Perché l'Islam è antiamericano

 

"I musulmani - sostiene Mario Mozzati, studioso del mondo arabo - chiedono di non essere emarginati, disprezzati, isolati. Il loro odio per gli Usa è figlio di un corto circuito culturale."

di Paolo Ligammari

MILANO - "Le tragedie di New York e di Washington sono il folle frutto dell'odio. Un odio viscerale che il mondo arabo concentra sugli Stati Uniti, e che invece sfiora soltanto i Paesi europei, che pure hanno alle spalle un passato lungo e nefasto di potenze coloniali". L'anti-americanismo e l'Islam. Un binomio che sembra indissolubile. Eppure, per Marco Mozzati, direttore del Centro Studi sui popoli extra-europei dell'Università di Pavia, è anche un grido di dolore quello che arriva dal mondo islamico, questo grande cordone incandescente, che dalle alture dell'Atlante alle rive del Mediterraneo, fino ai bastioni della Muraglia cinese, tiene in apprensione il mondo occidentale. "Accettare la diversità, l'originalità dell'Islam - dice il professor Mozzati - e non negarla o considerarla tutt'al più bisognosa di tutela. Ecco come si poteva evitare una tragedia di queste proporzioni".

"La situazione attuale è purtroppo il frutto di una serie di gravi errori, molti commessi proprio dagli Stati Uniti. Altri storicamente più lontani - continua il docente - e a ben vedere tutto cominciò con Napoleone". Le truppe francesi del console corso arrivarono ai piedi delle Piramidi, dove il futuro Imperatore pronunciò la celebre frase: "Noi siamo l'Islam". "Ovvero - spiega Mozzati - 'noi ci sentiamo di dover rappresentare l'Islam'. Non li consideriamo capaci di rappresentare loro stessi, di essere e contare nella politica mondiale. E' quello che Said, il pensatore arabo, ha definito 'Orientalismo'. L'incapacità degli occidentali di considerare degno di attenzione e rilevante il mondo arabo". Gli americani sono oggi una potenza che vuole rappresentare il mondo intero. E la cultura araba reagisce: "Perché si sentono umiliati - dice Mozzati - e gli Usa muovono un odio duro e crudele, pur presentandosi come grandi innovatori. Ma la libertà americana non ha portato ai risultati sperati, per un fatto culturale: ho parlato spesso con amici dal mondo arabo. Ci sentono "estranei e invadenti". La reazione è folle, ma è il frutto della sedimentazione storica di tutte queste che sentono come crudeli ingiustizie". Un nuovo colonialismo. Più subdolo e nauseante, perché non ha bisogno di armi.

La crisi afgana, e il richiamo all'Islamismo fondamentalista rischiano ora di dare quella coesione spesso inseguita e mai ottenuta al mondo arabo. "E' un rischio che non si corre - sostiene Mozzati - perché l'Islam non è unico. Ci sono moltissime culture differenti che proliferano sotto lo stesso albero. Del resto la crisi del Golfo, poco più di dieci anni fa, era per certi versi simile, ma non c'è stata una risposta uniforme da parte del mondo arabo".

Così come la rete mondiale del terrorismo islamico non ha possibilità di far presa in tutti i paesi legati all'islamismo: "E non solo perché alcuni Paesi hanno preso subito una posizione molto moderata nei confronti del terrorismo. Molti Paesi sono ormai più vicini di quanto si creda al mondo occidentale: non è un caso che il leader libico Gheddafi non sia entrato neanche di striscio tra i sospettati. Per decenni il mondo occidentale ha tenuto la Libia in uno stato di confino, sbloccato poi proprio dal governo italiano. E i risultati si sono visti subito. Non è solo un fatto economico, ma ancora una volta culturale: i rapporti commerciali e gli affari si sono sempre portati a termine tra Europa e Gheddafi, anche nel periodo peggiore per i rapporti internazionali, ma il colonnello voleva il riconoscimento dei danni morali da parte dell'Italia, per il suo passato e i suoi misfatti coloniali: voleva le scuse. E questo vogliono anche le altre civiltà mussulmane: uscire dalla cattività. Questi Paesi - conclude il professore - stanno chiedendo di non essere emarginati, disprezzati, isolati. Questo è il denominatore comune, non una rete mondiale di cellule terroristiche. E il fallimento della conferenza di Durban sul razzismo, ai loro occhi, non ha fatto invece che confermare che gli Stati Uniti non riescono ad accettare altri punti di vista se non il loro".

Fonte: Il Nuovo 24 settembre 2001