LA CIVILTÀ E IL PIANTO DEGLI INNOCENTI

EUGENIO SCALFARI

 

ANDIAMO con ordine e senza lasciarci dominare (o almeno non troppo) dall'emotività. Cerchiamo di capire quali sono le cause e le pulsioni, gli interessi e le passioni che muovono le varie parti in campo in questa strana guerra in corso ormai da due mesi.

1. Gli Stati Uniti d'America erano già una grande potenza alla fine della prima guerra mondiale. Alla fine della seconda erano diventati un impero contrapposto ad un altro. Dal 1989 sono il solo impero esistente (almeno per ora).

2. L'impero, per reprimere turbolenze e potenziali nemici, di solito si vale di milizie mercenarie. Le coorti pretorie le usa con parsimonia e solo nei casi e nei momenti risolutivi.

3. Nel Vietnam le milizie mercenarie si rivelarono ben presto insufficienti e l'impero gettò nella mischia la guardia pretoria (i "marines"). Si sa come andò a finire. Quell'errore – si può starne certi – gli Usa non lo ripeteranno mai più a meno che la fatalità degli eventi non lo rendesse necessario; ma sarebbe un segno, questo, estremamente drammatico che allo stato dei fatti non si profila nemmeno lontanamente.

4. L'obiettivo dichiarato e reale degli Usa nella "strana guerra" iniziata l'11 settembre è la distruzione del terrorismo internazionale, la cattura o l'uccisione dei suoi capi, lo smantellamento della rete militare e finanziaria di cui si avvale. Per portare a termine questo compito – di cui Al Qaeda e bin Laden sono il primo ma non il solo obiettivo – debbono distruggere il regime dei Taliban guidati dal mullah Omar, che ha finora ospitato e protetto bin Laden e la sua legione straniera, la quale a sua volta è diventata la colonna portante del regime dei Taliban.

5. L'Afghanistan è un paese grande due volte l'Italia con un solidissimo impianto tribale. La tribù di gran lunga più numerosa e ammassata nell'est e nel sud del paese è di etnia pashtun che rappresenta il quaranta per cento dell'intera popolazione, nonché una cospicua minoranza del vicino Pakistan a cavallo della frontiera che i due paesi hanno in comune.

L'etica c'entra poco con l'attuale situazione Libertà e giustizia non rientrano negli obiettivi del conflitto: possono solo maturare gradualmente

Negli ultimi anni il terrorismo aveva assunto proporzioni pericolose Dopo l'attacco alle Torri Gemelle attendere ancora era diventato impensabile.

Va tenuto presente che non tutti gli afgani di appartenenza pashtun si identificano col regime talibano.

6. L'Alleanza del nord — che dominò il paese prima dell'invasione sovietica e poi combatté contro l'Urss — è un coacervo di bande tribali che spesso, ma non sempre, coincidono con le tribù. Ciascuna di queste bande controlla una parte del paese. Il regime dei Taliban le respinse verso le zone confinarie estendendo il suo controllo su quasi tutto il territorio.

7. La bande antiTaliban, riunitesi nell'Alleanza del nord per battere il comune nemico, erano dunque, dopo l'11 settembre, le sole milizie mercenarie disponibili che gli Usa avrebbero potuto usare sul terreno per abbattere il regime dei Taliban. Quelli che sostengono l'obiettivo di annientare i terroristi di bin Laden senza però intraprendere una guerra vera e proprio contro i Taliban dimenticano (anzi fingono di dimenticare) che nessuna azione di polizia militare sarebbe possibile fino a quando il regime del mullah Omar conserverà il controllo del territorio. Scindere questi due aspetti del problema, che in realtà sono intrinsecamente collegati, è una macroscopica ipocrisia.

8. L'Alleanza del nord negli ultimi quindici giorni si è impadronita di gran parte del nord e nordest del territorio e soprattutto di quasi tutte le città e della capitale. Va detto tuttavia che molta parte delle campagne e delle montagne è ancora in mano dei Taliban, in particolare la zona di Kandahar nel sudovest del paese, a ridosso del confine pachistano. Del tutto autonome sono altre bande che si muovono nelle zone confinarie con l'Iran e che controllano l'ovest del paese e la città di Herat.

9. A Kabul convivono per ora le rappresentanze delle varie tribù che hanno occupato la capitale, ma la maggioranza delle forze occupanti è di origine tagika e risponde direttamente al presidente Rabbani proclamatosi capo provvisorio di uno Stato di struttura feudale dove il potere centrale è pressoché inesistente e le alleanze tra i capitribù e i loro principali vassalli cambiano dalla sera alla mattina.

Questo quadro della situazione era noto a tutte le cancellerie occidentali e in particolare all'amministrazione Usa assai prima dei tragici fatti dell'11 settembre.

Si sapeva dunque fin dall'inizio che le bande dell'Alleanza del nord erano autonome tra loro e in qualche modo mercenarie delle potenze confinanti con le rispettive zone di insediamento tribale, così come — allo stesso modo — il regime talibano era innervato strettissimamente con la rete terroristica di bin Laden e sostenuto dal Pakistan del generale Musharraf .

Si sapeva anche che gli Usa non prevedevano — e continuano a non prevedere — un'invasione terrestre dell'Afghanistan dopo l'esperienza del Vietnam e quella del tutto simile della guerra afgana dell'Urss.

L'obiettivo militare degli Usa era di aprire la strada alle bande mercenarie dell'Alleanza del nord con l'impiego massiccio dei bombardamenti aerei. I corpi speciali avevano il compito di segnalare da terra gli obiettivi principali da colpire iniziando sul terreno la caccia ai capi terroristi della rete di Al Qaeda.

L'obiettivo politico degli Usa era poi quello di insediare a Kabul un governo di coalizione di tutte le tribù, compresa quella di etnia pashtun impropriamente definita "Taliban moderati". Ma era ben chiaro che sotto questa copertura politica puramente formale l'Afghanistan sarebbe rimasto un insieme di feudi tribali presidiati dalle rispettive milizie così come da secoli è sempre stato.

Questa struttura avrebbe permesso agli Usa di portare a termine la caccia contro bin Laden e contro il mullah Omar per poi spostare la guerra contro il terrorismo internazionale negli altri luoghi dove esso fosse particolarmente e pericolosamente radicato.

In questo quadro era previsto anche l'intervento di corpi speciali britannici. Francesi, tedeschi e italiani erano stati accettati (su loro richiesta) con funzioni di "peace keeping" (mantenimento della pace) in una seconda fase scadenzata in primavera. Nel frattempo — limitatamente alla capitale — si sarebbe allestita una forza Onu composta esclusivamente da contingenti di paesi islamici (Turchia, Indonesia, Bangladesh).

Le bande dell'Alleanza del nord hanno forzato il calendario politico Usa e creato il fatto compiuto, rendendo molto più difficile la formazione d'un governo di coalizione a Kabul. Nel frattempo le rivalità tribali hanno rallentato l'eliminazione delle sacche di Kandahar e di Kunduz dando luogo a eccidi ed esecuzioni sommarie in vari luoghi e circostanze.

Non pare tuttavia che questi "contrattempi" abbiano modificato i piani della Casa Bianca e del Pentagono. Gli obiettivi, dopo lo smantellamento del regime talibano, restano quelli iniziali: la caccia a bin Laden e alla sua rete terroristica, l'Afghanistan agli afgani, cioè alle tribù e alle loro bande, opportunamente finanziate all'insegna del "divide et impera" .

È di tutta evidenza che l'etica propriamente detta c'entra poco o nulla con i dati oggettivi della situazione. Lo slogan "civiltà contro barbarie" resta valido se con la parola "barbarie" s'intende il terrorismo internazionale e le sue criminali azioni. Negli ultimi anni l'estensione di questo fenomeno aveva assunto proporzioni estremamente pericolose; dopo la distruzione delle Torri di Manhattan attendere ancora sarebbe stato impensabile. Tra l'altro l'opinione pubblica americana esigeva una risposta forte e immediata; Bush ha aspettato più d'un mese prima di effettuarla; ha dato il via libera non perché tutti i tasselli militari e politici dell'operazione fossero stati infine messi a punto, ma perché il consenso attorno a lui cominciava a mostrare segni di evidente indebolimento. Chi condanna il governo di Washington e si dichiara amico del popolo americano tenga a mente che in una democrazia come quella molto spesso il presidente non fa che eseguire ciò che l'opinione pubblica richiede.

Ma se con la parola "barbarie" s'intendono un insieme di situazioni indipendenti dal terrorismo e cioè la condizione delle donne in Afghanistan e in molti altri paesi musulmani, l'esistenza di regimi feudali o di regimi crudelmente dittatoriali esistenti in molti paesi del Terzo Mondo (e non soltanto), i diritti umani sistematicamente calpestati; allora è bene ricordare che questi obiettivi erano e sono fuori da quelli che si propone l'operazione "Enduring Freedom", la quale punta a liberare l'Occidente e i paesi islamici dal terrorismo della Jihad. Punto e basta.

La pace tra Israele e Palestina è problema di massima urgenza e così è stato visto perfino da Bush che all'inizio se ne era del tutto disinteressato, per toglier pretesti alla propaganda di bin Laden. Così pure gli aiuti ai paesi poveri e la lotta contro le epidemie in misura appropriata. Sono questioni da impostare subito perché il ferro americano va battuto finché è caldo; quando fosse raffreddato sarà — di nuovo — molto più difficile. E questo dovrebbe essere il compito dei governi europei, da portare avanti mentre l'amministrazione Usa ha ancora bisogno della loro copertura.

Gli altri obiettivi, cui ciascuno di noi aspirerebbe di veder realizzati, la libertà, la giustizia e la democrazia affermate e consolidate in tutto il mondo, sono però fuori dalle prospettive del possibile e possono maturare solo con graduale e pertinace opera di educazione e diffusione del benessere.

Post Scriptum. Ho molta ammirazione per il medicochirurgo Gino Strada e per le iniziative di "Emergency" e di tante altre analoghe intraprese da varie istituzioni, fondazioni e comunità. Mi piace anche, di Strada, il suo empito pacifista come lo vedo spesso esprimersi nei talk show di Maurizio Costanzo e di Michele Santoro. Un punto però non condivido: la rinuncia alla legittima difesa (poiché questo significa l'invocazione continua della pace unilaterale) si fonda sulla possibilità di cambiare la natura dell'uomo che è intrinsecamente competitiva e aggressiva. Non ci sono riusciti né il Buddha né Mosè né Gesù Cristo né Maometto a cambiare la natura dell'uomo. Perciò non ho nessuna ragione di credere che possa riuscirci Gino Strada. Purtroppo.

Fonte: Repubblica 25 novembre 2001