L’agenda "neocon" per un mondo perfetto

 

Irwin Stelzer

 

 

La guerra in Iraq rappresenta il culmine della conquista dell’America da parte dei neoconservatori, almeno se si presta fede alla maggior parte dei media europei e anche ad alcuni di quelli americani. Secondo The Economist, una piccola congrega di intellettuali — "ideologi della conservazione... sprezzanti... di quello che ritengono l’idealismo multilateralista "— ha convinto l’America ad abbandonare il suo tradizionale approccio alla politica estera e a diventare un’egemone imperialista unilaterale propensa a scatenare attacchi preventivi nei confronti di chiunque possa rappresentare una minaccia per la sua sicurezza. Secondo i critici della tendenza neoconservatrice, gli Stati Uniti non prestano più quello che Thomas Jefferson definiva "il dovuto rispetto alle opinioni della razza umana".

Dopo anni di complotti, questa banda di neoconservatori, o neocon, guidati dai loro più importanti confratelli, George W. Bush e Dick Cheney, ha assunto il controllo assoluto sulla politica estera e sulla sicurezza degli Usa, per non parlare di quello esercitato sulla politica interna. Ma le difficoltà dell’America in Iraq hanno creato seri dubbi in merito all’abilità degli Stati Uniti di conseguire l’obiettivo neoconservatore di esportare la democrazia americana. "Questo è il momento— ha scritto Matthew Parris, quasi un anno prima che i terroristi risorgessero e diventassero una forza temibile sul territorio iracheno— di colpire al cuore le ambizioni dei neoconservatori ". Dieci mesi più tardi, The Economist riprese lo stesso tema: costretti a confrontarsi quotidianamente con un bilancio in costante aumento di morte e distruzione "anche gli stessi neocon stanno cominciando a nutrire seri dubbi".

Certo, alcuni neocon possono effettivamente avere dubbi, ma tra i più risoluti ci sono proprio coloro — in particolare il presidente degli Stati Uniti — che detengono il potere di decidere se l’America debba continuare a inseguire il sogno neoconservatore.

Un’attenta lettura delle effettive affermazioni dei più eminenti esponenti dei neocon porta alla conclusione che la politica estera che sostengono, una parte della quale è stata fatta propria dall’amministrazione Bush in risposta all’attacco subito dall’America l’11 settembre 2001, è meno radicale, e certamente meno innovativa, di quanto in genere si ritenga. Sebbene i neocon siano orgogliosi di essersi lasciati alle spalle in più di un modo il consenso del periodo posteriore alla guerra fredda, è bene ricordare che le loro idee hanno profonde radici nella storia degli Usa e della Gran Bretagna, oltre che nelle linee di condotta perorate da presidenti americani quali John Quincy Adams e Theodore Roosevelt, nonché dai primi ministri britannici Margaret Thatcher e Tony Blair.

Comunque, vogliamo premettere alla nostra discussione sul neoconservatorismo un’importante avvertenza. Come fa notare il politologo David Brooks, "se avete mai letto una frase che inizia con "i neocon ritengono", c’è una possibilità pari al 99,44 percento che ogni altra affermazione che segue sia totalmente infondata". Non esiste infatti qualcosa di definibile come "movimento " neoconservatore, quantomeno non nel senso di "organismo composto da persone con un obiettivo comune" che il dizionario attribuisca a questo termine. Esiste però quello che Irving Kristol, "padrino" riconosciuto del neoconservatorismo, definisce come "il convincimento neoconservatore ", oppure quella che Joshua Muravchik chiama "una sensibilità neoconservatrice ben distinta ", o anche ciò che Norman Podhoretz ritiene una "tendenza neoconservatrice". Podhoretz afferma che il neoconservatorismo "non ha mai avuto o aspirato ad avere il tipo di organizzazione centrale caratteristico di un movimento". Questa avversione di un gruppo che "condivide idee comuni su molti temi" ad etichettare il neoconservatorismo come "movimento" deriva almeno in parte dalla consapevolezza delle differenze non trascurabili che dividono alcuni dei suoi principali esponenti su certi argomenti cruciali. In parte, però, deriva dal fatto che molti di questi esponenti hanno trascorso la loro intera vita a inveire contro un gran numero di cosiddetti "movimenti" — il movimento per la pace, il movimento comunista, il movimento ambientalista e molti altri che vedono con orrore ogni deviazione dall’ortodossia da parte dei propri membri —. Gli intellettuali noti come "neocon ", un’etichetta piuttosto ampia e imprecisa, apprezzano il proprio individualismo. È quindi impensabile che possano riunirsi e formare un monolite ideologico.

Tutto ciò suggerisce che l’etichetta di "conventicola ", appiccicata al neoconservatorismo da alcuni dei suoi critici più militanti, sia decisamente infondata. Popolare in Europa e nei media liberal degli Stati Uniti, quest’idea viene ventilata più o meno nel modo seguente: un piccolo gruppo di intellettuali, fra cui numerosi membri della futura amministrazione Bush, hanno segretamente cospirato per anni allo scopo di sostituire la tradizionale politica estera multilateralista dell’America, pesantemente condizionata dal consenso delle Nazioni Unite, con un approccio agli affari internazionali ben più unilaterale, espansionista e muscolare.

Si dice che il centro di questa supposta società segreta sia il Project for the New American Century (PNAC), un’organizzazione fondata da William (Bill) Kristol nel 1997 per "promuovere la leadership globale americana". Nessuno può dubitare che il PNAC abbia contribuito in modo significativo alla definizione della politica estera dell’amministrazione Bush. Tuttavia, suggerire che faccia parte di una qualche iniziativa segreta per rovesciare la tradizionale politica estera americana è semplicemente falso. In democrazia, la linea di politica estera di un governo si fonda su proposte politiche di valore e convincenti. Alcuni tra i neocon (non tutti) che hanno prestato il proprio contributo al lavoro del PNAC, hanno riflettuto a lungo sui problemi di politica estera. La riflessione ha prodotto dibattiti interni, pubblicazioni di grande valore e prolusioni destinate ai raduni dei più importanti opinion-maker del Paese. Infine, sono stati fatti circolare memorandum che invitavano l’America ad adottare un nuovo approccio alla politica estera, un atteggiamento più adatto ad affrontare con successo le nuove minacce nate dopo la fine della Guerra fredda.

Questa estenuante battaglia pubblica per conquistare i cuori e le menti dell’establishment della politica estera statunitense, ben difficilmente può essere considerata alla stregua delle classiche trame occulte per le quali i cospiratori di tutto il mondo sembrano nutrire una naturale predilezione. Il mito di una società segreta non è il solo inventato dalla critica avversa ai neocon. Secondo un’altra di queste fantasiose invenzioni, la politica estera neoconservatrice sarebbe stata proposta da intellettuali ebrei il cui interesse primario si focalizzerebbe sulla sopravvivenza e l’espansione di Israele piuttosto che sulla sicurezza degli Stati Uniti. Steve Bradshaw, conduttore del prestigioso programma televisivo Panorama della BBC, ha informato il suo pubblico di "aver individuato un tema ricorrente tra gli addetti ai lavori di Washington. Alcuni dei principali neocon sarebbero fortemente pro-sionisti e sarebbero intenzionati a rovesciare i regimi dittatoriali del Medio Oriente più per dare una mano a Israele che per difendere gli interessi degli USA".

Naturalmente, è legittimo essere in forte disaccordo con la politica americana nei confronti di Israele. Lo è molto meno accusare i neocon ebrei di slealtà e di aver complottato per spingere gli USA a mantenere l’amicizia con Israele a prescindere dai loro reali interessi. Questo mito — il preteso dominio ebreo dell’ambiente neoconservatore e la sottomissione dei neocon agli interessi di Israele anche quando questi cozzano con quelli degli Stati Uniti—è piuttosto enigmatico, dato che né l’ex segretario di Stato Colin Powell né l’attuale, Condoleezza Rice, i principali consiglieri del presidente in tema di politica estera, sono ebrei. D’altra parte non lo sono neppure il vicepresidente Dick Cheney (sebbene venga ritenuto il principale sostenitore della decisione di detronizzare Saddam), Donald Rumsfeld (il Segretario alla Difesa) o George Tenet (sino a poco fa direttore della Cia).

ancora più inverosimile quando si prende in esame lo stretto legame della destra religiosa cristiana con il governo Bush. I leader della destra religiosa— evangelici e cattolici — si definiscono, con una certa appropriatezza, neoconservatori e premono perché l’amministrazione si pronunci su questioni come, ad esempio, l’aborto. Le posizioni della destra religiosa su questi problemi sono del tutto invise alla stragrande maggioranza dell’elettorato ebreo che, comunque, alle presidenziali del 2000 si è schierato in massa per l’avversario di George W. Bush. Quindi, dato che la destra religiosa rappresenta il fulcro del sostegno politico di Bush mentre i votanti ebrei sono secondi solo agli afroamericani nella loro lealtà ai suoi oppositori politici, la tesi che sono gli ebrei a decidere la politica estera del governo diventa piuttosto difficile da sostenere.

Un’altra fonte di costanti scontri sono gli obiettivi della politica estera dei neocon. Kristol e Kagan ritengono irrealistico presumere che i cattivi soggetti possano redimersi e auspicano una nuova politica di "cambiamenti di regime". Essi fanno comunque notare che una simile politica non richiederebbe agli Stati Uniti di "inviare truppe a rovesciare tutti i regimi dittatoriali del mondo". Nel caso dell’Iraq, gli autori si rammaricano che durante la prima Guerra del Golfo la coalizione non sia arrivata sino a Bagdad "per esautorare Saddam Hussein... mantenendo truppe USA in Iraq abbastanza a lungo da assicurare l’avvento di un regime più favorevole". Anche il lettore meno attento all’attuale politica americana si renderà conto che questo parere è alla base delle recenti decisioni dell’amministrazione Bush.

La dottrina della prevenzione, l’esigenza di sbarazzarsi dei cosiddetti "stati-canaglia" e altri ingredienti del neoconservatorismo hanno in effetti radici profonde nella storia americana e, come puntualizza Michael Gove nel suo saggio, sono state fatte proprie dai leader britannici (Canning, Palmerston, Churchill e Thatcher) ben prima della loro adozione da parte di George W. Bush (che ha a malapena accennato alla sua possibile politica estera durante la sua prima campagna elettorale). Le radici della politica estera di Bush, e in particolare la sua enfasi sulla prevenzione, possono persino essere fatte risalire al Secondo trattato di John Locke (1689), nel quale il filosofo sosteneva che il popolo, per difendersi, deve agire prima che "sia troppo tardi e il male sia divenuto incurabile".

John Lewis Gaddis, della Yale University, ritiene che la politica estera del presidente Bush rappresenti una deviazione disastrosa rispetto alla politica multilateralista seguita sin dai tempi di Franklin D. Roosevelt. Cionondimeno Gaddis ha precisato che molte delle dottrine su cui si basa l’attuale politica del presidente possono vantare antecedenti storici in America. Nei primi anni del XX secolo, Theodore Roosevelt ideò e propugnò infatti una politica che differisce ben poco da quella attuale di George W. Bush, con l’eccezione che la massima attenzione di Roosevelt si appuntava sull’emisfero occidentale: "Una delinquenza cronica, o un’impotenza che dia luogo a un generale allentamento dei vincoli della società civilizzata, potrebbero... in ultima analisi richiedere l’intervento di qualche nazione civilizzata, e nell’emisfero occidentale... potrebbero costringere gli Stati Uniti, per quanto riluttanti... a esercitare un ruolo di polizia internazionale". I neoconservatori americani hanno eletto a proprio eroe il presidente che esortava gli americani a parlare a bassa voce e a portare con sé un grosso randello.

Un decennio dopo la dichiarazione di Teddy Roosevelt, entrò alla Casa Bianca un altro precursore dei neocon, Woodrow Wilson. Wilson dichiarò al mondo che l’America aveva occupato Cuba: "Non per annetterla ma per offrire a quella inerme colonia l’opportunità di essere libera", una dichiarazione simile a quella pronunciata da George W. Bush e Tony Blair molti anni dopo come una delle giustificazioni per detronizzare Saddam Hussein. Come gli attuali neocon, Wilson cercava di cambiare il mondo, o parti di esso, in base all’immagine democratica dell’America. La sua richiesta di "autodeterminazione", un concetto che egli non definì mai concretamente, riecheggia nella richiesta di Bush e Blair di libere elezioni che consentano agli iracheni di determinare il proprio futuro.

Il neoconservatorismo è una forma di "wilsonianismo " con una grossa differenza. Wilson credeva che i suoi obiettivi potessero essere ottenuti affidandosi al potere persuasivo delle istituzioni multinazionali quali la Lega delle Nazioni. I neocon non sono d’accordo. Essi ritengono che sia possibile diffondere la democrazia esautorando i regimi dittatoriali che minacciano la sicurezza americana e l’ordine mondiale usando la forza militare se ogni altra iniziativa si dimostrasse inefficace. Secondo i neocon, la caduta del regime va seguita da una fase di riedificazione della nazione. I neocon preferiscono affidarsi a varie "coalizioni di volonterosi", piuttosto che alle Nazioni Unite. Come puntualizzava Margaret Thatcher nel discorso tenuto a Fulton nel Missouri, l’Onu "non ci ha garantito la prosperità e neppure la sicurezza". La posizione dei neocon si può riassumere in questo modo: diplomazia ove possibile, forza in caso di necessità; accordo con l’Onu ove possibile, coalizioni ad hoc o azione unilaterale in caso di necessità; attacchi preventivi se sono ragionevoli per anticipare azioni ostili da parte dei nemici dell’America.

I neoconservatori ritengono che la democrazia e la libertà siano la soluzione ideale per tutti gli abitanti del pianeta. Ma vanno oltre il semplice desiderio di giustizia e sostengono che la diffusione della democrazia sia per l’Occidente il miglior sistema per garantire l’avvento di un ordine mondiale pacifico e prosperoso. Inoltre, i sostenitori neocon di una politica estera USA più muscolare, dichiarano che in tutto il mondo le popolazioni condividono i valori occidentali e desiderano la libertà. Blair, un non-neocon che i neocon hanno elevato a uno status politico precedentemente accordato soltanto a Winston Churchill e Margaret Thatcher, nel suo discorso al Congresso afferma: "I nostri non sono soltanto i valori dell’Occidente, sono valori universali dello spirito umano".

I neocon in generale non si affidano però esclusivamente alla forza militare per difendere gli interessi americani. Essi vogliono che l’America assegni risorse adeguate alle proprie forze armate per consentire alla nazione di esercitare una forza schiacciante ovunque e in qualsiasi momento sia necessario per garantire la propria sicurezza. Di conseguenza, hanno criticato apertamente l’amministrazione Bush per non aver inviato truppe sufficienti a proteggere efficacemente i cittadini e le infrastrutture dell’Iraq. I neocon sono comunque sufficientemente fiduciosi della solida base intellettuale della loro posizione circa l’universalità del desiderio della democrazia da essere disposti persino ad affrontare uno scontro di ideologie. Quindi più truppe, ma anche più seminari. Questa è la ragione per cui pensatori neocon come Richard Perle e Bill Kristol viaggiano ogni anno per decine di migliaia di miglia impegnandosi in dibattiti con avversari che vorrebbero negare l’esigenza dell’America a diffondere i valori democratici come parte del suo programma per la creazione di un ordine mondiale più stabile.