C'È QUALCUNO LÀ FUORI?

 

GEORGE MONBIOT

Serve assolutamente una campagna di disobbedienza pacifica e ben organizzata. Consigli agli inglesi validi anche per gli italiani

La guerra di Bush contro l'Iraq dipende anche dalla nostra indifferenza. Dobbiamo fare in modo che il costo politico di questa avventura diventi più alto

Il resto d'Europa si starà chiedendo se la Gran Bretagna è entrata in letargo. Alla fine del mese il nostro primo ministro probabilmente annuncerà una decisione presa mesi fa: la Gran Bretagna seguirà gli Stati uniti in Iraq. Se l'annuncio ci sarà, due o tre settimane dopo, comincerà la guerra. A meno che gli ispettori dell'Onu non dichiarino di aver trovato qualcosa prima del 27 gennaio, questa sarà una guerra dichiarata senza il minimo pretesto: un attacco gratuito il cui proposito è aumentare la ricchezza e il potere della cleptocrazia americana. Lungi dal promuovere la pace, questa potrebbe essere la prima di una serie di guerre imperiali. La crisi globale più grave dalla fine della guerra fredda potrebbe scoppiare fra appena tre settimane e la maggior parte di noi sembra chiedersi come mai qualcun altro non stia facendo qualcosa. Non succede spesso che la gente di quest'isola abbia l'opportunità di cambiare il corso degli eventi mondiali. Bush sa che l'approvazione degli americani alla sua guerra dipende, in parte, dalla credibilità di cui essa godrà al di là dell'oceano: i sondaggi mostrano che molti di quelli che appoggerebbero un'aggressione internazionale ritirerebbero il loro sostegno qualora percepissero che gli Stati uniti stanno agendo da soli. Un'aggressione internazionale, in questo caso, significa un attacco sostenuto dalla Gran Bretagna.

Se Blair si tirasse indietro, Bush potrebbe essere costretto a ripensare alla sua voglia di guerra. Blair si tirerà indietro soltanto se sentirà che il costo politico dello stare con Bush è più grande del costo politico di abbandonarlo. La guerra di Bush, in altre parole, dipende dalla nostra indifferenza. Come ha detto Gramsci, "quello che accade, accade non tanto perché una minoranza vuole che accada quanto piuttosto perché la gran parte dei cittadini ha rinunciato alle sue responsabilità e ha lasciato che le cose accadessero".

Ci sono diverse ragioni per cui la maggior parte degli inglesi non sembra pronta ad agire. Le nuove tecnologie militari hanno rimosso la necessità della leva, e così quei giovani altrimenti non impegnati che avrebbero potuto essere al cuore della resistenza vengono lasciati a far esplodere nemici immaginari sui loro videogiochi. L'economia è ancora in crescita e perciò il risentimento strisciante verso il governo viene zittito; eppure sentiamo che il nostro lavoro e le nostre prospettive sono tutt'altro che sicure e per questo siamo riluttanti ad esporci.

Sembra anche che molti di quelli potenzialmente contrari a questa guerra non siano davvero convinti che essa possa accadere. Se, paradossalmente, ci trovassimo di fronte a una vera minaccia, a un vero nemico, il dibattito avrebbe acquisito più urgenza. Ma se Blair ci avesse detto di entrare in guerra per fermare Saruman di Isengard e impedirgli di continuare a mandare i suoi orchi contro i bravi cittadini di Rohan, sarebbe sembrato a malapena meno plausibile di quando parla della minaccia di Saddam di Iraq pronto a sganciare le sue bombe sugli Stati uniti.

Questi fattori possono contribuire a spiegare la nostra debolezza. Ma non la giustificano. E' vero che le nostre possibilità di fermare la guerra sono minime: entrambi i nostri uomini appaiono determinati a procedere, con o senza prove o cause. Ma pensare che la protesta sia inutile se non porta a una vittoria immediata significa non capire il suo potere e il suo scopo. Anche se non possiamo fermare un attacco contro l'Iraq, dobbiamo fare in modo che esso diventi politicamente così costoso che non ce ne sarà in futuro un altro di simile. Questo significa che le solite manifestazioni non bastano più.

Ci sono state fino a questo momento molto manifestazioni e tutte ben organizzate. Molte altre sono in programma nelle prossime sei settimane. Il 18 gennaio i manifestanti cercheranno di bloccare il quartier generale delle forze armate a Northwood, nord Londra. Tre giorni più tardi ci sarà una manifestazione di fronte al parlamento; il giorno in cui la guerra comincerà in ogni città della Gran Bretagna si svolgeranno manifestazioni. Il 15 febbraio è prevista una manifestazione nazionale a Londra. Tutte queste azioni sono importantissime perché dimostrano la vastità dell'opposizione. Ma da sole è probabile che non riusciranno a creare un imbarazzo al governo. Bisogna alzare la temperatura.

La campagna per il disarmo nucleare ha cercato di farlo in maniera sfacciata e senza precedenti: cercando cioè di convincere il tribunale a dichiarare illegale un attacco all'Iraq senza una nuova risoluzione Onu. Il 17 dicembre, però, i giudici hanno sentenziato di non avere il potere di interpretare la risoluzione Onu attuale. Sembra dunque che non ci resti che lanciare una campagna di massa, non violenta, di disobbedienza.

Cnd e Stop the War Coalition hanno suggerito un'ora di sciopero il giorno in cui cominceranno gli attacchi. Molti attivisti stanno cercando direndere questa protesta qualcosa di più ampio, magari uno sciopero generale.

Questo è naturalmente difficile e pericoloso. Alcuni scioperi generali sono stati estremamente efficaci, costringendo per esempio lo zar a concedere una costituzione e una assemblea legislativa nel 1905, o rovesciando il Kapp Putsch a Berlino nel 1920, o ancora a rovesciare il regime di Khuri in Libano nel 1952. Altri scioperi sono risultati controproducenti, perfino disastrosi. Quando lo sciopero generale francese del 1920 cessò, il movimento dei lavoratori si ritrovò tutt'altro che unito. Mussolini usò l'annuncio di uno sciopero generale nel 1922 per presentarsi come l'unico uomo in grado di riportare l'ordine. Prese il potere, con la benedizione del re, dopo che i fascisti avevano attaccato gli scioperanti e bruciato la sede centrale del partito socialista. Se proclamiamo uno sciopero e tutti o quasi vanno a lavorare, Blair riterrà di poter fare ciò che vuole.

Ma questa è la dimensione delle azioni a cui dobbiamo pensare. Se non possiamo mobilitare i lavoratori, ci sono altri mille modi per disturbare le menti dei politici. Potremmo per esempio pensare di bloccare le strade che Blair e i suoi ministri chiave devono percorrere tutti i giorni per andare ai loro appuntamenti, potremmo contestare i loro interventi e bloccare i più importanti edifici pubblici. Centinaia di noi verranno con ogni probabilità arrestati, ma questo - come ha scoperto chi protestava contro la guerra in Vietnam - genera interesse. La non violenza comunque dev'essere un punto inamovibile: nulla ha fatto più danni al movimento contro la guerra degli anni `60 dei giorni della rabbia organizzati a Chicago dai Weathermen.

La disobbedienza pacifica e ben organizzata invece, anche se irrita altri cittadini, riesce a portare al centro dell'attenzione pubblica la questione e garantisce che nessuno possa pensare alla guerra senza anche pensare all'opposizione ad essa. Dobbiamo costringere la gente a rendersi conto che quello che sta avvenendo non ha precedenti, che Bush aiutato dal seguito morale di Blair, sta cercando di fare una guerra in un mondo relativamente pacifico. Falliremo se non riusciremo a mettere in scena un dramma politico adeguato alla dimensione della minaccia.

Tutto questo, naturalmente, sarà costoso. Ma arriva un momento in cui l'impegno politico non ha senso se non si è pronti ad agire. Secondo gli ultimi sondaggi, il 42% degli inglesi vuole fermare questa guerra (il 38% vuole farla). Ma se la nostra azione rimarrà confinata allo scuotere la testa davanti alla televisione, allora Blair avrà un mandato universale.

C'è qualcuno là fuori? O state aspettando che qualcun altro agisca in vostro nome?

 

Fonte: Monde Diplomatique 01/2003