Fallujah non è la Somalia

ma gli iracheni vogliono un loro esercito forte

 

Il giorno dopo il linciaggio di quattro americani a Fallujah, un convoglio militare statunitense è stato di nuovo attaccato nella cittadina epicentro della guerriglia

irachena e sei iracheni sono morti nell’esplosione di un’autobomba a Ramadi. Le

immagini dei corpi carbonizzati delle guardie private americane ricordano la battaglia

di Mogadiscio che ispirò il film Black Hawk Down. Ma l’Iraq non è la Somalia e lo

dimostra un’attenta analisi del Centro di studi internazionali e strategici di Washington.

L’autore, Anthony H. Cordesman, ha viaggiato in Iraq e conta su ottime fonti a livello politico e d’intelligence.

"Un anno dopo: la costruzione di una nazione in Iraq" è il titolo del rapporto che analizza gli aspetti positivi, ma non tace sugli insuccessi dell’intervento alleato.

"A un centinaio di giorni dal trasferimento dei poteri dalla coalizione guidata dagli americani agli iracheni – scrive Cordesman – si segnalano grandi progressi e i sondaggi dimostrano che gli iracheni sono relativamente ottimisti per il futuro. Allo stesso

tempo molti problemi critici rimangono sul terreno". I sondaggi sono stati commissionati

dal network televisivo Abc. La maggioranza degli iracheni – sunniti, sciiti e curdi – considerano che la vita sia migliorata rispetto a un anno fa. Le aspettative per un futuro positivo sono ancora più alte (61 per cento sunniti, 72 per cento sciiti, 83 per cento curdi). Il problema rimane quello della sicurezza. Secondo l’analista il "conflitto a bassa intensità" iracheno "ha provocato più vittime ed è più serio di quanto riportato ufficialmente e dai media". Fino al 25 marzo scorso sono morti oltre 700 militari

e civili alleati. I militari americani uccisi sono 598, i feriti alleati 3.800. Sono 350 i poliziotti iracheni ammazzati, ma con i dati riguardanti anche altri corpi di sicurezza e il

personale governativo le vittime salgono a 1.200-1.400. In febbraio gli americani avevano sperato in una diminuzione degli attacchi. In realtà l’attività militare sta tutt’altro che diminuendo. Secondo il rapporto sono in media 179 gli attacchi settimanali contro forze della coalizione, infrastrutture, civili e sicurezza irachena. "La minaccia è sempre meno legata ai fedeli dell’ex regime e sempre più individuata in una mescolanza fra sunniti che temono la transizione verso un nuovo Stato, estremisti musulmani locali e volontari islamici stranieri", scrive Cordesman.

L’intelligence americana si è troppo focalizzata sugli ex di Saddam: sono state

segnalate sei nuove cellule terroristiche nell’area di Baghdad e altre dieci nell’Iraq

occidentale. Secondo Cordesman il ruolo della nuova polizia è fondamentale per affrontare la crisi. "Le forze di sicurezza irachene riescono ad attrarre la fiducia di gran

parte della popolazione e probabilmente sono il successo più significativo della coalizione in termini di ricostruzione del paese", si legge nel rapporto. I sondaggi testimoniano che il 68 per cento degli iracheni ha fiducia nei poliziotti. Gli agenti sono

78.250, ai quali vanno sommate le guardie di frontiera e la difesa civile, che portano le

forze di sicurezza irachene a 211.500 unità. Le milizie delle fazioni e i tempi della politica I poliziotti sono poco addestrati e male equipaggiati. "Questa situazione potrebbe provocare ulteriori problemi se le tensioni etniche aumentassero – scrive Cordesman – molte fazioni hanno a disposizione delle milizie armate. Non è chiaro il grado di integrazione di questi miliziani nell’apparato di sicurezza". Importante per migliorare la sicurezza è la formazione di un esercito iracheno.

"Gli iracheni considerano che un forte esercito sia uno dei pilastri della ricostruzione

del loro paese in termini di dignità e status dell’Iraq", si sottolinea nell’analisi.

Adesso "i piani americani non sono adeguati a raggiungere l’obiettivo". Da 9

battaglioni si è passati a 27, pronti in autunno. Gli ufficiali vengono addestrati in Giordania e 25 potenziali generali hanno seguito un corso negli Stati Uniti. Cordesman

pubblica il calendario delle scadenze politiche irachene ipotizzato dagli americani e

si chiede se sarà possibile rispettare i tempi. Entro il 31 gennaio prossimo dovranno

essere eletti Parlamento e governo. L’assemblea nazionale preparerà la bozza finale

della costituzione entro il 15 agosto. In ottobre la carta dovrà essere sottoposta a referendum e nel dicembre 2005 gli iracheni torneranno alle urne per le politiche.

 

Fonte: Il Foglio 2/4/2004