuscirà) di abolire il reato di falso in bilancio, l'eliminazione della tassa di successione e quella sulle donazioni (non si sa mai fosse costretto dai "comunisti" a risolvere in qualche modo il conflitto d'interessi).

Ma il blocco economico-produttivo non basta, per consolidare una maggioranza sociale è essenziale il coinvolgimento dei servizi e della media borghesia, produttiva e no, proiettata al successo, così i provvedimenti su scuola e sanità, sulla dirigenza pubblica, la velocità autostradale, la Tremonti bis, ecc. Mentre sempre più insistenti si fanno le voci che richiedono forme di "censura", ovviamente in difesa della famiglia, dei giovani e della ... verità. Insomma i famosi 100 giorni pare si stiano ben spendendo.

Ma ci vuol altro: un "regime" ha bisogno di consolidare un "consenso di popolo". Non nonostante, ma proprio per gli "eccessi" (per così dire), Genova è stata l'occasione buona. Quali sono, infatti, i messaggi mediatici da una parte e diretti dall'altra che i fatti di Genova hanno trasmesso? Non esistono manifestazioni pacifiche, tutte le manifestazioni mettono a ferro e fuoco le città; quindi per il bene dei cittadini e delle città, le manifestazioni dovranno essere limitate (abolite?). Un messaggio questo che per quanto possa essere contraddetto da testimonianze e indagini giunge al cuore di molte persone "tranquille", che vogliono solo... lavorare e fare soldi e che della democrazia conoscono solo il "mio".

L'altro messaggio non è meno chiaro: non è più tempo di manifestare; il dissenso politico, sociale e sindacale, non può essere di piazza (cioè visibile); vi bastoneremo, v'insulteremo, vi arresteremo. La polizia è forte, potente, postmoderna e quasi avveniristica nei suoi mezzi ed è, soprattutto, al servizio del potere, non del cittadino. Per un certo periodo saranno ammesse solo le manifestazioni di "protesta" per gli eccessi dello "Stato" in una precedente manifestazione; poi neanche quelle. Uomo bastonato è tutto avvisato.

Con un corollario non di poco conto, la nuova geografia urbana. La città sarà sostanzialmente divisa: una parte "difesa" e intoccabile (ieri per il G8, domani per la società "bene" e le sue istituzioni); un'altra parte lasciata in balia alla violenza (privata e pubblica, di protesta e di rapina). La città come spazio pubblico democratico, di vissuto collettivo, di incontro, anche se contraddittorio, si vanifica attraverso un processo di segregazione: una parte fondata sulla pace sociale e la difesa pubblica, l'altra abbandonata alla violenza e all'autodifesa (molto più dei films che abbiamo visto). Chi vorrà entrare nella parte "buona" dovrà avere censo o fare chiara manifestazione di adesione al regime.

Con questo insieme di intrecci di interessi, di regalie pubbliche a privati selezionati, di processi di segmentazione dei cittadini, di riduzione dei diritti di cittadinanza e di azioni repressive che Berlusconi e Fini (il Fini di cui ci si poteva fidare, secondo qualche esponente della sinistra, perché dotato di senso dello stato) operano per formare e consolidare un blocco sociale di regime. Sono proprie queste connessioni che vanno analizzate e individuate con precisione, senza una loro messa in pagina, chiara e approfondita, non c'è possibilità di contrasto. Il centro sinistra, per altro, resta impigliato nella rete della sua azione di governo e nella dipendenza psicologica di molti suoi membri alla ricerca di una personale "promozione sociale", più che di affermare un progetto politico.

A questo disegno, una vera strategia, ci si può e ci si deve opporre, almeno per limitare i danni, con notevole capacità analitica, rilevante intelligenza politica, gran determinazione e capacità d'intervento, tutte cose che non abbondano, nonostante la generosità del movimento. A tutto questo bisognerà mettere mano.

Una prima occasione di contrastare il regime B.F. sarà costituita dalle lotte sindacali contrattuali (old economy), alle quali sarà necessario garantire un'ampia rete di solidarietà, di sostegno e di supporto, perché si chiudano positivamente e costituiscano un primo scacco (anche se non matto) al regime.

Fonte: Manifesto 1 agosto 2001